5 • LA FINESTRA

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La lista dei motivi per odiare Susan Ellis, ormai, è talmente lunga che necessito di qualche secondo per ricapitolarla mentalmente:

1) È più bella, più alta, più magra e più diligente di me.

2) Ha baciato Danny al gioco della bottiglia mentre a me è toccato Paul Lloyd (ma il ragazzino rinsecchito di dieci anni fa, non lo strafigo che è adesso) con urlo e fuga annessi.

3) La sua tesi di laurea è stata pubblicata sul British Medical Journal mentre la mia, nelle migliori delle ipotesi, è finita nel bidone della differenziata e poi al macero.

4) È fidanzata con un figo stratosferico mentre la mia unica storia seria è finita quando il mio ragazzo mi ha scaricata per mettersi con un ragioniere maschio.

5) Mi ha letteralmente strappata via dalle possenti braccia tatuate di Peter Potato per trascinarmi in questa stanzetta e sparire.

Io, Raisa, Aveline, Zoe e i quattro figoni ci guardiamo in faccia, perplessi.

«Perché siamo qui?» domando, osservando l'ambiente intorno a me.

Suzy, dopo avermi praticamente assaltata, ha invitato noi otto, e soltanto noi, a seguirla su per la massiccia scalinata di marmo fino a uno studio al piano superiore. La saletta è piuttosto accogliente e somiglia un po' all'ambiente villereccio che mi ero immaginata. C'è un caminetto rustico al centro del quale il fuoco deve essere stato spento da poco e uno scricchiolante pavimento in assi di legno; le pareti sono interamente ricoperte da boiserie e librerie polverose e ci sono anche un pianoforte a coda che sembra molto antico e una robusta scrivania con il piano di pelle nera che guarda verso l'unico grande finestrone della stanza.

«Immagino che Susan voglia parlarci di qualcosa» mi risponde Raisa. «A noi soltanto, visto che siamo i suoi amici più cari».

Non ne sono convinta. Forse era così un tempo. Ma, ad oggi, Suzy dovrebbe essere realmente disperata per annoverarmi tre le sue amiche più care nonostante i dieci anni di silenzio. Comunque, visto che, mi rendo conto, i partecipanti sono i medesimi, mi auguro che non voglia lanciarsi in un'altra folle partita di gioco della bottiglia.

«Allora, Peppa» dice Zoe, poggiando con la massima nonchalance il suo sedere sexy strizzato nel succinto vestito di poliestere sul pianoforte del settecento. «Raccontaci un po' di te, mentre aspettiamo. Cosa hai combinato in questi anni? Università? Lavoro? Uomini?»

«Mi sono laureata in lettere» rispondo, guardinga.

«Bello» dice Zoe. «E hai trovato lavoro, dopo?»

«Niente di pertinente al corso di studi» ammetto. «Niente di serio o continuativo».

Che, tradotto, significa che svolgo qualche saltuario lavoretto di merda giusto per racimolare i due spicci che mi chiede Delphine per subaffittarmi una stanza nell'appartamento che condividiamo.

«E con gli uomini, invece?» incalza.

«Niente di serio o continuativo, anche qui» rispondo, vaga.

Cazzo, sono una tristona.

«E voi, invece?» domando, per sviare l'attenzione dalla mia condizione miserabile. «Aveline, ad esempio?»

«Faccio la maestra all'asilo» dice, alzando lo sguardo su di me solo per un attimo.

«Ti ricordi della signorina Lindsay?» mi domanda Fox che, con le mani in tasca, è andato ad appoggiarsi al davanzale del finestrone.

«Sì, certo. Era la nostra maestra dell'asilo. È ancora viva?»

«Assolutamente sì» risponde lui, con un ghigno seducente. «L'ho multata proprio l'altro giorno, per eccesso di velocità».

«Sei diventato un poliziotto, quindi?» chiedo, un po' sorpresa.

MUDDY PUDDLE Where stories live. Discover now