7. Quasi

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Guardare il ritorno con il Real a casa di Paulo, con Federico e Mariano, è stata un’esperienza che non sono sicura di voler ripetere: non so se fosse per l’importanza della partita in sé, ma non ho mai provato così tante emozioni in una sola serata in vita mia.
Paulo era teso, ma non eccessivamente dopo aver fatto una bellissima tripletta a Benevento la domenica prima e averla dedicata alla mamma per il compleanno; mi ha chiesto in mille lingue di andare con loro fuori una volta tornati, ma ho rifiutato tutte le volte. Era giusto che passasse una giornata con la sua famiglia in solitaria ed io ancora non sono pronta a conoscere Alicia, per quanto la stimi e ammiri: ho come la sensazione che solo vedendomi noterebbe il sentimento che sta nascendo per il figlio, mi sentirei in imbarazzo e non vorrei deludere né lei né lui.
Sento le braccia forti di Federico abbracciarmi e lui sedersi sul letto dietro di me, che guardo l’armadio senza veramente vederlo <<Cosa ti turba, Ami?>> mi chiede, spostando i miei capelli sulla spalla sinistra.
Sospiro <<Niente, tesoro>> mi giro un poco per sorridergli.
Annuisce distrattamente e inizia a massaggiarmi le mani, sa che mi piace quando lo fa, soprattutto se mi abbraccia così facendomi sentire protetta <<Quindi non c’entra il fatto che tu ti stia palesemente prendendo per Paulo, no?>> chiede retorico.
Poggio la nuca sulla sua spalla e lui mi bacia la guancia <<Non è una brutta cosa, Ami, dovresti saperlo>> mi fa notare con dolcezza.
Inizio a giocare con le sue mani affusolate, massaggiandogli il dito che ha incassato ieri sera all’allenamento <<Paulo non è un semplice cliente che viene al bar, Fede, è molto di più e non sono sicura di saper affrontare tutte le conseguenze di essere una sua ipotetica ragazza>> cerco di spiegarli.
<<Ma lui non ti vuole come ragazza di Dybala, ti vuole come ragazza di Paulo il ragazzo che ti invita a cena da lui ogni tanto, che ti viene a prendere a lezione o che aspetta che finisca il turno al bar. Non è mai stato il calciatore con te, tranne dopo l’andata con il Real forse, secondo me non dovresti preoccuparti troppo di quell’aspetto>> mi dice e la sua saggezza mi stupisce.
Mi accoccolo nel suo abbraccio <<Saresti felice se un giorno io e lui ci mettessimo assieme?>> gli chiedo dopo un po’.
Lui stringe la presa <<Certo, sei stupenda quando stai con lui o lo senti, mi piaci così felice e rilassata Ami e non preoccupata per le tasse o me o i tuoi esami>> e questo mi convince a viverla come viene.
Se dovesse evolversi, bene, al contrario vivrò lo stesso; probabilmente con un peso sul cuore e sullo stomaco, ma sarò certa di avere una persona stupenda a fianco.
Federico continua a coccolarmi, ma ad un certo punto mette la nostra playlist preferita dal suo telefono a volume minimo, così che faccia da sottofondo; si appoggia ai cuscini dietro di lui e mi trascina con sé, senza mollare la presa dolce con cui mi stringe al suo petto diventato muscoloso.
Il campanello rompe questa atmosfera dolce, chiedo chi sia direttamente da quella postazione e al sentire la voce di Paulo ridacchio: gli mando un messaggio dicendogli di usare le chiavi dietro il vaso che abbiamo nel pianerottolo.
<<Ho interrotto qualcosa?>> chiede divertito, appoggiandosi allo stipite della porta con la spalla.
Fede mi stringe in modo possessivo <<Proteggevo mia sorella dall’argentino cattivo in arrivo>> scherza.
Gli do un colpo sul petto <<Scemo>> mi metto seduta <<Vai a prepararti, c’è la tua ultima partita di campionato>> gli do un buffetto sulla guancia.
Mi bacia la guancia e va a prepararsi, mentre Paulo prende il suo posto sedendosi vicino a me; mi saluta con il suo solito bacio e poi sorride <<Vieni domani con Fede? Il mister mi fa partire titolare>> chiede euforico.
Mi mordo il labbro <<Non lo so>> dico sincera.
Si rabbuia un po’ <<E’ qualcosa che ho fatto?>> si preoccupa.
Scuoto la testa <<No, è solo un periodo un po’ pesante>> mento.
Mi accarezza la guancia <<Vieni, allora, ti distrai un po’ e poi ci sarà Berna, non sarete soli>> mi dice dolcemente.
Sospiro e annuisco <<Va bene, verremo>> acconsento e poi scoppio a ridere al suo abbraccio improvviso che mi sbilancia, finendo sdraiata con lui sopra di me che ride.
Ci guardiamo un attimo negli occhi, riprendendo fiato dopo l’attacco di risa, e mi perdo dentro quel verde acceso; lui corruga la fronte, come se stesse pensando a qualcosa, poi sospira e si tira su, aiutando anche me.
<<Dovresti vestirti anche tu>> mi consiglia divertito.
Sbuffo <<Perché non si può uscire in pigiama>> borbotto andando verso l’armadio.
Recuperati i jeans neri e una maglia bordeaux, mi chiudo in bagno per rinfrescarmi al volo e litigare con i pantaloni che non vogliono saperne di salire con le gambe umide. Tornata in camera, mi trucco leggermente, giusto per non sembrare un cadavere che cammina e piego i capelli in una coda alta rapida; nello stanzino recupero le mie Converse alte dello stesso colore della maglia, forse leggermente più chiaro, e le infilo.
<<Sai, non avevo mai notato avessi il piede così piccolo>> mi dice Paulo, che ha seguito tutti i miei movimenti da quando sono tornata in camera.
Mi giro a guardarlo con un sopracciglio alzato <<Scusa tanto se non sono una pertica>> gli faccio notare ironica.
Lui si abbassa al mio livello e mi bacia la guancia <<Mi piaci così, posso abbracciarti meglio>> risponde divertito e dolce, come suo solito.
Mi sento arrossire e nascondo un sorriso mentre finisco di allacciarmi la scarpa <<Mi piacciono i tuoi abbracci>> confesso alzandomi e andando in soggiorno.
Federico sta sistemando la borsa per la partita, io infilo il giubbino di pelle nero e poi gli lancio il nastro per le dita, visto che lo stava dimenticando; toccherà a me fasciargli il dito, visto che oggi il nostro fotografo di fiducia non ci sarà. In settimana fisioterapista, nel fine settimana fotografo per la squadra che allena il padre: Alessandro è il migliore, sia per i massaggi che per le foto, le migliori sul mio profilo le ha scattate lui, quando ancora tiravo giù palloni su palloni da posto due. Mi manca un po’ quella vita, ma non avrei davvero il tempo per allenarmi e, soprattutto, pagare due quote sarebbe veramente troppo. Sorrido malinconica mentre Paulo guida tranquillo verso la palestra, ospite d’onore per la partita di Federico, ricordando le trasferte e gli allenamenti, la preparazione a dir poco traumatica, i carrelli per punizione, i gradoni in preparazione e per punizione anche loro. Ricordo il bello e il brutto: le vittorie facili, quando io e Tamara scommettevamo su chi facesse più ace, quelle più difficili dove ogni pallone era importante e ricordo le sconfitte, quelle di cui non capivi niente perché venivi tartassato di punti e quelle perse per un niente, per un errore stupido o, peggio, per un arbitraggio dubbio.
<<Tutto ok?>> mi chiede l'argentino, sorridendomi fermi ad un semaforo.
Sorrido e annuisco <<Sì, tranquillo>> lo rassicuro.
Mi guarda poco convinto, ma non ha il tempo di chiedere altro perché scatta il verde; per il resto del tragitto continua a parlare con mio fratello, chiedendogli degli avversari e dei suoi compagni.
Quando arriviamo Fede scompare negli spogliatoi assieme ad Alberto, il libero, mentre io e Paulo andiamo verso un punto abbastanza appartato delle tribune.
Per un po' si guarda in giro, poi posa lo sguardo su di me; lo sento osservarmi attentamente, poi sospira e si avvicina un po', abbracciandomi <<Ti va di dirmi che cosa hai? Sei strana stasera>> mi chiede dolce.
Guardo i suoi occhi e poi decido che un minimo di sincerità se la merita, mi ha fatto stare bene in questi mesi e continua a farlo, non posso che ricambiare così <<Qualche pensiero>> rispondo.
