11 • PERCHÉ IO LA ODIAVO

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Danny è seduto sul mio letto, quello che è stato di mia madre, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e un'espressione incredula sul volto.

«Credevo ti saresti fatta trovare pronta» dice, mentre gli agito lo chemisier verdone davanti alla faccia.

«Devi aiutarmi» lo imploro. «Ti prego. Non voglio finire di nuovo a chiedere consiglio al pappagallo di mia nonna».

«Ci posso provare» acconsente, per nulla convinto. «Qual è il quesito, dunque?»

Poggio lo chemisier sul letto accanto a lui e frugo nell'armadio per estrarne due paia di scarpe. Un tronchetto stringato dal tacco alto e uno stivale di Gucci in pelle marrone lungo fino a sopra il ginocchio.

«Il vestito è quello che è, ma non ne ho altri» mi giustifico, anche se lui non sembra condividere la mia costernazione in proposito. «Quindi non posso sbagliare scarpe, per lo meno».

Non mi risponde. Non credo che mi stia seguendo, in realtà. Ma io ci provo lo stesso. Mi avvicino con entrambe le opzioni in mano, affinché possa osservarle più da vicino.

«E quindi, secondo te» dico, mentre lui mi fissa, sgomento, «meglio il delicato tronchetto o lo sfrontato stivale da vaccona?»

Danny sposta lo sguardo dall'una all'altra calzatura con espressione serissima.

«Beh, visto anche il tempo, credo che gli stivali siano la scelta più sensata».

Bene. E vaccona sia. Afferro chemisier e stivali e corro a chiudermi in bagno. I capelli sono talmente belli che decido di lasciarli sciolti. Il trucco è a posto. Mi vesto, inforco gli stivali di Gucci e torno in camera da Danny che, nel frattempo, ha afferrato il libro sul mio comodino e lo sta osservando attentamente.

«È il libro che sto leggendo in questo momento» dico, e lui si volta a guardarmi. «Una space opera romantica».

«Sembra interessante» dice, osservando la copertina.

«Sì, ok» taglio corto, perché non mi pare il momento di intraprendere una conversazione letteraria. «Sto bene? Che ne pensi?»

«Stiamo andando a prendere un tè con il re?»

«No» rispondo, e intanto prendo la borsa. «Ma stasera devo andare a cena con Peter e non farei in tempo a ripassare a casa per cambiarmi».

La sua espressione cambia di botto.

«Ho capito» dice, incupito, poi torna a posare il mio libro sul comodino. «Stai molto bene, comunque. Andiamo?»

E andiamo. Scendiamo al piano di sotto, Danny saluta affettuosamente mia nonna, saltiamo sul suo pick-up e ci mettiamo in marcia sotto un diluvio scrosciante in totale silenzio.

«C'è qualcosa che non va?» domando, a disagio, dopo un po'. «Sei arrabbiato?»

«Arrabbiato? Perché dovrei essere arrabbiato?»

«Non lo so» dico. «Ogni volta che vedi Peter o lo senti anche solo nominare sembri arrabbiato».

«Non sono arrabbiato» ripete e mi accorgo che si sta sforzando di tornare ad addolcire anche il tono della voce e i lineamenti del viso. Poi aggiunge: «Di sicuro non con te, almeno».

Ok, voglio sapere quello che è successo tra loro, adesso. Solo che Danny ha fermato la macchina e ha spento il motore.

«Ma questa non è casa di Fox» dico, perplessa, osservando il grazioso cottage rosa chiaro quasi interamente ricoperto di caprifoglio, proprio davanti a noi. «È casa di Aveline».

E ne sono assolutamente sicura perché ci sono già stata, questo stesso pomeriggio, per prelevare Edison insieme a Luigino.

«Sì, è casa di Aveline» risponde. «Ha anche lei una lettera per il signor Davies. E, inoltre, vorrebbe parlare con te».

MUDDY PUDDLE Where stories live. Discover now