La Diga parte prima

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I soffitti sono bassi e macchiati di nero, ma non riesco nemmeno a capire cosa sia la sostanza che gli dona quell'effetto pois; la luce è minima e a stento riesco a comprendere dove metto i piedi e cosa sto schiacciando; il pavimento è morbido, sto premendo la suola delle scarpe contro qualcosa, ma non ho la più pallida idea di cosa sia e odio non sapere cosa succede. Ci metto un po' ad abituarmi alla scarsa illuminazione di quella sala e quando i miei occhi lo fanno, quello che vedo è peggio di ciò che avevo immaginato. La stanza è stretta e lunga, e sugli angoli ci sono delle file di tavoli circolari con quattro sedie per ognuno; la maggior parte sono occupate e le persone lì sedute non si voltano nemmeno a guardarci appena ci affacciamo dalla porta. L'aria è densa e pesante, ci avvolge appena varchiamo la soglia, rendendo evidente che la scarsa visibilità non è solo dovuta alle poche lampadine gialle appese alle pareti, ma al fumo di sigaretta o sigaro che non so nemmeno distinguere, e che mi si attacca subito addosso, impregnando il mio vestito cipria e i capelli che ho stirato dalla parrucchiera solo otto ore prima. Tutta fatica sprecata. Povera Mary, ha dovuto faticare davvero per gestire la mia chioma crespa e il suo polso di certo si ricorderà di me per giorni, ma ora è tutto vano. Ora sono qui dentro e l'unica cosa che riesco a fare è indietreggiare.

Una mano mi si poggia sulla schiena e blocca il mio tentativo di fuga. Mi giro alla mia sinistra dove sono sicura di trovarlo e lo guardo con gli occhi della disperazione, perché in effetti è così che mi ci sento, disperata.

-Credo di essere fuori luogo qui dentro - gli dico, allargando i lati del mio vestito per fargli capire cosa intendo.

Il tipo che ci ha aperto mi ha guardata in modo strano, quando gli abbiamo chiesto di farci entrare, ma non ha battuto ciglio dopo aver visto il mio accompagnatore; lui deve essere un cliente abituale di questo posto.

Daniele mi guarda divertito; sorride e poi avvicina le labbra al mio orecchio, immergendo il naso fra i miei capelli e sfiorandomi con le labbra le farfalle d'argento che mi adornano il lobo.

-Non sei tu ad essere fuori luogo, ma è questo posto a non essere alla tua altezza, Sabrina - La voce bassa mi vibra contro il collo e mi dà carica, il suo respiro fresco mi punge la pelle provocandomi un'insana sensazione di eccitamento. Non credo parli sul serio, probabilmente continua a punzecchiarmi ma, non so come, sento la pelle pizzicare alla sua sola vicinanza. Probabilmente questo tizio mi dà l'orticaria.

-Vieni con me, ho bisogno del tuo aiuto -  La sua mano fa una leggera pressione sulla mia schiena e io non riesco a oppormi alla sua richiesta. Lo seguo lungo quella strana stanza lunga piena zeppa di gente, fermandomi a guardare ogni dettaglio. Le luci non hanno alcun lampadario e sono ricoperte da un leggero strato di polvere, pendono dagli angoli dei soffitti e dietro di esse, le macchie che avevo subito notato appena entrata si allargano in delle vere e proprie scie nere. E' muffa. Non ne ho mai vista così tanta ammucchiata sulle pareti ed è disgustoso. L'angoscia che ho provato appena varcata quella soglia è nulla a confronto allo sconforto che provo adesso. Sento le gambe cedere e non voglio nemmeno respirare per non rischiare qualche infezione alle vie aeree, ma dopo pochi secondi in apnea mi arrendo. Lancio un'occhiata afflitta all'uomo al mio fianco, lui guarda dritto di fronte a sé e non sembra nemmeno vedere tutto quello schifo che ci circonda, anzi, mi spinge con sé all'interno di quell'inferno di microbi.

Daniele continua a cingermi la vita, senza mollarmi un attimo e forse quel contatto è l'unica cosa a darmi forza e a incoraggiarmi a proseguire anche dopo che un tizio con la testa rasata e una cicatrice sulla giugulare alza il viso dal tavolo e inizia a fissarmi con insistenza. Un muro tinto di giallo ci si para davanti alla fine di quella passerella stretta e sporca, mostrandoci le viscere dell'inferno. Non capisco dove lui voglia sedersi, i tavoli sono tutti pieni e non si guarda nemmeno in giro. Si avvicina a una porta sgangherata di ferro nell'angolo, trascinandomi con sé e ne afferra la maniglia. Punto i piedi sul pavimento, opponendo resistenza. Non entrerò lì dentro, qualunque cosa ci sia, non lo farò. Qualcosa sotto il tacco mi fa scivolare e Daniele mi afferra le braccia al volo e mi sorride come solo un demone travestito da angelo saprebbe fare.

Se Respiro Troppo, mi accorgo di essere vivoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora