20. Ritorno

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Federico si siede sul letto vicino a me, abbracciandomi e cullandomi un po’ <<Senti, ti va di venire in palestra?>> mi chiede dolce <<Ti distrai un po’ e godi vedendoci lasciare anche l’anima mentre facciamo preparazione>> aggiunge.
Sospiro <<Non ho molta voglia, Fede, e mi manca l’ultimo esame>> gli dico mogia.
Sbuffa <<Lo sai a memoria, quell’esame Ami, uscire per un paio d’ore ti farà bene. In queste due settimane non hai fatto altro che uscire per andare in biblioteca o a lavoro>> mi fa notare <<Lo so che ci stai male, davvero, ma non puoi ridurti così per uno che non ha saputo amarti come si deve>> continua serio.
Non gli è andata giù la mia discussione con Paulo e, ancor meno, il suo comportamento dopo: sembra sparito, se non fosse per le notizie della squadra non saprei nemmeno se si stia allenando o meno. Non ha fatto niente: non un messaggio, non una chiamata, il nulla totale; l’unica cosa che mi viene da pensare è che, davvero, lui non riesca ad amarmi e allora Paulo Dybala rimarrà solo un bel ricordo, niente di più.
Mi giro a guardare mio fratello, preoccupato per me e desideroso solo di vedermi tirar su <<Hai ragione>> dico sicura <<Vedervi soffrire mi farà bene, uscire mi farà bene>> annuisco convinta.
Fede mi abbraccia felice <<Questa è mia sorella!>> esclama <<Forza, hai dieci minuti>> mi schiocca un bacio sulla guancia e mi lascia sola.
Riguardo questa camera, i ricordi della nostra prima volta riaffiorano prepotenti: la sua dolcezza, il suo timore di un mio ripensamento, la sua attenzione, le carezze, i baci, tutto. Mi mordo il labbro quasi a sangue, pur di non ricominciare a piangere; prendo un bel respiro e mi alzo, prendendo un paio di leggins e una maglia rossa oversize, metto le Nike nere e raggiungo Federico in salone <<Fede, andiamo!>> lo richiamo, vedendolo concentrato sul telefono e con un sorriso enorme, probabilmente un messaggio di Carlotta.
Vicenzo mi tiene abbracciata per quasi cinque minuti buoni appena mi vede entrare in palestra, felice di rivedermi <<Torni a giocare?>> mi chiede speranzoso.
Scoppio a ridere <<No, Vincè, lo sai>> rispondo allo stesso modo da almeno due anni, forse anche da quando ho smesso di giocare.
Sbuffa <<Una come te mi servirebbe, ora che anche Tamara se n’è andata>> borbotta.
Sorrido, non potendo fare altro: Tamara ha trovato l’uomo della sua vita e si è trasferita a Firenze, da quello che so ha trovato una buona squadra e sta finendo gli studi nella patria dell’arte <<Lo sapevi che non saremo rimaste in eterno, Vincè, non è una novità>> gli faccio notare divertita.
Si stringe nelle spalle <<Lo so, ma ci speravo>> commenta <<Dai, dammi una mano con questo branco di disgraziati>> mi incoraggia, facendomi segno verso il centro del campo.
Rido ancora, ma lo seguo, aiutarlo con i ragazzi sarà divertente.
Dormire, questa notte, è più difficile del solito: questa camera sa decisamente troppo di noi e non solo per i ricordi della nostra priva volta, ma per tutte le sere che abbiamo passato accoccolati davanti al pc guardando un film o una serie tv scelta a caso. Ricordo ancora il suo stupore quando abbiamo visto la puntata dell’incesto tra Cesare e Lucrezia Borgia, dell’omonima serie con Jeremy Irons; ero scoppiata a ridere vedendo la sua faccia sconvolta, spiegandogli che poi il loro rapporto era forse una delle cose più fedeli alla storia, cosa che lo aveva sconcertato ancora di più. Oppure le risate quando gli ho fatto vedere “Sconnessi”, film tutto italiano comico, ma che cela molta verità del nostro tempo; avevamo le lacrime agli occhi e i crampi allo stomaco dalle risa, ma alla fine ci eravamo fermati a riflettere sul significato della pellicola, molto più profondo di quanto possa sembrare.
La vibrazione del mio telefono mi fa riemergere dalla rete di ricordi in cui ero caduta; un messaggio, di Gonzalo “Come stai?”. Sospiro, bella domanda…
L’ex numero nove bianconero mi sta aiutando molto, dopo che l’ho chiamato il giorno dopo il confronto con Paulo; nell’unico giorno libero che aveva, in queste settimane, ha preso Lara e Alma ed è venuto a trovarmi per capire bene cosa fosse successo. Non è stato convocato per questa pausa nazionali, quindi non so come stia Paulo, anche perché ho limitato gli incontri con i suoi compagni, con la paura che potessero fare domande.
“Non lo so nemmeno io, Gonza” rispondo alla fine.
È la verità, non riesco a capire se sia rassegnata, delusa, arrabbiata, triste, o tutto assieme; stare in palestra ad aiutare Vincenzo mi è servito, forse è stare in questa camera così piena di noi che non aiuta per niente.
“Perché non vieni un paio di giorni qua da noi?” scrive subito.
Mi mordo il labbro indecisa: staccare mi servirebbe, ma non voglio lasciare Federico da solo, non dopo che mi è stato così vicino in questi giorni, a volte anche rinunciando a del tempo con Carlotta. È una ragazza comprensibile, ma non voglio mettermi in mezzo alla loro relazione solo perché il ragazzi che amo ha deciso di tacere quando gli ho chiesto se provasse lo stesso.
“Ti faccio sapere domattina, devo parlare con Fede” digito rapida “Grazie” aggiungo con uno dei miei cuori gialli.
Il suo messaggio non si fa attendere “Tutto per la nostra piccolina” e sorrido, sentendo gli occhi farsi lucidi; decido di seguire il consiglio che mi arriva subito dopo, cioè di dormire, così lascio la mia stanza e mi intrufolo in quella di mio fratello. Mi sdraio lentamente nella parte vuota, venendo subito circondata dal suo abbraccio <<E’ successo qualcosa?>> mormora assonnato.
Mi sistemo bene, godendomi le sue coccole <<Non riuscivo a dormire>> rispondo intrecciando la mano alla sua.
Lascia un bacio sul mio collo <<Ci sono io, ora, Ami>> sussurra e torna a dormire.
Lo seguo poco dopo, sognando un bambino con gli occhi chiari e una massa di capelli castani in braccio a un ragazzo con un tatuaggio sul braccio sinistro.
<<Ami, non devi chiedere a me se puoi andare da Gonzalo>> mi fa notare Federico la mattina a colazione <<Posso chiedere a Carlotta se posso stare da lei un paio di giorni, ne sarà felice>> continua sorridendomi.
Giro distrattamente il cucchiaino nella tazzina del caffè <<E’ che ti sei preso così cura di me in questi giorni che mi sembra di farti un torto>> mormoro.
Non ho ben capito quando i nostri ruoli si siano invertiti, ma è una cosa che mi piace perché significa che il nostro rapporto è molto solido e che entrambi faremo qualsiasi cosa per vedere l’altro felice.
Mette la sua tazza nel lavandino e si avvicina <<Ami, guardami>> dice tirandomi su il viso <<Non mi fa nessun torto, rimanere in questa casa ti fa peggio che vederlo per strada, si vede. Gonzalo ti è stato vicino tanto quanto me e so che al di là di questa situazione ti manca molto, soprattutto Lara con la piccola Alma>> continua dolce <<Prenota un biglietto e vai da loro, per un paio di giorni posso cavarmela. Intanto abbiamo dei compiti da fare con Carlotta, di matematica e di italiano, ci saremo visti comunque>> mi sorride.
Sospiro <<Sicuro?>> chiedo ancora, indecisa.
Lui di tutta risposta va in camera e torna con il pc; si siede vicino a me e prenota il biglietto da sé, dandomi poi il telefono per avvertire Lara <<Tesoro, come stai?>> risponde subito, preoccupata.
<<Potrei stare meglio>> mormoro <<Senti, hai da fare per pranzo?>> le chiedo timida.
Sento qualcosa cadere e un’imprecazione di Gonzalo in sottofondo che mi fa ridacchiare <<No, no, no, assolutamente, a che ora arrivi in stazione?>> si riprende.
Guardo la prenotazione ancora aperta nel computer <<Per mezzogiorno, ritardi permettendo>> rispondo.
<<Sto già uscendo!>> esclama <<Ti farò scordare quel nanetto da strapazzo in questi due giorni, perché di meno non rimarrai>> e sembra più una minaccia, l’ultima, che una proposta.
Ridacchio <<Va bene, due giorni da dedicare a te e alla piccola, d’accordo?>> le chiedo.
