jazz

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L'aria nel locale è pesante. Non metaforicamente pesante, intendo dire che lo è sul serio. Ogni boccata che do per prendere un nuovo respiro profondo prima di soffiare dentro il sax è faticosa. Non mi sono mai stancato tanto. Monia al mio fianco mi lancia qualche occhiata di tanto in tanto, mentre canta "All the things you are", la solita solfa romantica che piace tanto ai clienti del Cliché. Ironico, vero? No, semplicemente tristemente reale. Tutti cercano qualcosa di originale per credersi unici e poi, invece, si lasciano trascinare dalla massa, dalla moda, da ciò che dice il fashion Blogger di turno o lo youtuber in voga del momento, o insomma, da ciò che in fondo ci viene imposto, senza neanche chiederci il consenso, dall'alto.

Questa sera al locale c'è la solita clientela fissa, il ricco uomo tarchiato con la sua ragazzina bionda nel centro della sala, il gruppo di quasi quarantenni che crede ancora di averne meno di trenta, tutti rigorosamente liberi, o come direbbero loro "single per scelta, perché non hanno bisogno di legarsi a qualcuno e adattarsi alle rigide costrizioni sociali quali il matrimonio", ovviamente è solo un modo per non ammettere a se stessi che nessuno vuole accettare i loro innumerevoli difetti, e poi ci sono le monelle dei bassifondi, quelle non hanno bisogno di presentazioni, basta dargli un'occhiata.

Prendo un respiro profondo e do fiato alle ultime note Jazz della canzone americana di Ella Fitzgerald.
Il pubblico applaude e Monia si inchina di fronte a loro. Finalmente ci concedono dieci minuti di pausa e io ripongo il mio strumento nella sua custodia. Non ho intenzione di lasciarlo su quel sudicio piedistallo a prendere polvere. Non ho continuato a studiare musica dopo il conservatorio perché non credevo sarebbe stata la mia strada, ma non riesco a non trattare con il giusto rispetto il mio sax, per me in quell'armatura metallica c'è un'anima vivente e quando impugno il fusto dorato e lascio scivolare le dita sulle chiavi, svuoto la mente; in quei momenti le uniche cose che sento, sono le vibrazioni del suono che mi corrono nelle vene; in quegli attimi è la musica a prendere possesso del mio corpo .

Raggiungiamo il retro del Cliché, superando i bagni vicino alle cucine e prima di uscire fuori la vedo parlare con Giorgio e questo le passa qualcosa.

- Vuoi bere?

Monia mi fissa con una birra in mano e io la afferro. Ora capisco cosa ha preso dal cameriere.

Lei poggia la schiena contro il muro ruvido del retro e sposta le ciocche brune che le si sono incollate sulle guance prima di prendere un lungo sorso. Il volto spigoloso e il naso dritto le danno un'aria altezzosa, ma lei non è così. Io la conosco bene, forse troppo. E' una donna intelligente come poche che si nasconde sotto strati di pelle e borchie. E' un artista, un genio capace di catturare in un'immagine la bellezza perfino di una pianta infestante, intrappolandola in una vecchia Canon a rullino.

No, Monia non è come vuole mostrarsi; lei è un piccolo diamante grezzo in un cumulo di macerie. Lei è stata il mio diamante grezzo nel cumulo di macerie che era la mia vita fino a pochi anni fa. Un tempo non pensavo al mio futuro o a cosa sarei diventato da grande e mi lasciavo trascinare dalle braccia amiche di bari e spacciatori. Chissà cosa avrebbe pensato il nonno vedendo il suo primo nipote quindicenne giocare con dei delinquenti, perseverando nello stesso vizio che aveva portato la nostra famiglia sul lastrico. Già, chissà cosa avrebbe pensato il caro nonno...
  

L'aria fresca che ci arriva addosso ci dà respiro, lei ha ancora gli occhi verdi arrossati dall'aria consumata che c'è dentro, ma nonostante tutto, sorride ancora. Questa donna è unica, la vita non le ha mai concesso niente facilmente eppure lei non ha perso il sorriso.

-Questa sera vai di nuovo in quel posto? - Mi chiede tracannando l'ultima parte schiumosa attaccata al fondo verde e spesso.

-Sì. Il tizio dell'ultima volta mi ha implorato per una rivincita.

Se Respiro Troppo, mi accorgo di essere vivoWhere stories live. Discover now