Notte fonda -Lei-

46 3 0
                                    

-Grazie- Riesco a dire appena mi calmo un po'. Lui sta già andando via ma alle mie parole si ferma. Quella situazione mi ha agitata parecchio. Forse è colpa di tutte la fissazioni di mia madre su come siano pericolose le discoteche ad avermi innervosita tanto, ma ad assere onesta quando l'ho visto apparire fra le auto, mi sono sentita molto più tranquilla. Lo riconosco, il suo aspetto sembra un po' migliorato rispetto a questa mattina, ma credo sia lui.

Il ragazzo si volta appena verso di me e annuisce. Il suo viso è delicato, delineato da contorni morbidi che gli donano un aspetto quasi angelico, nonostante le profonde occhiaie che gli cerchiano le palpebre. Il naso dritto è messo in risalto dagli zigomi smussati e da un leggero velo di barba che gli oscura le guance come una sottile ragnatela. Il mio angelo custode sembra disegnato da un abile pittore. Il viso scultoreo è sormontato da capelli biondi leggermente arruffati e da labbra carnose e scure, intessute sulla trama olivastra che è la sua pelle, ma possiede anche occhi profondi dallo sguardo affilato che donano un tocco di crudele freddezza ad un aspetto altrimenti etereo. L'inganno della bellezza.

-Dovresti raggiungere i tuoi amici, quello che è successo poco fa dovrebbe averti fatto capire che stare da sola con uno sconosciuto non è una buona idea- Afferma duro ed io annuisco, anche se il suo comportamento mi da ai nervi, è stato gentile fino a questo momento e ora è quasi infastidito dalla mia presenza.

-Vorrei sapere come ti chiami- Dico ancora in parte grata per il suo aiuto.

- Te l'ho già detto questa mattina, ma non mi sembrava un'informazione che ti interessasse poi tanto- Ci ripenso e non mi viene in mente nulla. Del viaggio in treno mi è rimasto solo il ricordo angosciante della mia figuraccia - Vai dentro, sbrigati!

Quasi non mi tolgo una scarpa e gliela butto in testa di tacco; desisto, mi ha salvata, e che importa se non è un tipo simpatico ma... che bisogno c'è di reagire così? Volevo solo sapere il nome di colui che mi ha aiutata. Lui mi guarda ancora per un istante e poi mi volta nuovamente le spalle, dirigendosi verso la strada principale.

Continuo a guardare la sua schiena come un'idiota, il modo in cui cammina mi affascina per qualche motivo, quelle spalle larghe sembrano danzare su note sconosciute mentre si allontana, un ballo esotico capace di ipnotizzare persino una mente pragmatica; un ritmo picchiettato sulle corde illegali di uno strumento proibito. Devo ammettere che è un bel ragazzo.

Scuoto la testa come per riprendermi da qualche immagine celestiale. Affondo i denti nella guancia e mi obbligo a pensare con lucidità.

Devo andare via o rischio di incontrare di nuovo quel ragazzo, Mirco.

Mi guardo in giro cauta, tesa come una lensa con la preda fissa all'amo, spaurita come non mi sento da anni. Spulcio fra le auto incastrate nei disegni geometrici dei parcheggi, simmetriche come i denti di un pettine e finalmente la vedo, la mia macchina, tra un Audi e una Jaguar bella come sempre e lucida come piace a me. Sorrido. Finalmente posso stare tranquilla.

*
Affondo fra le lenzuola del mio letto, senza forze, ho ancora le palpitazioni, quell'orribile sensazione di impotenza non mi ha abbandonata, amplificata dalla febbre che sento salire grado dopo grado.

Quella brutta faccenda mi ha messa di fronte alla realtà, sono così debole da non riuscire a badare a me stessa. Chiunque riesce ad imporsi su ciò che vuole e io non riesco a rifiutare con la giusta durezza nemmeno uno scocciatore. Il mio respiro si fa pesante, mentre la mia mente è persa fra quei pensieri e incomincio ad avere serie difficoltà a respirare. Il panico si fa strada nella mia testa ed il corpo reagisce a questa emozione aumentando la frequenza cardiaca e quella con cui incamero aria nei polmoni, sempre di più, sempre più velocemente. Cerco di respirare piano ma non ci riesco. Sono in panico. Lo sento crescere dentro e comincio a sudare. Le piccole gocce d'acqua mi scivolano lungo le tempie e il collo, tracciando una mappa di ricordi sotto il mio pigiama.

In passato mi succedeva spesso. Quante volte ho sentito il mio petto stringere? Quante volte ho pensato, scioccamente, che mi sarebbero scoppiati i polmoni prima o poi? Erano solo i deliri di una bambina troppo stanca di non fare niente. Di sentirsi imballata in una campana di vetro. Estraniata dal mondo.
Devo respirare piano. Devo calmarmi. Stringo i pugni e cerco di farlo fino a quando questo non è più sufficiente. Serro una mano sul petto mentre con l'altra cerco di aprire il cassetto del mio comodino. Ci riesco. La mano trema sotto lo sforzo del mio corpo che è in carenza di ossigeno, ma riesco ad afferrare il respiratore. Spruzzo il farmaco dritto in gola ed è come afferrare la mano tesa di qualcuno quando sei sott'acqua e non riesci ad uscirne. Un tranquillizzante effetto placebo immediato. So che non è possibile che un solo sbuffo del farmaco faccia effetto così velocemente, ma io, in ogni caso, inizio a calmarmi. Piano piano il respiro comincia a regolarizzarsi. La mia cassa toracica prende a sollevarsi con meno frequenza fino ad arrivare al normale ritmo. Smetto di sudare e lentamente mi rilasso, lasciandomi inghiottite dal piumone nero del materasso.

E' da tempo che non soffro di fame d'aria, fortunatamente continuo a tenere il respiratore per l'asma vicino al mio letto.

Spero non sia tornato, mi ritrovo a pensare con ancora la mano sul petto; quel disturbo ha tormentato la mia infanzia e ora che credevo di essermene finalmente liberata, ho un nuovo attacco. Un altro schiaffo alla mia autostima. Ho cercato di rivestirla con così tanto orgoglio e arroganza da dimenticarmi di essere nuda di fronte alla realtà. Io sono solo questo. Una crisalide che sogna di svegliarsi farfalla e volare con le sue sole e robuste ali, ma che cade nel vuoto, delusa dalla disattesa.

Guardo il soffitto rosa con sguardo perso fino a quando un pensiero non affiora nella mia mente spontaneamente, come se servisse a calmarmi. Pescato fra i frammenti inutili di ricordi che la memoria rilega in un cantone inutilizzato, come un vecchio libro di favole in una casa di adulti. Riposto nello scaffale più alto di un vecchio mobile impolverato e corroso dalla muffa; un tassello doppio, inutile, inadeguato, in un puzzle semplice, la mia vita.

Era lui. Il ragazzo che mi urlava contro nel treno.
Nonostante tutto si era mostrato gentile, magari qualcun altro non si sarebbe nemmeno fermato, invece lui è venuto ad aiutarmi.

Se Respiro Troppo, mi accorgo di essere vivoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora