XVII.

134 20 10
                                    

Gentilissimo Professore,

Sono Jeon Jeongguk matricola *******, e nello scorso semestre ho frequentato il suo corso di Storia dell'Arte moderna. Vorrei, dunque, sapere quando saranno verbalizzati i voti dell'ultima sessione di appelli, in quanto sono stato selezionato per la borsa di studio che attendo da settembre.

Cordiali Saluti.

Avrebbe scritto "aulicissimo", "reverentissimo", "altissimo" e "saggissimo" per segnalare il suo lieto rispetto all'uomo per cui nutriva una certa simpatia dopo gli appelli della settimana prima. Nella e-mail, Jeongguk non lo aveva ammesso; non aveva ricordato, nascondendo fra le righe un certo orgoglio, il fatto che nella votazione (la prima di tutte) fosse riuscito a guadagnarsi la lode. Geniale, brillante, uno studente modello, gli aveva detto il suo professore nel momento in cui Jeongguk gli avanzava i libri da firmare: li avrebbe rivenduti a chi nel corso di laurea non aveva quella palla al piede, che ora gli stava simpatica. E nel mentre faceva quell'azione, sulla faccia aveva un sorrisetto, quasi maligno, ma sotto sotto soddisfatto del proprio lavoro professionale.

"Vos positions sur Artemisia bénéficient d'une réflexion approfondie et d'une bonne recherche bibliographique." aveva taciuto in merito al lavoro seminariale di Jeongguk, al suo momento. "Je laisse-vous lire quelques essais- je suis sûr qu'ils seront en bonnes mains." col ditino a questionare; non gli aveva rivelato il suo giudizio, finché non fosse stato così sicuro e brillante anche all'esame.

Aveva ignorato qualsiasi Thym G.K. Nuætì, perché di gran lunga preferiva che quelle idee così garbate e dette con tanto di spirito critico fossero tutte frutto della mente geniale di un suo alunno. Chissà se fosse stato lui a fargliele avere (e quindi si gonfiava di superbia), o se fosse intelligente di suo: in tal caso, forse un giorno...

Ma Jeongguk, che sapeva la verità per filo e per segno, era grato a quel Thym G.K. Nuætì, che il suo professore sbagliava ad ignorare; di fatto, fuori dalle aule della Sorbona, a pensare a Taehyung gli era giunta qualche lacrima.

Si era rinvolto fino al naso, con la sciarpa di lana coreana, e fino ai piedi col cappotto di suo padre. Sono solo lacrime dal freddo, e in effetti la fine di gennaio a Parigi, pungente e beccante. Ma aveva mentito: erano lacrime, in testa sua molto femminili e poco virili, per quanto fosse commosso. Soprattutto, perché il merito della sua crescita artistica, del suo sviluppato criticismo, appena accennato, verso l'arte, era di Thym G.K. Nuætì, o meglio: di Kim Taehyung. E gli aveva lasciato tutto il merito.

Ingrato, ingrato, ingrato. Gli era servita una notte intera per dimenticarsi di quella colpa attribuita, così come di quel sogno insensato.

Passato, quale sogno? Niente d'importante.

Ed a ripensare a tutto quel vissuto, all'indopo del suo esame, a Taehyung, ad Artemisia, alla corsa verso la fermata del Les Écoles per arrivare in orario a lavoro, si era imbambolato davanti al suo cellulare.

"Jeongguk?" ore 18:15. "Jeongguk!"

Con Namjoon, si era trattenuto fino al dopo chiusura, ma, ancora, si trastullava col cellulare fra le mani. "Jeonggukkie, puoi rispondermi?"

"Uhm...?" alzò gli occhi dal telefono un po' perplesso, come se quelle attenzioni non fossero rivolte a lui, l'unica persona nella stanza.

"Beh...?" gli chiese Namjoon.

"Beh, cosa?"

"Beh, è da prima che stai al cellulare mentre io pulisco tutto!" Jeongguk non si sentì, ora, per nulla in colpa. "Lavativo." nemmeno dopo quella parola, che tanto suonava come una minaccia.

MelRose | VKWhere stories live. Discover now