Rabbia per un infermiera con la gomma da masticare

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Si sentiva pervaso dalla rabbia, lui che non aveva mai provato sentimenti ostili neppure per i propri bulli, neppure per quel padre che non conosceva e che lo aveva abbandonato prima che venisse alla luce, non aveva mai provato nulla di così negativo nemmeno per sua madre che non si accorgeva dei lividi che ogni giorno macchiavano il suo corpo.

Ma ora, in quel letto d'ospedale, avvolto da quelle bende strette e ruvide, si sentiva più arrabbiato che mai e percepiva quel sentimento, non come un'onda che gli si scaglia contro il cuore, ma come una strisciante e viscida sensazione di forza. Se la sente proprio sotto la pelle e se non fosse stato privato del senso della vista, avrebbe potuto giurare di sentire la pelle sollevarsi dove la rabbia scorre.

Un vago sentore di panico gli formicola nel cervello, attutendo ciò che stava provando, facendo tornare immediatamente l'apatia che era certo fosse indotta artificialmente da dei farmaci, altrimenti non si spiegava la rabbia che era montata e scemata come le onde placide che s'infrangono contro la battigia.

Stava comunque sentendo un fastidio opprimente nel rimanere immobile su quel letto scomodo, così si scostò con un gesto brusco, dato dalla mano ingessata, le lenzuola che lo coprivano, appena il calore da esse trattenute venne liberato, Izuku si accinse a gettare le gambe giù dal letto.

Il rumore metallico dei sostegni che gli avvolgevano i polpacci, cozzò rumorosamente arrivando addirittura alle sue orecchie, facendogli voltare il capo in quella direzione nonostante tutto.

Con mano tremante provò ad avvicinare le dita a quella struttura ferrosa, ma ad un soffio dal sfiorarla, la flebo tirò dalla parte opposta indicandogli che la cannula che gli penetrava il dorso della mano, era terminata e, a meno che non se la fosse strappata di dosso, non avrebbe potuto tirarla maggiormente.

Imprecò, non sapendo come mai gli fosse uscita una parola del genere dalle labbra, e si sospinse indietro, per afferrare il palo di metallo che era certo avrebbe contenuto la sacca con la soluzione salina che lo manteneva idratato, oltre che probabilmente sacche con vitamine e altri sostentamenti.

Stringendo il palmo della mano contro il metallo freddo, sentì il piccolo ago che gli penetrava la pelle piegarsi con essa, dandogli una sensazione fastidiosa costringendolo a portare l'altra mano per grattare quel punto che sentiva pizzicare da morire.

Odiava quella sensazione, ma ancora di più non conoscere ciò che lo circondava o cosa fosse successo al suo corpo.

Con tutte le sue forze, tornò a sollevare le gambe sopra il letto, per poi gettarle giù di nuovo, ma dalla parte opposta, da essere vicino al palo delle flebo, quello sarebbe stato il suo bastono, su cui si sarebbe appoggiato una volta alzatosi in piedi.



«Potete ripetere il vostro nome?» chiese un'infermiera seduta ad una scrivania affollata di documenti, il computer davanti a lei era ormai bollente per le troppe ore di utilizzo. Erano mesi che ne chiedeva un modello più aggiornato, mai fondi dell'ospedale andavano tutti in medicinali e beneficenza, questo a detta del medico primario Garaki.

«Io sono Masaru Bakugou, questa è mia moglie Mitsuki e mio figlio Katsuki, siamo venuti a trovare un paziente soccorso durante l'incidente ferroviario.» ripeté l'uomo cercando di sembrare calmo, ma la donna davanti a lui non collaborava, troppo impegnata a fissarsi le unghie e a masticare quella dannata gomma.

«Il nome del paziente?» chiese lei mentre digitava pigramente i nomi appena sentiti.

«Izuku Midorya.» disse Mitsuki posando una mano sulla spalla del marito, vedeva come fosse sull'orlo di una crisi di rabbia, lui che era un santo e che sopportava tutte le sfuriate di lei e di loro figlio.

«Non siete suoi parenti immagino.» fece l'infermiera sollevando un sopracciglio e fissandoli mentre creava una piccola bolla con la gomma da masticare, scoppiò in fretta facendo quasi ringhiare Mitsuki che se avesse potuto avrebbe fatto saltare in aria il vetro di plexiglas che le divideva, per fortuna che non aveva il quirk del figlio.

«No,» rispose pacatamente, «Siamo i suoi vicini e nostro figlio è suo compagno di scuola. Siamo venuto a vedere come sta visto che la polizia ci ha detto della morte di sua madre.»

L'infermiera non rimase minimamente impressionata dalle parole della bionda, cercando sul suo schermo il nome del paziente che volevano vedere, quando una note accanto al nome, finalmente trovato in mezzo a tutti i pazienti che affollavano l'ospedale, le fece venire un dubbio.

«Accomodatevi,» e indicò delle scomode sedie di plastiche davanti a lei, «Ora chiamerò il dottore che lo segue e lo informerò della vostra presenza.»

Shinu TokiWhere stories live. Discover now