~6~ Voice and strings

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Bruce non riusciva a concentrarsi su nulla di quanto gli fosse passato davanti agli occhi da quando aveva lasciato la macchina

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Bruce non riusciva a concentrarsi su nulla di quanto gli fosse passato davanti agli occhi da quando aveva lasciato la macchina. L'aria era pesante all'interno del locale. Magari era solo un'impressione suggerita dalla forzata penombra in cui versava l'ambiente, eppure lo rendeva vagamente nervoso quasi quel velo d'oscurità si fosse attaccato alla bocca del suo stomaco.

Si aggiustò il colletto della camicia, faceva fatica a respirare e la clavicola destra pulsava ancora terribilmente, persino sotto la lieve pressione della giacca di costosa sartoria. Mentre muoveva i primi passi nella calca, di nuovo si chiese se qualcuno avrebbe notato la difficoltà con cui stava sorridendo da quando il gorilla all'ingresso gli aveva aperto la porta.

Odiava quando le persone gli si affollavano intorno a quel modo, soprattutto se aveva un tarlo conficcato nel cervello a rosicchiare le sue buone intenzioni. Era un comportamento da bambino viziato, Alfred aveva ragione, alla sua età avrebbe dovuto acquisire sufficiente controllo da fingere interesse e gentilezza in qualunque situazione. Invece si sentiva stiracchiato come carta da parati troppo consumata, mentre gli invitati di una lista che non aveva redatto si affannavano in saluti e complimenti.

Sapeva anche che Vicky Vale era in agguato da qualche parte, in attesa di coglierlo in fallo e strappargli qualche parola di bocca con la ferocia ostinata di un felino selvatico. Se solo fosse stato più crudele le avrebbe confessato che aveva perfettamente capito l'intento dietro i loro recenti trascorsi a cena.

Prima di potersene accorgere stava scansionando nervosamente la sala in cerca di una via di fuga, una scusa qualunque per tornare indietro. Un brutto vizio che aveva acquisito nel corso degli anni. Senza contare che, di recente, la sua tolleranza nei confronti delle chiacchiere e delle tentate interviste scandalistiche aveva raggiunto un minimo storico.

Erano settimane che si trovava in quello stato d'insofferenza, il peggio era che ne conosceva perfettamente i motivi. Non era più solo la sgradevole sensazione che qualcosa stesse sfuggendo al suo controllo, qualcosa a cui aveva dovuto dedicarsi con la pazienza di un entomologo per non impazzire. Il suo pensiero era inchiodato ai Panessa Studios, certo, ma non del tutto.

L'incontro con la giovane dottoressa l'aveva ossessionato per giorni dopo l'evento alla tenuta. Oscillava continuamente fra il maledirsi per non averle chiesto un numero di telefono, e la spietata consapevolezza di aver fatto la scelta più giusta e quest'altalena di realizzazioni non aveva fatto altro che peggiorare drasticamente il suo umore.

Ripercorrere, con la stessa cura che impegnava nel lavoro, il dialogo avvenuto con la ragazza aveva esponenzialmente acuito il suo desiderio di solitudine. Si stava torturando pur avendo già preso la decisione di non cercarla, eppure il ricordo dei morbidi capelli scuri, di quell'unica ciocca a disegnare la curva sottile del collo, la pelle bronzea fasciata dal semplice abito lungo, i grandi occhi di quello strano colore dell'ambra avevano deciso d'instillarsi fastidiosamente in un punto imprecisato fra le sue costole.

Batman: The city of rainWhere stories live. Discover now