IV.

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Parigi è divisa in venti arrondissement: piccoli quartieri, distretti amministrativi, ciascuno in proprio.

Per chi vive in una piccola città di provincia, ogni arrondissement pare avere le dimensioni del proprio luogo natale; e la prima volta vi si rechi pensa ingenuamente che si possa raggiungere in poco la Torre Eiffel da Montmartre, lasciandosi confondere dalla grande scala - dalle distanze in piccolo, dunque - di una semplice cartina.

Capita che dalla lontana Provenza, così come d'Artagnan, in molti si trasferiscano a Parigi.

Tanto distante dall'Île-de-France, ma così vicina al confine con Ventimiglia, vanta paesaggi nettamente differenti: di mare, non di città affollata, così come la cara Busan in cui Jeongguk era nato.

Il primo giorno a Parigi s'era illuso di essere un semplice turista, e non ospite del suo coinquilino; e, pertanto, si fece a piedi tutti gli Champs-Élisées fino ai giardini sotto la torre.

Pensava di sedersi comodo sull'erba, con un trattato voluminoso del Vasari fra le mani, e di incominciare a leggerlo.

Il risultato ne fu una camminata straziante sotto il sole di agosto, a cui certo quel suo famoso trattato non fu d'aiuto.

Era più peso del previsto, e, non appena giunto a destinazione, si sdraiò sul prato fresco, ignorandolo, ed usandolo come poggia testa dentro la sua borsa.

Una vecchia cartella marrone e consumata di sua madre; tutti indossavano una modernissima tote-bag di stoffa, e lui l'unico incapace di saper stare al passo con gli altri.

Giorni dopo, amareggiato per il suo errore, se ne tornò a Montmartre e ne prese una, uguale a quella di tutti ma diversa: portava sul davanti nove volti stilizzati, secondo il modo di altrettanti nove autori di epoche diverse. De Vinci, Rembrandt, Monet, Dalì... con sotto scritto Histoire De L'Arte.

Notorio.

E se ne andava a zonzo per la bella Parigi con solo quella lì addosso, in linea con la moda: per questo si piaceva.

Tutto vestito di nero, con canottiera e jeans scuri, e tale borsetta che gli si rendeva nel tragitto così pratica.

E non si mosse più a piedi; incominciò a prendere il metrò, come diceva e faceva ogni parigino.

Al contrario Taehyung. Lui mirava a distinguersi, e per questo si era ritrovato nella vita a fare l'attivista, perché il suo sogno nella vita era quello di avere anche il minimo impatto sulla vita delle persone, di quella massa a cui Jeongguk desiderava tanto omologarsi.

Fai qualcosa, Taehyung! Si diceva.

Fra i tanti arrondissement di Parigi, se ne stava nel settimo. Viveva a Rue du Bac, molto vicino a casa di Marcel, con cui ogni tanto si concedeva delle fughe.

Al numero sei, di quella via secondaria ma fitta di negozi, case ed alberghi, spesso invitava il suo compagno, e cenavano insieme ai suoi genitori.

Marcel piaceva più a loro che a Taehyung, ma a Taehyung piaceva piacere ai suoi genitori: una sorta di carta in cambio per aver scelto la carriera dell'attivismo di genere.

E, così come tante volte in precedenza, quella mattina il ragazzo dai capelli menta, adesso perfettamente pettinati, si era lasciato libero per lui. Marcel.

Lui accontentava Marcel, ma Marcel quasi mai contentava lui. Questo perché sono un uomo impegnato, gli ripeteva - o gli mentiva.

Taehyung si prese una pausa dal lavoro, perché era giovedì, ed il giovedì è il giorno prima del venerdì, che a sua volta è il giorno prima del sabato e della domenica, in cui i francesi non lavorano e non rispondono al telefono nemmeno per le chiamate urgenti come quelle per una colica renale.

MelRose | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora