47. Una sposa fedele

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"Stai diventando troppo bella."



Un pulviscolo dorato aleggiava nel cono di luce che dalla finestra si espandeva fin sopra il mio letto. Con le dita pallide mi presi gioco della polvere, finsi di essere una maga dotata di un potere incantatore.

Brucerei ogni cosa, pure me stessa.

Le cameriere scheletriche vennero a prepararmi un bagno di latte d'asina e miele, per lenire la sofferenza che il mio corpo aveva subito la prima notte di nozze. Mi unsero con oli realizzati con una mistura di fiori: gelsomini, lavanda e viole del pensiero. Per colazione bevvi una tisana bollente alle rose, una tazza di tzikir e divorai due ciambelle al burro farcite con crema di nocciole.

Restai in vestaglia, seduta sul davanzale della finestra con un morbido panno di lana steso sulle ginocchia. Mi beavo della luce dei due soli mentre sfogliavo un libro erotico che avevo trovato in biblioteca. Parlava di due troll che si erano innamorati di un'umana. Lei era sordomuta.

Ogni tanto chiamavo la servitù e leggevo ad alta voce i pezzi più arditi. Avevo proposto loro di prendere in prestito alcuni romanzi. Si erano tutti rifiutati. Restavano ad ascoltare, senza poter sorridere, il teschio non permetteva alcuna sfumatura espressiva. La mia dama personale, però, pareva divertita. O forse era solo lieta che la mia salute si fosse ristabilita.


A pomeriggio inoltrato, annoiata, scivolai scalza lungo i corridoi. Non mi premurai di coprirmi: rimasi in veste da camera, coi capelli spettinati dal sonno sciolti sulle spalle.

Il re si trovava nella sala regale, seduto sul trono.

Al suo cospetto, con mia somma sorpresa, trovai la guaritrice.

Un uomo di una bellezza ultraterrena che emanava un potere immane e una splendida demone chinata sulle ginocchia, vicino ai suoi mocassini di pelle di drago.

Provai una punta di gelosia. Lei si era prostata senza alcuna decenza, con gli occhi lucidi e le labbra tremanti. Teneva le mani in preghiera sulla fronte alta. I capelli ispidi e ricci erano stati intrecciati in centinaia di treccine contorte che formavano una corona attorno alla nuca. Indossava un abito bianco che le lasciava un seno scoperto e due sandali avorio allacciati fino a metà polpaccio. Vederla in abiti mondani, e non con l'abituale camice con cui mi aveva accudito, mi spiazzò. Gli zigomi pronunciati e le ossa sporgenti non le garantivano più quell'aurea d'eleganza che avevo scorto in lei.

Era di un'estrema volgarità.

«Non può avere figli. Né con la magia, né con un rito di sangue o un sortilegio. Il suo ventre è infecondo, inadatto a ospitare vita, mortale o immortale che sia...»

Parlava di me.

Stranamente, non provai alcunché. Anzi, ne fui quasi sollevata.

«Guaritrice, apprezzo il vostro attaccamento nei confronti di mia moglie. È il motivo per cui non vi ho uccisa quando non siete riuscita a guarirle la cardiopatia. Questa informazione però per me è del tutto irrilevante. Non ho mai desiderato divenire padre, non ho mai voluto prole.»

Elijah rispose con tono scocciato, la testa reclinata di lato sullo schienale, la giacca aperta e la camicia sbottonata. Non si era cambiato dalla notte prima. Sembrava che si fosse alzato dal mio letto e recato direttamente sul podio.

La demone provò a ribattere, sbatté le lunghe ciglia umide sugli occhi.

Decisi allora di entrare in scena. A passo languido mi appropinquai al mio sposo, mi sedetti sul bracciolo mentre i due mi fissavano con stupore. Rivolsi un lieve cenno alla nostra ospite e storsi il naso mostrando di non gradire il suo aspetto. Lei intuì e si coprì il petto, allacciandosi celere i lembi di tessuto dietro il collo.

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