TRE MESI DOPO

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Il tempo, oggi, è veramente una schifezza. Persino per gli standard di una brughiera di fine gennaio su cui, già in partenza, non si nutrono grandi speranze. Fa un freddo boia e, da quando mi sono svegliata stamattina, non ha praticamente smesso un attimo di nevicare in stile bufera.

L'imponente edificio dell'ospedale, maestosamente appollaiato sulla cima della collina, si staglia contro la spessa coltre di nuvole bianche e grigie dietro la quale il sole sta cominciando a tramontare.

La mia mano, nonostante sia stretta in quella grande e calda di Danny, è praticamente congelata.

«Come sta Paul?» domando, in un sussurro.

«È in attesa del processo, ma sta bene» risponde lui. «Ha perso la stima di qualche collega ma almeno ha ritrovato la pace con la sua coscienza».

«Ah, eccovi» dice Raisa, venendoci incontro. «Che bello vederti, Peppa. Sei arrivata in un lampo!»

«Si, ehm...» farfuglio, «... vedi, in realtà, io...»

«Sì, sì, molto interessante» interviene Fox, battendo una manata sulla spalla di Danny. «Dove accidenti sono Aveline e Gerald?»

«Eccoli» rispondo, offesa, indicando fuori dalla porta automatica.

Dio, come sono carini. Se la stanno facendo tutta di corsa dal parcheggio e Gerald sta riparando Aveline dalla neve sotto il suo costosissimo Burberry.

«Ti prego, dimmi che si sposeranno presto» dico a Raisa.

«Che il cielo non voglia» risponde Fox. «Te li immagini quando sarà il momento di consumare, Danny? Gerald farà una videochiamata di gruppo e ci toccherà spiegargli come si fa».

«Non accadrà niente del genere» taglio corto. «Perché Aveline è già stata abbondantemente istruita».

«Scusate il ritardo» dice Gerald, tirandosi indietro i capelli bagnati. «Ah, ecco anche Paul».

Paul, quasi irriconoscibile con il camice di almeno due misure troppo grande sopra la divisa verde da medico, ci fa cenno di seguirlo nell'ascensore.

«Ciao, Peppa» mi saluta, «sei arrivata stamattina da Londra? Hai fatto molto in fretta».

«No, ecco, veramente... io...»

«Quando si è svegliata?» domanda Raisa.

«Un paio di giorni fa. Ma, in realtà, abbiamo iniziato a ridurle gradualmente i farmaci da circa una settimana».

«Sta bene?» domanda Danny.

«Diciamo di sì. Sarebbe meglio non stressarla» risponde Paul, invitandoci a uscire dell'ascensore e a seguirlo nel corridoio. «E, per il momento, assecondarla».

Assecondarla?

«È meglio se entrate uno alla volta. Peppa, va' tu per prima. Vuole vedere te».

La stanza di Suzy è singola e tiepida e, in un certo qual modo che non saprei spiegare, accogliente. Ci sono delle foto attaccate al muro che mi ricordano immediatamente la parete dietro il letto a baldacchino nella sua camera, dei fiori freschi sul comodino e un libro (spero non di Edison Oldroyd) abbandonato ai piedi del letto vuoto.

Lei è in piedi, proprio davanti alla finestra. E questa combinazione, mio malgrado, mi evoca una brutta immagine. Eppure, quando si volta, mi rendo conto di quanto stia meravigliosamente bene. Molto, molto meglio di quanto avessi mai potuto sperare. Non è su una sedia a rotelle, tanto per cominciare, e non indossa uno di quei terrificanti camici da ospedale con i laccetti sulla schiena, di quelli che non appena muovi un passo ti ritrovi con il sedere di fuori. Un grazioso pigiama rosa avvolge il suo corpo snello e perfettamente in forma e ha i lunghi capelli chiari e vaporosi raccolti in una treccia morbida.

MUDDY PUDDLE Where stories live. Discover now