<<Perfetto>> conferma <<Ci vediamo dopo>> mi saluta e chiude la chiamata.
Il viaggio in treno si rivela essere una pessima idea: troppo tempo per pensare, Federico mi ha proibito di portare le dispense di geografia per l’esame e non riesco a concentrarmi per leggere il libro che ho portato con me.
Il pranzo con Lara è stato esilarante, abbiamo parlato di tutto e niente, senza mai toccare l’argomento Paulo; abbiamo deciso poi di fare un giro per il centro, è riuscita a convincermi a comprare qualche vestito nuovo e adesso siamo sedute in un bar del Duomo con un frullato tra le mani. Mi chiede di raccontarle cosa sia successo, così lo faccio, ricordando la delusione che mi ha pervaso dopo che ho perso quella stupida scommessa; cerco di descrivere al meglio le sensazioni della notte passata assieme, senza scendere troppo nello specifico, per quanto vedo che lo vorrebbe per lo meno per stemperare un po’ l’atmosfera. Poi la decisione di non sentirlo, quanto sia stato difficile mentirgli la prima volta, come la serata con Stefania sia stata provvidenziale per tenerlo lontano, la partenza di qualche giorno per Roma. Mamma ha capito tutto non appena ho messo piede in casa, seguita da Federico ancora vagamente incazzato; il suo consiglio di ascoltarlo, che magari aveva capito e voleva solo chiarire, quanto si sbagliava, non ha spiccicato parola, ha lasciato che lo chiudessi fuori dalla mia vita senza fiatare.
<<C’è da dire che un po’ stronzo è stato>> osserva Lara, alla fine del mio monologo.
Nonostante tutto mi scappa una risata, la semplicità con cui l’ha detto è esemplare <<Lo sono stata anch’io a nascondere una cosa del genere in una scommessa però>> le faccio notare, tranquilla.
Alza di colpo lo sguardo dal passeggino della figlia <<Ma sei scema?!>> chiede retorica e vagamente isterica <<Lui ti sta paragonando praticamente a quel manico di scopa con cui si accompagnava e sarebbe colpa tua?!>> continua e più che isterica, sembra incazzata <<Il suo essere stato pugnalato da quella là non giustifica il suo silenzio. Siete due pianeti completamente differenti, Mida, e tu cento volte meglio, fidati di me che l’ho conosciuta. Non c’è niente che gli possa far perdonare la sua codardia, perché di questo stiamo parlando, ha paura di rimettersi in gioco>> continua sempre più accorata.
Sospiro <<Io sapevo, però, quanto quella relazione l’abbia segnato. Non è stato carino nascondere un sentimento così forte in una stupida scommessa>> rimango ferma sulla mia idea.
Lara scuote la testa <<Forse, ma è stato lui a star zitto, a non provare nemmeno a difendersi o a scusarsi. Non ti ha nemmeno spiegato il perché abbia taciuto, Artemide, non è solo colpa tua>> e il suo tono non ammette repliche.
Abbasso lo sguardo, girando la cannuccia nel frullato, senza saper che dire; l’argentina forse ha ragione, forse non è solo colpa mia, ma rimango convinta che la scommessa sia stata una pessima idea perché potevo impuntarmi e farlo parlare.
<<Potrei non rivederlo più, Lara>> mormoro, realizzando improvvisamente il più funesto degli scenari.
Lei si sposta vicino a me e mi abbraccia, quasi materna <<Tornerà da te, perché ti ama proprio come tu ami lui, ha solo bisogno di ammetterlo a se stesso>> mi rassicura.
Spero abbia ragione.

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Che giorni orribili.
Sento così tanto la mancanza di Artemide che anche allenarmi è diventato pesante; sono rimasto come un povero scemo quando mi ha chiuso la porta in faccia, dopo avermi detto che devo capire se provo lo stesso sentimento.
Chiudo la valigia con un sospiro: contro ogni mia previsione, visti gli ultimi sviluppi, sono stato convocato in nazionale; parto domani mattina e vorrei non farlo. O, per lo meno, vorrei salutare Mida all’aeroporto domattina, mandarle un messaggio quando arrivo, sentirla tra una seduta e l’altra; è anche vero, però, che potrei fare proprio quello che lei mi ha chiesto, per quanto difficile e quasi doloroso sia.
<<Tutto ok, mi hijo?>> mia madre entra in camera, sedendosi vicino a me sul letto.
