XXXIII

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"And when I'm back in Chicago, I feel it
Another version of me, I was in it
Oh, I wave goodbye to the end of beginning."
[End of beginning, DJO]

Per i primi minuti dopo essermi svegliata, anche se faticavo ad aprire gli occhi, mi sentii sballottata fra le braccia di qualcuno. Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo, ma le voci attorno a me non erano allarmate. C'era una sorta di pace inspiegabile nel chiacchiericcio che mi arrivava fino alle orecchie, che andava ad allontanarsi sempre di più e terminò quando la persona che mi stava stringendo a sé si fermò da qualche parte.

Il sole mi scaldava la pelle in un modo delizioso e il lieve rumore delle onde del mare che si muovevano lentamente mi fece quasi desistere dall'aprire gli occhi. Avevo paura di quello che sarebbe accaduto dopo. Avrei preferito rimanere per sempre lì, fra le sue braccia, con il sole che ci sfiorava e il mare che ci cullava. Perché sì, adesso riuscivo a sentire anche il suo profumo, quell'odore fresco che assomigliava al talco.

«Ben svegliata, principessa Aurora. Avrei preferito vederti riposare un po' di più, sai?».

Battei lentamente le palpebre, abituandomi gradualmente alla forte luce arancione del sole. Abbassai la mano sulla sabbia dal colore più scuro del normale e lasciai che i granelli mi scivolassero fra le dita, per imprimere ogni singola cosa di quell'isola nei miei ricordi. Quella era l'ultima volta, l'ultima sul serio.

«Perché volevi tenermi con te più del dovuto?».

«Non soltanto. Speravo di vederti aver bisogno di un mio bacio per svegliarti, come le principesse con il proprio principe».

Risi senza sosta, immaginandolo in un contesto in cui non avrei mai pensato di vederlo. Lo spintonai. «Non so se ti ci vedo con i calzettoni fino al ginocchio e un completo azzurro».

«Ah certo, ormai ti sei abituata alla divisa da detenuto. Non potresti vedermi in altro modo». Mi restituì una spinta con la stessa energia e con lo stesso divertimento.

No, in effetti non ti vedrò mai in un altro modo. Non avremo mai la possibilità di essere qualcos'altro, oltre ad una finta psicologa che ha perso la testa per il detenuto più complicato.

La mia risata si affievolì pian piano fino a spegnersi del tutto, così come anche la sua. Probabilmente avevamo pensato la stessa cosa e il peso della certezza di non poter più rimandare il nostro addio si era intensificato sulle nostre spalle. Decisi, tuttavia, di rimandarlo ancora un po', solo un altro po', mentre con la coda dell'occhio notavo gli ultimi gruppi di detenuti lasciare l'isola con una coperta isotermica addosso e del cibo - del cibo buono - ben stretto fra le mani.

«Sono riuscita a farti ridurre la pena, Airton».

La sua testa scattò nella mia direzione. «Cosa?».

«Eri stato condannato a venticinque anni di carcere per l'omicidio di tre donne, ma grazie alla legittima difesa sono riuscita a far scalare un po' la pena. Ne hai già scontati cinque, tra domiciliari, custodia e altro, e te ne hanno tolti altri cinque, come ho appena detto, per la questione della legittima difesa».

Annuì lentamente. «Perciò ne dovrò scontare soltanto altri quindici».

«Sì, soltanto». Mi venne quasi da ridere a minimizzare quindici anni di carcere come se fossero qualche mese e poco più, ma immaginavo che fosse qualcosa di ben più logico per qualcuno che era entrato in carcere con l'idea che avrebbe compiuto i suoi quarant'anni lì dentro.

The Not HeardWhere stories live. Discover now