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Loki usò il Tesseract per tornare a New York. Era la prima volta che ci metteva piede da quando era scappato. Doveva fare attenzione, perché in quella metropoli viveva la maggior parte degli Avengers e immaginava che, per quanto loro possibile, erano ancora sulle sue tracce. Chissà se quel cervellone di Stark era riuscito a inventarsi uno strano aggeggio che lo avvisava della sua presenza in città, come una sorta di antifurto.

Loki sorrise a quel pensiero: che venissero pure a prenderlo. Li avrebbe sconfitti tutti in men che non si dica. Nel frattempo lui avrebbe cercato questo Stregone Supremo; se la sua intuizione era esatta, anche quel mago citrullo doveva trovarsi in quella città calamita di supereroi.

Ma come trovarlo tra più di otto milioni di abitanti?

La risposta gli arrivò con imbarazzante tempismo, tanto che lui stesso non poté credere a quella casualità. Passando davanti allo spazio esterno di un locale, Loki si immobilizzò non appena udì la voce profonda dell'uomo della sua visione. Si voltò verso i tavolini, ma non lo trovò seduto a mangiare, bensì inquadrato nella tivù attaccata al muro di mattoni. Stava facendo un'intervista, la scritta in sovraimpressione lo identificava come il Dottor Stephen Strange, neurochirurgo presso il Metropolitan General Hospital.

Perfetto!, pesò Loki, ghignando con soddisfazione.

*

Loki si diresse all'ospedale e chiese subito di vedere il chirurgo. Le infermiere gli dissero che era impegnato, ma lui non le ascoltò e si diresse verso il reparto. L'edificio era un labirinto, ma lui era abituato a ben altri dedali, come ad esempio gli intricati corridoi del palazzo di Asgard. Seguendo le indicazioni, Loki arrivò senza problemi al piano esatto e all'ufficio giusto. Entrò senza bussare, ma non trovò nessuno nella stanza. Osservò l'ambiente scansionandolo col suo sguardo di ghiaccio, poi decise di ficcanasare un po'. Chissà che non trovasse qualche indizio.

Aprì cassetti, sfogliò documenti, sbirciò in cartelle, ma apparentemente non c'era nulla che riconducesse quell'uomo alle pratiche magiche. Sempre se lo era davvero, uno stregone, e non un imbroglione.

Ma per quanto il mondo potesse essere assurdo, Loki si rifiutava di crede che l'altro lui, quello delle visioni, si fosse fatto imbrogliare da un terrestre qualunque.

È anche vero che l'altro me si è innamorato di una stupida midgardiana, si ricordò, arricciando il naso per il disgusto. Dovevano avergli fatto il lavaggio del cervello, non trovava altra spiegazione per cui un qualunque lui di un qualunque universo potesse perdere la testa per una terrestre.

«Salve.»

Il dio si voltò verso l'ingresso. Stephen Strange lo stava fissando accigliato, con la mano sulla maniglia della porta.

Loki ghignò. «Signor Strange! La stavo cercando.»

«Dottor Strange» lo corresse. «Chi è lei e cosa ci fa nel mio ufficio?»

Si studiarono a vicenda, occhi di ghiaccio contro occhi di ghiaccio.

«Allora?» lo intimò il chirurgo.

«È sicuro di non conoscermi già?» chiese Loki avvicinandoglisi. «Perché sono abbastanza sicuro che lei sia lo Stregone Supremo.»

Strange inarcò le sopracciglia. «In effetti, potrebbe aver bisogno di un neurochirurgo, signor... non mi ha ancora detto come si chiama.»

«Smettila di fingere» si irritò Loki, abbandonando la cortesia. «Dimmi che diavolo mi hai fatto, dimmi perché ho queste visioni!» berciò.

Stephen sollevò le mani. «Si calmi, non c'è motivo di alterarsi. Adesso faremo una visita e poi...»

LOKI - Non c'è ingannoWhere stories live. Discover now