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Non avevo mai visto una foca. O almeno, le avevo viste solamente nei documentari che mio fratello mi costringeva a guardare, da grande amante degli animali qual era. Qui era pieno di foche ed era possibile incontrarle mentre si passeggiava lungo la spiaggia fatta di sassolini neri e neve, con il rumore delle onde del mare come dolce sottofondo.

Un piccolo sorriso mi increspò le labbra al pensiero che forse gli sarebbero piaciute molto, così paffute e goffe. Quando l'agente aprì lo sportello dell'elicottero e mi aiutò a scendere, qualunque traccia dell'accenno di un sorriso sparì dal mio volto.

La sua bocca si piegò di lato. «Signorina Nicole, benvenuta a Heard Prison». Prese la mia valigia, forse pensando di trascinarla lui fino all'entrata della prigione, ma scossi la testa e lo anticipai.

«Faccio io, grazie». Mi sciolsi i capelli solamente per coprire le mie orecchie gelate, lasciando che le ciocche bionde spiccassero sul mio petto a contrasto con il nero del dolce vita, e quasi lo fulminai per via del sorrisino che non riuscì a trattenere. «Qual è il tuo nome, se posso chiedere?».

«Marvyn, signorina Nicole». Spostò il peso da un piede all'altro, mantenendo la mano sulla fondina della sua pistola. Cerchi di dimostrare di essere potente a me o a te stesso, Marvyn?

Mi scostai la frangetta dalla fronte, stringendo il manico della valigia con forza. «Bene, Marvyn, sono sicura che per sapere il mio nome avrai letto anche il mio cognome. Ecco, è con quello che devi chiamarmi. Non sono un'amica di vecchia data».

Mi fissò, schiudendo la bocca con fare sorpreso. Non potei vedere molto altro nel momento in cui lo superai, ma poco mi importava.

Incollai lo sguardo al cancello di ferro battuto, con l'annesso filo spinato, che mi si presentava davanti e che proseguiva, al suo interno, con un percorso di cemento che portava all'entrata principale della prigione. Alla mia sinistra era presente un edificio blu, forse la mensa considerato il caldo e l'odore sgradevole che proveniva da lì, e alla mia destra un campo da calcio di modeste dimensioni. Un ulteriore cancello seguito da filo spinato divideva questa parte, quella di fronte a me, da una parte di edifici che avevano un aspetto molto più curato rispetto al resto.

Uno sembrava un dormitorio, considerate le tende che coprivano le finestre, e l'altro portava il nome di "Heard Cafè". Alzai lo sguardo verso la guardia che, dalla sua postazione sopra la torre di controllo, mi osservava già da tempo e feci un segno verso il cancello.

«Non ho ancora le ali». Ironizzai a voce abbastanza alta da farmi sentire, o almeno speravo.

Sentii una nota ironica anche nella sua di voce. «Mi perdoni, Miss Castillo! Abbiamo dimenticato come si trattano i civili». Pochi secondi dopo, il cancello si aprì con un suono metallico molto fastidioso. Eppure sempre meno della guardia, quel Marvyn, che mi si affiancò nuovamente.

«Marvyn, prendi la valigia della signorina Castillo e portala nella sua stanza al dormitorio, mentre io la accompagno dal direttore. Tanto ora tocca a te il turno di stare lassù». L'agente di prima mi porse la mano, per aiutarmi ad evitare il cumulo di neve che si era creato di fronte al cancello, e l'accettai con piacere.

Lui mi sembrava più simpatico e meno viscido.

«Ci avevo provato». Borbottò Marvyn, agguantando la mia valigia per trascinarsela dietro.

L'altra guardia alzò le spalle. «Perdonalo, per lui è sempre una brutta giornata. Mi chiamo Vince comunque, piacere di conoscerla Miss Castillo». Mi sorrise, esibendosi in un piccolo inchino.

The Not HeardWhere stories live. Discover now