XX.

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A mio nonno,
che mi ha insegnato i valori dell'antifascismo,
così da essere l'ispiratore di 1938,
e, soprattutto, quelli dell'arte.

Il sentimento di pace ed armonia di un cielo stellato in lento movimento, lo stesso che si fabbricava Jeon Jeongguk, per sfuggire alla trepidazione continua del suo stato d'ansia: chiudeva gli occhi, pensava al suo piccolo ed infinito cosmo, coi capelli al vento, affacciato su di un terrazzino nei pressi della Senna. Il respiro, adesso, lento era a dimostrare quel teorema di enigmi, per cui a fianco di un certo scrittore, che a lui si poneva come semplice conoscente, il suo cuore pompasse calore in tutto il corpo: si trasformava in energia, e diveniva, senza il suo volere, dei rossori in superficie sulla pelle.

Con la testa su di un lato, gli occhi schiusi, ancora nella sua testa quel cielo, all'apparenza statico, ma che per lui creava illusioni ottiche e lo rendevano dimentico del suo stato mentale, di cui lui stesso era il solo colpevole d'averselo costruito: niente di reale, tutto fittizio. Ed una voce dolce e soave lo chiamò, "entriamo?"

Come dir di no; Taehyung aveva preso i biglietti. No, Gguk. I soldi del biglietto non li voglio, e poi tu sei under 25, non paghi. Gli bastò solo un suo documento per confermare quel che lo scrittore disse alla cassa: uhm... due biglietti, uno intero per me, e l'altro sotto i 25. Si sentì in lieve imbarazzo; arrossì, ma Jeongguk non c'era.

"Quanto credi che staremo dentro al museo?" gli chiese Taehyung.

"Una visita completa dura circa tre, o... quattro." se vuoi stare di più con me. "Dipende cosa e quanto vuoi vedere." rispose Jeongguk.

Con Taehyung, passò di fronte ai due bronzi: quello di Dante e quello di Virgilio, faccia a faccia, l'uno la spalla dell'altro in quel loro viaggio di κατάβασις. Il loro, quello di Jeongguk e Taehyung, altrettanto infernale perché si prospettava come una discesa nel baratro dei sentimenti.

"Oh..." Taehyung schiuse le labbra. "Vorrei vedere solo qualche opera, niente di più- sono già stato al Museo d'Orsay da piccolo parecchie volte."

"Buon per te, che hai sempre abitato qui a Parigi." un sorriso, e poche parole per fargli capire la sua ingenuità da ragazzetto di provincia. Come faccio a resisterti, Jeongguk, se mi dici così?

L'affezione a quel ragazzo parlava per lui, ma anche essa stessa si limitava nell'illudersi, e s'intersecava a tutte quelle volutamente limitate fisime mentali, che aggrovigliavano il pensiero di Taehyung. Non cedere, ma tale attrazione si tramutò, allora, in gesti: Taehyung gli sorrise. Non poteva esprimerla, poiché repressa, a tratti addirittura celata, ma impossibile da rinchiudere nella gabbia dei sentimenti uccisi.

E allora, per rendesi ancor più vero e dinamico, non mosso dagli stessi sentimenti che, ormai a galla, confondevano ancora Jeongguk: "Tu, quante volte ci sei stato? Tipo- uhm... cinque... sei...?"

"Solo una." Jeongguk abbassò gli occhi e si morse il labbro di sotto coi dentoni, per nascondere un sorriso colpevole. Come quando, prima d'entrare a scuola, un bambino freme per delle emozioni che spera lo assalgano; emozioni positive, quella gioia pura e vitale, per cui Taehyung aveva attrazione. Taehyung, non solo aveva affezione per Jeongguk; a Taehyung piaceva proprio la gente normale: quella gente comune, meno borghese nei costumi ma tanto colta quanto un perbenista altolocato. E Jeongguk era speciale, colto, intelligente e sensibile al punto giusto: Jeongguk era equilibrio. "È la verità." quell'equilibrio di passioni - a sé stesso non si pareva, piuttosto si percepiva impazzito nell'ansia - che metteva a tacere lo spirito continuamente razionale di Taehyung: a volte, non a tutto c'è una risposta critica o logica.

"Giuralo!" abbandonò quel dolce imbarazzo che si era creato. "Giuralo due volte!"

"Lo giuro." croce sul cuore, e poi ancora: "Lo giuro, lo giuro." come se fosse una promessa, ma a Taehyung.

MelRose | VKWhere stories live. Discover now