Si fa attento <<È successo qualcosa?>> si preoccupa.
Scuoto la testa <<No, niente, stavo solo riflettendo su delle cose che mi hanno resa triste e malinconica>> spiego.
È successo che mi sei entrato dentro, mannaggia a te.
Ci guardiamo per un attimo di troppo negli occhi, come poco prima dopo che mi aveva travolto con quell’abbraccio; poi Federico interrompe il momento, arrivando armato di nastro bianco e salva pelle. Sospiro e inizio a fasciargli il pollice che ha incassato durante un esercizio di difesa all’ultimo allenamento, concentrandomi su quello e cercando di non pensare agli occhi del numero dieci argentino che continuano a seguire ogni mio movimento.
Fede mi ringrazia con un bacio sulla guancia e poi raggiunge i compagni per iniziare il riscaldamento; mi sistemo con le gambe incrociate e seguo i movimenti dei ragazzi, che tra un esercizio e l’altro scherzano e chiacchierano tranquilli. La partita di stasera è praticamente una formalità, perché hanno vinto il campionato con tre giornate di anticipo e a ottobre esordiranno del campionato di serie C; non è la serie A, ma sono orgogliosa del mio fratellino, miglior attaccante del campionato a vedere le statistiche.
Ricordo quando esordii io per la prima volta in serie C: per noi era come la serie A, l’allenatore era uno dei più bravi del circondario e noi giovani ragazze sognavamo di poter fare anche un solo allenamento con loro. Io e Tamara ci siamo anche apertamente sfidate quando Vincenzo ci ha detto che Camillo avrebbe presenziato ad alcuni nostri allenamenti per scegliere qualcuno da inserire nei suoi e, nel caso, di portare in partita; scoprendo poi che voleva entrambe, sia in settimana che il sabato. Quando l’abbiamo scoperto prima siamo rimaste dieci minuti a bocca aperta, poi ci siamo guardate e siamo scoppiate a ridere; condivisa con lei quell’avventura è parsa meno spaventosa.
<<Tu giocavi, vero?>> mi chiede di punto in bianco, Paulo, dopo avermi osservata per tutto il tempo.
Sospiro <<Sì, ho giocato per quasi quindici anni>> rispondo girandomi per guardarlo.
Lui sgrana gli occhi <<Quindici?! Accidenti, una vita praticamente>> osserva.
Ridacchio <<Praticamente sì, ho iniziato perché anche mamma giocava quando era giovane, poi ha iniziato l’università e ha mollato, ma ci ha sempre trasmesso l’amore profondo per questo sport>> spiego.
<<Un po' come mio padre, ma lui aveva smesso per un infortunio. Ma non ha mai abbandonato il sogno di un figlio professionista>> osserva.
Annuisco <<Beh, non c'è dubbio che tu sia il suo orgoglio>> gli sorrido sincera.
Lui mi guarda con gli occhi leggermente lucidi, poi continua ad osservarmi con mezzo sorriso, di quelli teneri e imbarazzati; è già la terza volta questa sera, il mio autocontrollo non è di ferro.
Mi sposta il ciuffo da davanti agli occhi con una carezza dolce <<Ti va di andare a cena fuori, domani dopo la partita?>> mi chiede di punto in bianco.
Annuisco, incapace di formulare un solo pensiero coerente <<Vuoi passare prima a casa o andiamo direttamente dallo stadio?>> dico infine.
Ci pensa un attimo <<Direttamente dallo stadio, se vuoi cambiarti ti faccio imbucare negli spogliatoi quando se ne saranno andati tutti>> mi assicura.
Scuoto la testa <<Sarò un po' in soggezione, ma non è un problema>> gli assicuro.
Lui sorride felice, mi stampa un bacio sulla guancia e mi abbraccia per le spalle; poi decide che quella posizione non gli piace e mi fa segno di sedermi nel gradone sotto a quello dove siamo, così che possa abbracciarmi meglio e farmi appoggiare la nuca al suo petto muscoloso. Sospiro e faccio come mi dice, godendomi le sue braccia attorno a me e la sua voce leggermente roca che ogni tanto mi chiede spiegazioni su alcune azioni o su gesti arbitrali.
Sarà una partita molto lunga.

Imprevisto // Paulo DybalaWhere stories live. Discover now