4. Esercizio di resistenza.

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WALLACE

Era passata una settimana dall'ultima volta che avevo visto Roxie, non che mi sorprendesse.

Ormai aveva avuto quello che voleva e ci aveva messo poco a farmi capire di uscire da casa sua, perciò non mi aspettavo di certo che tornasse. Anche se una grossa parte di me – il bassoventre soprattutto – sperava che lo facesse.

Nei giorni in cui non si era presentata al pub, mi ero obbligato a non pensare a cosa stesse facendo, perché molto probabilmente la risposta non mi sarebbe piaciuta.

Al dir il vero anche quel pensiero era surreale: avevo sempre saputo che Roxie non era la donna con cui costruire qualcosa, ed ero cosciente che oltre al sesso, non avrei avuto altro. Non potevo di certo sperare in una sua chiamata il giorno dopo. Conoscevo fin troppo bene Roxie da sapere che sarebbe sparita per qualche giorno.

Ovviamente reprimevo qualsiasi pensiero e non lo mostravo mai a nessuno, nemmeno a Nathan e Seth quando in palestra usciva il suo nome. Ripetevo a macchinetta le stesse cose: «quella ragazza mi inquieta», «non la capirò mai», «non saprei che farmene di una sola notte con lei», «Roxie mi lascia perplesso» in risposta, i ragazzi sghignazzavano e deviavano il discorso.

Per loro Roxie era solo quella fissata con il sesso, non si chiedevano se ci potesse essere un motivo dietro. Secondo il mio punto di vista, dietro i silenzi e le riflessioni di Roxie si celava molto di più, il che mi incuriosiva e attraeva. Non andava affatto bene, dovevo smettere di pensarla.

Il sole quel sabato pomeriggio era quasi cocente, specialmente per me che mi ostinavo a vestirmi in tinta nera persino in estate. Mi sistemai più comodo sullo sdraio posizionato al centro del giardino ben curato. Avevo passato la mia infanzia in quella casa, ci ero cresciuto e ora, nonostante ne avessi una tutta mia, tornavo dalle mie ragazze tutte le volte che potevo, per accertarmi che stessero bene. Mamma era in casa, mentre Sybil era ancora fuori con le sue amiche, ma al telefono – quando l'avevo chiamata - mi aveva assicurato che mi avrebbe raggiunto al più presto. Sorrisi al solo ricordo. Tenevo moltissimo alla mia sorellina, da quando era nata il mio universo girava attorno a quella ragazza. Avevamo pochi anni di differenza eppure mi ero sempre sentito responsabile per lei. Forse, la causa era nostro padre che ci aveva abbandonato subito dopo la sua nascita e io ero subentrato come uomo di casa. Ero cresciuto con l'idea di doverle proteggere perché in quanto uomo, dovevo dimostrare di essere diverso da colui che aveva abbandonato la sua famiglia ferendo mia madre tremendamente. Da quel giorno mi ero ripromesso di non farle mancare nulla, che mi sarei preso cura di loro e che sarei stato la loro roccia. Nonostante il padre assente, mamma era sempre stata presente, non ci aveva mai fatto mancare nulla. Era stata la mia migliore amica e negli anni questo ruolo non lo aveva mai ceduto a nessuno. Avevamo imparato a prenderci cura l'uno dell'altra e ormai convivevamo con l'idea che papà non sarebbe tornato e che non importava perché ci saremmo bastati noi tre.

«Wallace!» Strillò una voce familiare mentre era intenta a riprendere fiato.

Tenni gli occhi chiusi perché non mi serviva aprirli per sapere che mia sorella fosse corsa da me. «Sybil riprendi fiato o stramazzerai al suolo.»

La sentii spostarsi e lo sdraio di fianco a me, cigolò perciò immaginai si fosse seduta. «Ti dico sempre di avvertire così non devo correre per tre isolati per raggiungerti.»

«Non dovevi correre.»

Rimase in silenzio qualche attimo prima di confessare: «avevo voglia di vederti.»

Al che aprii un occhio per puntarlo nella sua direzione. Sybil si stava torturando le mani, lo sguardo basso nascosto dai lunghi capelli castani. Le posai una mano sopra le sue, alzò di scatto la testa puntando i suoi occhioni castani sui miei. «Scusami se non sono venuto ultimamente, avevo delle cose per la testa.»

Mostrami la fiducia (#3 Nightmares Series)Where stories live. Discover now