Cap. 35

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La pietra del terrazzo era fredda sotto le dita nude. Anche la sedia, quella scorticata in acciaio, mi gelava le cosce. Mi sarei dovuto mettere i pantaloni lunghi, erano i primi di settembre e all'alba il freddo pervadeva la baia assieme ai primi raggi del mattino e gli il  ultimi dell'estate.
Quel giorno mi ero svegliato tanto presto da vedere Kirishima uscire di casa per la sua usuale corsetta mattutina.
Tutto sembrava tingersi di bianco, il colore del silenzio e dell'alba, pareva di sentire le foglie frusciare fra i rami e il cuculo cinguettare monotono nella selva. Non c'erano più ubriachi che rincasavano alle 7 con più alcol in corpo che sangue nelle vene, non c'erano più i motori degli autobus per la città. L'estate stava finendo, e con lei ogni cosa che la ricordava.
Ogni singola cosa.

Non mi ero svegliato presto con un obbiettivo, forse volevo solo guardare i pescherecci partire dal molo, sentire mia madre russare nella stanza accanto e ispirare l'odore silvestre dei pini marittimi, quell'odore leggero che col caldo sembra sparire, inghiottito dall'afa e dall'umido, dalla canottiera attillata per il sudore o dai sandali che feriscono i piedi.
Ma era stata una cattiva idea, non avrei dovuto destarmi da un sonno privo di sogni per cadere in un'angoscia assillante.
Avevo provato a prendere in mano un libro, ma dopo aver dovuto rileggere lo stesso paragrafo per la quarta volta avevo capito di avere la mente altrove. Niente avrebbe potuto distrarmi.

Buongiorno Izuku
Mi aveva scritto quando il sole era sorto, non aveva aggiunto né un cuore né una emoji, ma era Kacchan e ciò mi piaceva.
Buongiorno Kacchan
Ma quale buongiorno, non c'era niente di buono in quel giorno.
E lo sapevamo entrambi.

Il riso freddo sul bordo piscina sapeva di rimorsi e delusioni. Ingurgitavo i bocconi come fossero pasticche utili a sopravvivere, ma futili all'animo. I miei due vicini si schizzavano svogliatamente. Gli ultimi giorni erano i più noiosi, capitoli e capitoli da recuperare e nessuna bella ragazza in paese,  questo pensavano i due. Kirishima strappava qualche filo d'erba dal prato, il riso gli faceva schifo.
Gli facevano schifo anche le interrogazioni di latino, quelle che Todoroki gli faceva sempre.
"Is; ea; id; eis; eis..."
"Eius"
"Cosa eius?"
"Is; ea; id; eius; eius; eius, non eis"
"È uguale"
"anche per me se ripeti l'anno è uguale."
Silenzio.
"Eius; eius; eius;"
Kirishima proprio non lo sapeva il latino. In quel momento avrei dato qualsiasi cosa per  dovermi preoccupare di un'insufficienza in latino piuttosto che di un amore marcio.

Lo schermo si illuminò. 16:47 segnava l'orologio.
Quei due ripassavano ancora i pronomi latini e io avevo il mal di testa per le ore passate su instagram.
"Passo da te fra cinque minuti"
Mi prese un colpo. Saltai in piedi spaventando i due studiosi.
Kacchan sarebbe passato a salutarmi.
Infilai dei jeans sul costume e spazzolai maldestramente i capelli.
Ti aspetto.

Suonò il campanello. Saltai gli scalini due per volta, appoggiandomi all'esile ringhiera di legno. In quei pochi secondi che separavano la mia camera dall'ingresso il respiro mi si attorcigliò in gola. Il terreno di legno lucido era fresco sotto i piedi, realizzai di aver dimenticato di mettere le scarpe, pazienza.
Afferrai la maniglia. Inspirai una disperata boccata d'aria, l'odore di mare e mediterraneo mi penetrò le narici. È l'ultimo respiro.
Dietro quella porta c'è l'estate.

Marijuana. Profumava di marijuana.
E fino a quel momento non sapevo cosa fosse un abbraccio.
Mi sosteneva e si aggrappava al mio corpo esile, i suoi muscoli tesi mi stringevano al punto da non respirare, sentivo il suo sudore contro la mia pelle e il suo ventre contro il mio.
E non c'erano più secondi, non c'erano più respiri che valesse vivere se non fra quelle braccia. C'era solo Katsuki, il mio bellissimo Katsuki.

"Per te" aveva detto arrossendo e porgendomi un pacco. Lo vedevo indifeso, per la prima volta insicuro, scoperto. Mi stava mostrando un lato di sé, un lato di Katsuki comunemente occultato.
Soppesai il regalo, lo scartai tremante. Avevo capito. Avevo capito cosa era. E non c'erano parole.
"Pensavo ti piacesse averlo... come ricordo"
Sebbene al centro della tela fossi dipinto io, avevo occhi solo per quelle pennellate, quei tratti figli della mano di Kacchan, perché nel mio volto dipinto vedevo l'artista che me lo aveva donato. Vedevo Katsuki nella sua camera di hotel, nella canottiera sporca di tempera mentre mi ordinava di distendermi sul letto, quando ancora il suo sguardo, indagante sulle mie forme, era un mistero. Quando ancora Katsuki non era il mio Katsuki.
Guardavo quel dipinto e non uscivano parole, solo lacrime.
Per me.

Mi aveva dato un leggero bacio sulle labbra, sfiorato la guancia con le sue dita nodose e fissato negli occhi con sguardo eloquente, profondo, devastato.
"Fra un'ora sono a casa, e fra un'ora ti chiamo, ok?"
"Ok"
"Non fare quella faccia triste, mica non ci vedremo mai più."
Quale faccia? Parli della stessa con cui mi stai guardando in questo momento?
"Appena torno a casa mi vieni a trovare vero?"
"Subito"
"E ti presento per bene a mia madre"
"Certo"
Un sospiro.
"Ricorda la promessa eh"
Disse ridente. Ridente di facciata, con l'anima a pezzi.
"Certo" sospirai "Niente finisce, l'estate è eterna. L'hanno detto i papaveri."
Sorrise.
"Esatto."
Un ultimo bacio, l'ultimo davvero, lungo e avvilente, ma travolgente, amaro. Distruttivo.

Inforcò la sua moto, calcò il casco e si sistemò la giacca.
Poi mi guardò.
Alzò una mano, come per salutarmi la sventolò, ma senza entusiasmo.
Un ultimo incrocio di occhiate, e non mi permisi di distogliere lo sguardo. Attesi, ressi il confronto. Degli occhi stanchi e melanconici, ma baluginanti di un amore non descrivibile.

Fu mentre la moto si allontanava, il rumore di motore calpestava il silenzio settembrino e gli ultimi respiri si spezzavano, fu mentre Katsuki partiva e con lui la spensieratezza di un'estate che mi fu chiaro.
Non c'era sicurezza, non c'era eternità e non c'era nessuna promessa.
Pestai il papavero rosso sul ciglio della strada. Lo pestai piangendo.
Lo pestai finché non ne rimase che una pappiccia informe di petali e foglie.

Fanculo i papaveri, fanculo i papaveri e le loro promesse. Fanculo i papaveri e le loro bugie.

Fine

La bugia dei papaveri


Angoletto dell'autrice
Che dire...
direi che il nostro percorso finisce qua,
Ho impiegato un anno a scrivere questo libro per la bellezza di 35 capitoli, mi sono presa tante pause e nel mentre ho perso molti lettori, ma sono soddisfatta del mio lavoro, sono soddisfatta di cosa ho scritto.
Il finale non è triste, ma neanche felice, è reale.
Avevo preso in considerazione un finale negativo, Katsuki torna a casa e i due non si vedono mai più, ma poi ho pensato che così mi sembra molto più romantico: Izuku realizza che non c'è nessuna promessa, che si è voluto illudere di poter vivere in eterno nella spensieratezza e nel gioco.  Ma anche se l'estate è finita non è detto che l'amore fra i due sia cessato con essa. Anche se non andranno più a cogliere papaveri insieme o a ballare al The Carousel ho lasciato il dubbio, un finale aperto, come andrà a finire la storia? Continueranno a scriversi i due? Si sposeranno o sarà stato solo un amore adolescenziale? Non è dato a me scriverlo, io ho solo narrato l'estate di due ragazzi :)

P.s. siamo 1 in classifica per #Midoriya :)

La bugia dei papaveri •Bakudeku•Where stories live. Discover now