Seconda parte: Capitolo 9

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Passarono tre mesi dalla partenza di Bilbo e da quella strana conversazione con il mio padrone. In quei mesi sembrava essere tornato tutto alla normalità. Frodo era tornato il solito solare Hobbit di sempre e io ne ero molto felice, seppure non avevo ancora compreso il perché fosse stato così scosso quella sera.
Pensai che forse era solo triste della partenza del suo amato zio Bilbo, ma sentivo che c'era dell'altro.

...

Quel giorno io e Frodo lo passammo scappando dalla realtà della Contea a raccontarci storie sdraiati sull'erba e a parlare di semplici stupidaggini, perché a noi piaceva così.
Il sole al tramonto nella Contea era il paesaggio più meraviglioso che avessi mai visto e non lo avrei voluto passare con nessun altro, se non con Frodo. In quel momento eravamo sulla collina più alta di Hobbiville ad ammirare il sole sprofondare tra le montagne, che ci sembravano vicine, ma erano più lontane di quando potevamo aspettarci.
Io e Frodo cominciammo a sentire la stanchezza di una lunga giornata fuori casa e scrutavo i suoi occhi che ogni tanto si chiudevano. A quel punto buttò la testa delicatamente sul mio grembo e io arrossii sorridente.

 A quel punto buttò la testa delicatamente sul mio grembo e io arrossii sorridente

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"Tu non sei stanco, Sam?" Mi sussurrò.

Io cominciai ad accarezzargli i capelli mentre inserivo le dita tra i suoi riccioli.

"Un pochino. E tu?"

"Molto." Rise, poi sospirò "Mi manca Bilbo. Mi sembra di aver perso un altro genitore."

"Forse lui doveva partire, forse non si sentiva a casa."

"Come si può non sentirsi a casa nella Contea, Sam? Neanche Gandalf ha voluto darmi spiegazioni."

Anche io avrei voluto capire, non conoscendo molto bene né Bilbo, né Gandalf, ma sapevo che tutto aveva un nesso con le avventure del Signor Bilbo. In quel momento non avevo molta voglia di pensarci. Avere Frodo sul mio grembo mi faceva soltanto venire le farfalle nello stomaco e non avevo intenzione di rovinare quel momento.

I suoi capelli profumavano sempre di menta, e mentre osservavo le sue labbra rosee, avevo la strana sensazione di volerle toccare. Osservai le sue palpebre chiuse che non mi davano la possibilità di vedere quell'azzurro che quasi mi accecava. Osservai le sue mani e scrutavo le vene ricche di sangue che facevano battere il suo cuore pieno di onestà, gentilezza e altruismo. E lo tenevano in vita. Osservai il suo corpo coperto dai vestiti. Osservavo il suo tutto e non volevo smettere.

Poi lui riaprì gli occhi e mi sorrise come faceva sempre, e fu allora che scrutai anche i suoi denti bianchi. Una sua mano finì sulla mia guancia e le sue parole furono come miele che mi cadeva delicatamente sulle labbra, invadendo ogni centimetro della mia bocca.

"Mio caro Samwise Gamgee..."

Io lo guardai sorridendo e lui mi squadrò il viso dai capelli al mento imitando il mio stesso dolce sorriso.
Non c'era bisogno di dire altro. In quel momento eravamo noi due da soli contro il mondo, come sovente si dice, e avrei voluto tanto che restasse per sempre così. Ma non avrei mai immaginato che quello sarebbe stato l'ultimo tramonto che avrei visto nella Contea per molto tempo.

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