9.2 Un oracolo dannato

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Mi risvegliai nella mia cella. La ninfa sembrava voler tracciare solchi profondi sul pavimento, camminando avanti e indietro e facendo schioccare con ritmicità le dita della mano. A ogni schiocco un petalo colorato sgorgava dal suo palmo e pioveva a terra, dissolvendosi appena prima di toccare il rozzo lastricato.

Un sospiro rivelò il mio risveglio alla mia carceriera personale.

«Sciocca di una mortale! Profilo basso, eh? Hai maledetto tutta la corte! Hai maledetto perfino l'oracolo! Parleranno di te in tutto il regno, lo sai? Canteranno le tue avventate gesta! Ovviamente non in termini molto cortesi.»

Mi alzai a sedere e scossi le spalle. «Quel viscido vecchio ha professato il falso» mi giustificai.

«No, stupida, ciò non è possibile! E non solo perché noi demoni non possiamo mentire, ma perché non si è mai sentito nella nostra storia, che è molto più estesa di quella di voi mortali, che un oracolo si sbagliasse. Mai! Tu sei la promessa sposa e devi fartene una ragione!»

Fremetti di rabbia e serrai i pugni. «Demone dannato, ti ripeto per l'ultima volta che io non ho mai promesso niente a nessuno! Elijah me l'ha sempre detto, mi ha sempre dimostrato che ciò era possibile, utilizzando la nostra lingua mortale.»

Khloris si arrestò di colpo. L'ultimo petalo si dissolse nell'aria ancor prima di scivolare sul basamento.

«E se ti avesse sempre detto la verità facendotela passare per una menzogna?»

Una lama incandescente mi perforò il ventre. Stavolta non ero stata io a infilzarmi turpemente, erano state le sue parole velenose a colpirmi nel punto più debole.

Una doppia menzogna. Una mezza verità.

Mi portai le mani alla testa, cercando di recuperare i nostri ricordi, le chiacchiere futili, i giochetti ameni, i teatrini infantili, le risate a crepapelle, quegli occhi che continuavano a cambiare colore.

Verità, bugia, bugia e verità.

Non ricordavo più nulla.

Non ero sicura più di nulla.

«Credo che il tuo Elijah sia il Principe di Niegek.»

Quando alzai lo sguardo, d'istinto arretrò di un passo indietro.

«I-io devo andare. I-il mio turno è finito da un pezzo, verrò punita se mi attarderò ancora una volta. Ci rivedremo al sorgere del secondo sole.»

Annuii e mi avvolsi nella coperta.

Fuori dalla mia porta, chiusa con una tripla mandata, c'erano due sorveglianti armati fino ai denti. La ninfa li superò a capo chino, udii i suoi piedi correre lungo i corridoi appena l'uscio fu richiuso alle sue spalle.

Iniziai a dondolarmi avanti e indietro, con le gambe strette al petto e la testa oppressa tra le ginocchia.

Chiusi gli occhi e mi trascinai con le poche forze che avevo nel passato.


Ero appena arrivata alla fonte segreta.

Elijah era seduto sopra un masso, le gambe divaricate e le mani in grembo.

"Eccoti, sei qua" sorrise lieto.

"Come facevi a sapere che sarei tornata?"

Il mio cuore era adombrato da emozioni così forti e contrastanti che mi sentivo morire. La paura per ciò che avevamo fatto qualche sera prima, la mia avventatezza, la nostra follia. Era un demone, dannazione, un demone sconosciuto, bello, sì, ma non sapevo nulla su di lui, solo il suo nome. Come avevo potuto essere così sciocca? Come avevo potuto osare tanto?

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