XVI

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Sapevo che Lysander sarebbe stata la ventata d'aria fresca di cui avevo bisogno, mi sentivo molto più sicura adesso che c'era lui con me, ma ero anche a conoscenza del fatto che non me lo sarei più scollato di dosso e che avrebbe fatto di tutto per spingermi fra le braccia di Airton ogni qualvolta ne avrebbe avuto l'occasione.

Lysander era in grado di fare qualunque cosa per ottenere quello che desiderava, mettendo in pratica perfino i piani meno ragionevoli e sicuri. Aveva la mente di uno psicopatico nel corpo di una persona del tutto sana e glielo avevo sempre fatto notare, perciò non mi ero stupita molto quando Theodore mi aveva detto di aver deciso di riabilitare le sedute psichiatriche.

Il motivo? Beh, moltissimi detenuti erano stati portati in infermeria dopo essersi recisi le vene dei polsi per attirare l'attenzione del direttore e fra quelli c'era proprio Airton, oltre che Isaiah. Il cuore mi era quasi uscito fuori dal petto quando lo avevo scoperto ed ero stata costretta a farmi prendere una bottiglietta d'acqua da Vince prima di farlo entrare nel mio studio.

Avevo chiamato immediatamente Lysander, usando una linea criptata che non poteva essere rintracciata né registrata, e la sua risposta non era stata diversa da quella che mi aspettavo. "Certo che sono stato io a passare ai detenuti degli oggetti affilati, in qualche modo tutta questa situazione doveva sbloccarsi, no?", mi aveva detto. Io gli avevo fatto presente della possibilità che qualche detenuto potesse farsi seriamente male e lui aveva risposto con ancora più tranquillità. "Questi detenuti non sono stupidi, Nerea, si deve togliere molto di più ad un uomo per portarlo a desiderare la morte più della libertà. Sta' tranquilla".

Sta' tranquilla. Mi aveva detto di stare tranquilla.
Qualcuno, fermo sulla soglia, si schiarì la voce.

«Posso entrare?».

«Quando mai ti sei fatto problemi ad entrare nei miei spazi personali, Airton?». Spostai lo sguardo su di lui e poi sulla garza bianca che gli fasciava i polsi magri. «Entra, chiuditi la porta alle spalle e siediti».

Eseguì il mio ordine. «Normalmente non hai questo sguardo».

«Quale sguardo?». Lo osservai sedersi sulla poltrona di fronte a me, che avevo reputato una postazione più comoda e confidente rispetto alla scrivania.

Mi guardò senza alcuna traccia di divertimento, serio come poche volte e quasi intimorito dalla rigidità del mio corpo. «Come se volessi staccarmi la testa dal collo per vedere se dentro ho un cervello».

«In effetti me lo sto chiedendo». Lo fulminai. «Che cazzo ti è passato per la testa?!».

Si guardò spontaneamente i polsi, aveva le braccia poggiate sul grembo e le gambe divaricate. «È stato un consiglio spassionato della nuova guardia, aveva senso e lo abbiamo messo in pratica. Alla fine ha funzionato, abbiamo ottenuto quello che volevamo, ovvero te, e siamo ancora vivi».

Ignorai la fitta di eccitazione al ventre per quella parte della frase e lo guardai male. «E se foste morti? Non avete idea di quanto possa essere fatale un taglio nella zona sbagliata! Qualche centimetro più a sinistra e avreste inciso l'arteria radiale, perdendo conoscenza in trenta secondi e morendo due minuti dopo».

Sembrò ragionare, almeno inizialmente, sull'enorme rischio che aveva subito. Poco dopo invece, con mio sommo dispiacere, scrollò le spalle e abbassò lo sguardo. «Ma non è andata così».

«Per fortuna non è andata così, Airton! Dannazione, hai pensato per un solo secondo a come mi sarei sentita io?».

Lo rialzò istantaneamente. «Credevo di essere soltanto un tuo paziente».

«Mi dispiacerebbe la sofferenza di qualsiasi mio paziente, Airton, ma a maggior ragione se quel paziente sei tu. È inutile anche solo tentare di nascondere quello che ci lega perché è palese, ma quello che più mi preme è farti sapere che adesso, nella tua vita, c'è qualcuno a cui importa della tua vita».

The Not HeardWhere stories live. Discover now