La guardo e scuoto la testa <<Mi ha chiesto se la amo, mami, ma sono stato zitto>> le confesso.
Mi guarda severa <<Perché?>> chiede diretta.
Sospiro <<In realtà nemmeno lo so>> ammetto e le racconto brevemente la scena in palestra.
Passa la mano nel mio ciuffo e seguo il suo movimento, poggiandomi poi al suo seno così che mi conceda un po' di coccole <<Forse la sua non è stata la mossa più intelligente, hijo, però ha provato in tutti i modi a introdurre il discorso e tu ti sei sempre chiuso a riccio>> mi fa notare e non posso darle torto.
Artemide ha provato varie volte a farmi aprire sull'argomento amore, ma ho sempre glissato: non è qualcosa di cui amo parlare, perché fa ancora abbastanza male. Per quanto dicano che sono stato io lo stronzo della coppia, sono quello che ha sofferto di più, perché lei poi è rimasta in Italia a lavorare e a rilasciare interviste vittimistiche.
<<È diverso da com’era con Antonella>> mormoro.
Mamma annuisce <<Questo dovrebbe farti riflettere>> mi suggerisce <<Segui il suo consiglio, pensa al vostro rapporto, Paulo, poi parla con lei al tuo ritorno>> continua accarezzandomi la guancia.
Sospiro e mi sporgo per baciarle la guancia <<Hai voglia di accompagnarmi all’aeroporto con Mariano domani?>> le chiedo.
Sorride <<Ma certo tesoro>> risponde contenta <<Ora, però, vieni a cena>> mi da un buffetto sulla guancia ed esce dalla stanza.
Scuoto la testa e ridacchio, se c'è una cosa su cui mia madre non transige è la cena tutti assieme quando torna a trovarmi: almeno che non debba uscire con Artemide, non vuole assenti alla sua tavola.
Durante il volo, la mattina dopo, recupero il sonno che ho perso in queste notti trovandomi veramente stanco; quando arrivo in Arabia, però, i pensieri tornano a vorticarmi prepotenti in testa tanto che a mala pena noto i miei compagni.
Quanto vorrei che ci fosse Gonzalo con me, i suoi consigli mi aiuterebbero tanto; sono in camera con Diego, invece, e non mi dispiace più di tanto, è un ragazzo simpatico.
<<Come sta la tua ragazza, Paulì?>> mi chiede mentre sistemiamo le nostre cose.
Mi blocco con la maglia a mezz’aria <<Bene, molto impegnata con gli ultimi esami della sessione>> dissimulo <<I tuoi bambini?>> mi informo.
Sorride e si stringe nelle spalle <<Crescono>> risponde semplicemente, l’emozione di padre vivida nello sguardo.
Rimaniamo in silenzio mentre finiamo di sistemare <<E’ una bella ragazza>> commenta poi, senza malizia.
Annuisco <<E molto intelligente>> aggiungo, ricordando con un sorriso quando l’ho aiutata a ripetere per l’esame di letteratura ispano-americana. La passione, la fluidità del discorso, la precisione delle citazioni e la connessione logica degli argomenti, sapevo che l’avrebbe passato con facilità; amo vederla studiare, così concentrata e amo anche la foga con cui mi spiega alcuni concetti che l’hanno colpita a lezione.
Diego mi guarda leggermente confuso <<Tutto ok? Ti sei zittito di colpo>> si preoccupa.
Scuoto la testa, riprendendomi <<Stavo solo pensando>> forzo un sorriso <<Forza, il mister non voleva fare una riunione?>> chiedo retorico, uscendo dalla camera.
Prevedo un ritiro lungo.
Dopo cena siamo tutti assieme, parliamo dei rispettivi campionati e di varie altre cose, ma non presto molta attenzione indeciso se mandare o meno un messaggio ad Artemide <<Non è il metodo migliore per chiarire, se avete discusso>> Leo mi fa gomito.
Lo guardo confuso <<Dici?>> chiedo insicuro <<Non ho fatto una cosa proprio bellissima>> mormoro quasi vergognandomi.
<<Appunto per quello dovresti parlagliene a voce>> continua <<E’ normale sbagliare in una relazione, Paulo, lo faccio anch’io dopo tanti anni>> mi sorride incoraggiante <<Rifletti su quello che hai fatto e dedicati a queste amichevoli, quando torni a Torino parli con lei>> conclude.
Annuisco, anche se poco convinto <<Grazie>> gli dico sincero.
