21. Un piatto di carne

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Non ricordo come finii nelle mie stanze.

So che mi accasciai sul pavimento. Il re provò prima a sedarmi con la magia, poi chiamò delle guaritrici, i secondini, alla fine sopraggiunse perfino la sorella. Non respiravo, avevo il cuore che sembrava sul punto di scoppiare e le lacrime non mi permettevano di vedere nulla, solo una realtà sfocata che odorava di legna da ardere, acqua salmastra e liquore ai frutti di bosco.

Arrivai nelle mie stanze in braccio a qualcuno. Le serve mi portarono a letto la tisana ai fiori di rosa che mi avevano servito al mattino.

Quella riuscì ad acquietarmi.

Il mio attacco di panico si tradusse in un inaspettato e immeritato pomeriggio di clemenza; mi fu concesso di rimanere nelle mie stanze, semi-sdraiata, a legger e rileggere il mio amato libro di fiabe.


Non pensarci, non posare neanche per un istante la tua attenzione lì.

Non devi pensarci.

Devi togliertelo dalla mente.

Non pensarci. Non pensarci, V., non pensarci.


Il bussare lieve della porta mi fece trasalire. Ebbi l'istinto puerile di nascondermi sotto le coperte.

Rimasi pietrificata qualche istante, cercai di sedare l'angoscia con lunghi e profondi respiri.

Rassegnata, chiusi il volume, mi misi seduta, rassettai il vestito tutto stropicciato.

Sapevo chi mi stesse di fronte, non avevo alcun bisogno di posare lo sguardo su di lui.

«Verrete a cena con me, stasera. Mi hanno detto che vi siete rifiutata di mangiare a colazione e a pranzo.»

Non ebbi nemmeno bisogno di stringere i pugni o mordermi un labbro.

Non avevo più forze per lottare.

«Una delle forme di tortura che mi obbligavano a utilizzare in guerra, era quella di tenere in vita i prigionieri oltre ogni limite concesso a un corpo costretto in un grave stato di denutrizione. Vi assicuro che nemmeno io potevo molto. Massimo un mese e quelli perivano come se la vita evaporasse dalle carni. Una visione raccapricciante, non saprei descrivervela a parole.»

Aggrottai un sopracciglio.

Sperai che un lieve cenno d'assenso bastasse a porre fine a quella visita particolarmente sgradita.

«Se avessi saputo che la rivelazione avrebbe scaturito in voi questo effetto... be', avrei usato quest'arma in mio possesso molto prima.»

Alzai lo sguardo, non resistetti oltre. Lo investii con tutto l'odio che covavo in grembo.

Lui sorrise.

Nessuna maschera celava il volto scavato e i lineamenti algidi. Non v'era alcuna corona sul suo capo, le corna non rilucevano funeste, i capelli biondi erano incastrati dietro le orecchie dalla punta arrotondata.

Ma quegli occhi neri... quegli occhi totalmente neri...

«Come desiderate, Vostra Altezza.»

«Vi piace il libro?»

Con un cenno indicò il suo regalo.

La copertina spiccava tra le candide lenzuola: disegni arzigogolati di folletti, fatine, stelle, fiori e rampicanti nodosi. Fiabe per bambini, fiabe per dormire sonni sereni.

Avrei voluto rispondergli tante cose, maledirlo, provocarlo, essere impudica e irriverente, scagliarglielo contro.

Ma tutto si era spento dietro quelle parole.

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