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Capitolo 23

Pesca





Jungkook si rigirava la penna tra le dita, guardando distrattamente il professore. Si doveva impegnare per avere buoni voti a scuola, se non voleva avere suo padre di nuovo alla porta a chiedergli cosa diavolo stesse combinando nella sua vita.

Chiuse gli occhi e ispirò profondamente.

Maledetto lui e quando aveva deciso di andare per club con quei tre imbecilli, soprattutto, maledetto per esserci andato in piena settimana e non nel weekend.

Però la sera prima, da solo nella sua stanza, sentiva di stare lentamente sprofondando nella pazzia, mentre non sentiva altro che il ticchettare dell'orologio al muro e la voce di suo padre che gli ripeteva che doveva studiare meglio, se voleva capire qualcosa della loro azienda. A Jungkook non importava assolutamente niente della sua azienda. Non era la loro, era quella del padre, anche se si ostinava a chiamarla "di famiglia".

Quale famiglia?

Quale?

Riaprì gli occhi, cercando di restare sveglio. Il suo corpo doleva, dove la sera prima era stato colpito. Ancora poteva rivedere la scena ripresentarsi davanti ai suoi occhi.

Una bella ragazza, sicuramente più grande di lui, sicuramente maggiorenne rispetto a lui che doveva tirare fuori un mazzetto di banconote e chiedere che non si controllasse la sua data di nascita sul documento. Era stata provocante e sensuale nel suo bel vestito attillato.

Jungkook aveva bevuto, forse troppo, e Jung-hee l'aveva spinto tra le braccia di questa, sulla pista da ballo. Jungkook non sapeva ballare ma aveva poca importanza, quando nel club gli unici ballerini veri erano i cubisti sopra le loro teste a cui non prestava la minima attenzione. La donna si era premuta contro di lui e l'aveva baciato. «Che carino che sei, ragazzino. Quanti anni hai?»

«Come se ti importasse» aveva risposto lui, continuando a ballare e baciarla al centro di un turbine di gente a cui di loro, di lui, non importava proprio niente. Non importava niente nemmeno a quelli che ora, per assurdo, poteva chiamare amici e che avevano passato mesi a rendergli la vita impossibile e che lui aveva anche picchiato solo pochi anni prima. Ora erano gli unici che lo potevano vedere davvero.

O meglio.

Erano gli unici che potevano vederlo così. Inebriato e fuori controllo quando per tutto il resto del giorno doveva controllarsi per non mettersi ad urlare.

Urlare contro suo padre.

Contro la sua insegnate che non faceva bene il suo lavoro.

Urlare allo spirito di sua madre che l'aveva portato al mondo e poi l'aveva lasciato lì da solo.

Dopo aver passato mezz'ora con la ragazza nel bagno, tra momenti di sudore e lingua che non riusciva a rimettere in ordine e che ad un certo punto lo avevano portato con il cazzo dentro di lei, era uscito dal bagno per cercare ancora qualche altra cosa da bere.

«Dov'è?» disse un tipo, spintonandolo.

«Chi?»

«Molli» rispose il bruto la cui faccia non riusciva a distinguere bene a forza dell'alcool. «Che le hai fatto?»

«Niente che non mi ha chiesto di fare» rispose lui, voltandosi e andando al bancone, per ordinare un altro cocktail da scolare il più velocemente possibile.

«Yo» Jung-hee si avvicinò «Te la ricordi quella cosa speciale che ti ho fatto provare?»

«Mmm» Jungkook bevve e poi agitò il bicchiere davanti al viso dell'altro, instabile sui suoi piedi «Chiamala per quella che è» si piegò in avanti e schioccò le labbra: «Eroina»

DARKER//kookvWhere stories live. Discover now