Mi da un colpetto sulla spalla <<Quando vuoi>> mi fa l’occhiolino.
Sospiro e vado in camera, stanco dal viaggio e dalla giornata; Diego torna qualche minuto dopo ed entrambi ci mettiamo a letto.
Non riesco ad addormentarmi, così mi metto a pancia in su e guardo il soffitto, ripensando all’ultimo periodo passato con Artemide: il nostro rapporto è cambiato, si è evoluto sicuramente. Le nostre abitudini si sono intrecciate, abbiamo iniziato a parlare di noi, del nostro passato, dei nostri sogni; siamo diventati intimi e mi sembrava così naturale passare gran parte della notte sveglio, con lei appoggiata al mio petto, a chiacchierare di cose serie o di cose stupide. Abbiamo passato ore intere a parlare di un film che avevamo visto, una notte ha cercato di spiegarmi come funziona l’universo di Star Wars; non ci ho capito niente, ma era divertente vederla sbuffare e ricominciare da capo come se stesse parlando con un bambino. Ridacchio ripensando a quante risate ho trattenuto e quante non sono riuscito a farlo; ricordo anche quando sono rimasto incantato a sentirla parlare dei due romanzi che ha dovuto leggere per un altro esame, quanta ammirazione avesse per quella donna –di cui ora mi sfugge il nome- che da un paesino di provincia, ha conquistato l’intero mondo letterario tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento.
Ripenso anche al sogno a occhi aperti quando sono andato da Miralem: l’avevo scacciato subito, perché quando ne avevamo parlato con Antonella, varie volte tra l’altro, poi non era andata bene e, in più, se all’inizio era rimasta vaga, alla fine aveva detto che non era possibile, senza mai darmi tante spiegazioni in merito. Con Artemide non ne abbiamo mai parlato chiaramente, ma mi aveva detto una sera che le piacerebbe avere un bambino un giorno, che già fare da babysitter a Edin, di tanto in tanto, le piace molto. Forse è proprio il piccolo a rendere bello fare da babysitter, conquista tutti, ma avevo ben capito cosa intendesse lei; lì per lì non ci avevo fatto molto caso, limitandomi a dire che anche a me un giorno piacerebbe avere una famiglia, magari numerosa come la mia, ma non avevo minimamente pensato che avrei potuto crearla con lei. Ora invece ci penso e non riesco a bloccare le labbra che formano un sorriso immaginando un bambino con una matassa di capelli castani –o almeno scuri- e due occhietti vispi e chiari, ma li adorerei anche se fossero scuri come i suoi. Magari una femminuccia, una bambina da coccolare e viziare, magari uguale a lei.
I giorni si susseguono uguali qua in Arabia: colazione, allenamento, pranzo, allenamento e sempre gli stessi pensieri in testa. La prima amichevole va benino, io non gioco molto, ma forse è meglio così perché, stranamente, nemmeno giocare con la mia nazionale mi aiuta a ragionare; non riesco a togliermi dalla testa il suo sguardo rassegnato quando sono rimasto zitto sull’uscio di casa sua, le lacrime che segnavano già le sue guance e altre che premevano per uscire. Sono una persona orribile: lei mi ha donato tutta se stessa, già dalle prime uscite; era vicino a me quando abbiamo perso con il Real, quando abbiamo perso con il Napoli, ma era con me anche alla vittoria della Coppa Italia, alla vittoria con l’Inter all’ultimo secondo, al pareggio con la Roma, alla premiazione dello Scudetto. C’era quando siamo usciti dal mondiale, ha messo da parte la sua felicità nell’aver conosciuto Paul per starmi vicino dopo la disfatta della mia prima esperienza mondiale; c’era all’arrivo di Cristiano, mi ha consolato quando le ho detto che forse sto sbagliando a rimanere visto che non sono d’aiuto per la squadra dicendomi che devo solo abituarmi, che avrò anch’io le mie occasioni in questo campionato. Lei c’è sempre, nel bene e nel male, e io mi sono trincerato nella mia paura: che stupido, buttare al vento una relazione così bella.
“Spiegami cos’hai fatto” il messaggio del mio amico francese non è molto amichevole.
Sospiro e avvio una video <<Ti lascio solo cinque minuti e tu fai casino, vedo che le vecchie abitudini sono dure a morire>> esordisce.
<<Prima ho una domanda io>> gli dico confuso <<Come fai a sapere che ho fatto qualcosa?>> gli chiedo.
