Epilogo

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"Ti amo, moglie mia. Ho fatto tutto questo per te."



Mi alzo a sedere di scatto. Sono in un bagno di sudore. Non riesco a urlare.

Porto una mano alla gola, un nodo invisibile mi soffoca. Ho un cappio attorno al collo e non posso scioglierlo.

Non respiro, non riesco a svegliarmi.

Scendo dal letto, mi infilo due ciabatte in tessuto e annodo in vita una vestaglia di seta scura che avevo abbandonato la sera prima sul pomolo della testiera.

Lui dorme supino, russa placido come un bambino. Il volto è immerso in un cuscino di piume d'oca, le ampie spalle nude si alzano e abbassano al ritmo del respiro.

Eppure, la stanza a me sembra priva di ossigeno.

Corro verso il balcone, spalanco tende e finestre, esco nella notte scura boccheggiando, ansante.

Tre spicchi di luna si intravedono nella volta celeste, due a sud-est, uno all'estremo oriente.

Mi sporgo senza più fiato nei polmoni. Osservo il buio denso, il nero, il salto nel vuoto.

Allungo un braccio, mi tendo, apro la mano e rivolgo il palmo verso il basso.

Prendimi. Prendimi con te.

Lo rivedo come nel sogno, sorridente, insolente, seduto su un masso levigato dalle intemperie. Con la punta delle dita diafane accarezza l'acqua, vi infonde un elisir rigenerante.

Per me.

Sta aspettando me.

Aspetta sempre e solo me.

Elijah, vienimi a prendere!

Estendo l'arto, sporgo tutto il busto oltre la balaustra, quasi fossi in grado di raggiungerlo, di correre da lui attraverso la fitta foresta sacra, per raggiungere la fonte limpida e segreta di Is Nöa, come quando ero un'impavida e terribile ragazzina.

Lui ride, scuote il capo. I capelli corvini si spettinano sulla fronte.

Quando alza gli occhi, sono color fiordaliso.

Vorrei chiamarlo, invocare il suo vero nome, chiedergli perché sia così triste.

Conosco già la risposta. La sento risuonare nelle orecchie.

È un'altra domanda, pronunciata in tono cantilenante.

"Mi sarai fedele, sciocca di una mortale?"

Singhiozzo. Chino il mento.

"Io sempre. Yut nur."

«Perdonami» sussurro «Perdonami, amore mio...»

Oscillo, perdo l'equilibrio, una scossa di vertigini mi riscuote, mi riporta alla realtà.

Sono sospesa nel baratro, tesa verso la fine. Elijah scatta in piedi, abbottona gli alamari della giacca, stringe la cravatta.

Appare contrariato.

"Sd urj ahhklo" pronuncia con voce greve. Le sue iridi sono di un argento vivo. "Ci rivedremo presto. Me l'hai promesso."

Una folata di vento mi spinge all'indietro. Torno coi piedi per terra, le nocche della mancina sono sbiancate da tanto ho stretto la presa sulla ringhiera.

Porto la destra al petto. L'organo cardiaco è impazzito, freme di puro terrore. L'aria fredda ripulisce i residui di un incubo ricorrente, mi lascia solo l'amarezza, il rimpianto, qualcosa di simile alla malinconia.

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