10. Un principe misterioso

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"Mi stai ascoltando?"

"Sì! Dimmi una bugia. La più grande di tutte! Qualcosa che io sappia per certo che è una falsità."

"Tu sei davvero una principessa."


Passai il resto della notte a piangere, supplicare e fustigarmi mentalmente.

Sebbene per me l'immagine di Elijah fosse incompatibile con quella dell'oscuro Principe di Niegek, non potevo fare a meno di pensare che fosse l'unica risposta plausibile.

O quella, o il fatto che fossi stata scambiata per un'altra ragazza, un'altra mortale proveniente dalle Gemme Sacre, che aveva avuto la malaugurata idea di fidanzarsi con un demone, condannando me e mio padre a una fine ingiusta e prematura.

Ma questo avrebbe voluto dire che il mezzo ranocchio e il vetusto oracolo avevano dichiarato il falso. E ciò sembrava non fosse proprio possibile nel mondo dei dannati.

O io avevo ragione e tutti quanti mi stavano mentendo.

O io ero nel torto e tutti stavano cercando di rivelarmi l'amara verità.


I raggi del sole penetravano di sbieco attraverso le sbarre della cella, creando disegni geometrici sulle fresche lenzuola di cotone. Con le dita sfiorai quei nastri di luce, fingendo di avere anch'io dei poteri, di poter evocare la magia per infondere pace e tranquillità.

E di poterli bruciare tutti, dal primo all'ultimo, di far divampare fiamme così alte da radere al suolo quel regno con quel nome così antitetico. Airene.

E poi di poter viaggiare, superando le barriere dello spazio e del tempo, di fare ritorno dove forse ero ancora attesa, dove tra poco non lo sarei stata mai più.


Tutto mi aspettavo fuorché di venire sottoposta ai lavori forzati. Secondo la regina questo tipo di punizione avrebbe sedato il mio animo ribelle rendendo la prigionia utile alla corte oltre che alle sue controverse strategie politico-militari.

Venni fatta prelevare dalla principessa Enyo, coi suoi occhi tombali e le sue corna ritorte, e condotta nelle cucine, con due manette magiche ai polsi. La sorella del re aveva un sorriso ferino dipinto di viola.

Mi fu ordinato di pulire il prezzemolo, tagliare le cipolle e sbucciare le patate. La magia del piccolo popolo che offriva servizio dentro al castello era grezza ed elementare. Per questo motivo per svolgere compiti simili era più funzionale l'olio di gomito. Come mi aveva accennato Khlo, gli incantesimi richiedevano controllo; più era precisa l'azione che andava eseguita, più era facile sbagliare: le foglie di prezzemolo finivano tra gli scarti, la cipolla veniva affettata o troppo spessa o troppo fine, e insieme alle bucce ruvide andavano sprecati metà dei tuberi.

A me non dispiacque essere sottoposta a un regime forzato, anzi. Non volevo più starmene chiusa in camera a rimuginare su ciò che era stato, su ciò che avevo combinato. Il lavoro rutinario mi aiutava a spegnere la mente. La cucina era un crocevia di creature strambe ma gentili che deviavano il mio sguardo, un intenso olezzo di soffritto speziato e brodo di carne di manzo impregnava le pareti. Nani, folletti e minuscole fate si affaccendavano insieme ai fornelli, chi svolazzando, chi appollaiato su una scala, chi armato di bacchetta magica.

I demoni al servizio invece, sempre più affannati, e ricevevano istruzioni sempre più bizzarre.

Una vampira voleva sangue di cerbiatto a temperatura ambiente, servito con fiori di lavanda e due cucchiaini e mezzo di zucchero. Una chimera si era lamentata delle tende nella sua stanza; erano rosse e lei non poteva sopportare il colore rosso: le provocava un'emicrania a grappolo. La principessa voleva che il suo vestito fosse aggiustato di nuovo, al posto delle perle e delle conchiglie che erano state intessute sull'orlo dello strascico, voleva la polvere delle ossa dei nemici sconfitti.

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