Si stringe nelle spalle <<Ho parlato con lei>> risponde semplicemente <<Ora voglio la tua versione, su>> mi fa segno con la mano di parlare.
Faccio un respiro profondo <<Lei mi ama, Paul, me l’ha detto, me l’ha fatto capire. Mi è stata vicino nel bene e nel male, mi ha aiutato, mi ha sostenuto, ha festeggiato con me, e io sono stato zitto. Muto davanti alla sua rassegnazione, alle sue lacrime versate e a quelle che stava per versare>> riassumo tutto d’un fiato.
Alza un sopracciglio <<Ma sei scemo?!>> esclama <<Hai un gioiello di ragazza vicino, degna di quel titolo finalmente, e fai una cosa del genere?!>> continua.
Sposto lo sguardo, cercando di evitare di scoppiare a piangere come un bambino <<Pau, scusa, mi hai sconvolto>> mormora il francese <<Cosa vuoi fare ora? Perché è indubbio che sia tutto ricambiato>> mi chiede più calmo.
Sbuffo <<Non lo so, da qua non posso fare molto, a malapena riesco a giocare. Vedrò di parlare con lei appena torno, non voglio affrontare una simile discussione per telefono non se lo merita>> mormoro <<Ma non saprei nemmeno che dirle a voce, ho così tanta roba in testa che a stento riesco a dormire più di tre ore a notte>> sbotto.
Si accarezza il mento <<Effettivamente non si può fare diversamente>> riflette <<Puoi solo aspettare e non ti manca molto per tornare a casa>> mi fa notare <<Non puoi risolvere subito, Paulo, devi mettere ordine nei tuoi pensieri prima di affrontare una discussione con lei>> dice tranquillo.
Sorrido <<Quel viaggio ti ha proprio cambiato, sai?>> osservo.
Ridacchia <<Non sei il primo che me lo dice e sono contento che si veda>> fa un leggero movimento con la testa <<Certo, ho sempre la mia aurea da pazzo, ma rifletto molto di più prima di fare qualcosa>> annuisce <<Sono viaggi che ti segnano, fidati>> conclude.
<<Sei sempre un grande, Paul, e grazie per aver parlato con lei e per avermi sgridato un po’, mi serviva evidentemente>> faccio spallucce.
Fa l’occhiolino <<Tutto per Artemide>> ribatte <<Vi voglio a Manchester eh, assieme>> quasi mi minaccia <<Dormi un po’, Dybi, perdi il tuo fascino con le occhiaie>> mi saluta e chiude, lasciandomi con nient’altro che una risata di cuore.
La seconda amichevole l’ho giocata per intero, da schifo; rispondo quasi a monosillabi alle interviste, stessa cosa ai miei compagni e mi isolo con le cuffiette nelle orecchie in aereo di ritorno verso l’Italia.
Quando arrivo a casa è notte fonda, tremo dal nervoso che ho addosso; mollo la valigia in salotto, sfruttando la solitudine che mi circonda, e mi butto di schiena sul letto. Riaccendo il telefono dopo ore, spaventato da quello che avrebbero potuto dire, da quello che hanno detto; leggo qualcosa, tra le migliaia di insulti c’è qualche incoraggiamento, che un po’ allevia, ma io ho solo occhi per la negatività stanotte. Sento le lacrime pungermi gli occhi e nella confusione più totale, prendo le chiavi della macchina e vado verso l’unica persona che so avrà un abbraccio per me, una buona parola, un po’ di amore da donarmi. Quasi inchiodo quando arrivo sotto il suo palazzo; il portone è accostato, non l’hanno ancora aggiustato a quanto vedo in questa coltre di dolore. Faccio le scale a due a due, incurante dei muscoli che chiedono pietà dopo le ore di aereo, incurante della vista appannata e del sapore salato che sento sulle labbra. È con il respiro affannoso che suono il campanello; è con le lacrime che scendono prepotenti che la guardo assonnata aprire la porta e mormorare il mio nome; è con voce rotta da quel pianto nervoso che pronuncio poche semplici parole.
<<Ti amo, Artemide>>.

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SCUSATE IL RITARDO.
Sono piena di studio e di cose da fare e, come spesso in questo periodo, l'ispirazione latita.
Spero che l'attesa sia valsa la pena, in caso contrario, ho già il passaporto pronto per l'espatrio🙈
Ditemi che ne pensate in un commentino e ci vediamo al prossimo.

Besitos💛

Imprevisto // Paulo DybalaUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum