XI.

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Non si riconosce l'arrivo del fine settimana a Parigi, a meno che la routine lavorativa non ci escluda dalla sua totalità. Il lunedì è simile alla domenica per il numero di turisti che visitano la città ed il sabato uguale agli altri giorni per lo stesso motivo.

Jeongguk non lavorava né di martedì né di sabato. Il martedì era il giorno di chiusura del museo; il sabato il suo libero.

La gente parigina, al contrario, si riposava dal venerdì alla domenica, qualora facesse un lavoro d'ufficio; qualora no, così come Jeongguk, lavorava anche nei giorni festivi.

Si avvicinava l'autunno inoltrato e tirava fuori dal guardaroba nell'angolo il maglione arancione zucca e cambiava le copertine del sacco di piuma da rosa tenue a rosso scuro: Parigi era una città fredda, così che Jeongguk, rammaricato per la fine dell'estate, si dovesse preparare.

Ouch, dannazione! Era solo: niente Claire, niente Namjoon quella mattina. Si tirò in testa le coperte da sostituire insieme a un mucchio di roba che il suo amico aveva rintanato là sopra.

Fu veloce, perché quel sabato mattina voleva passare al Centro Pompidou. Due volte, in così poco tempo: la prima dipese dal caso; la seconda, per via di una mostra su Picasso che già c'era dalla fine di agosto, ma di cui non si era mai curato.

Allora, perché proprio adesso?

L'ultima volta prese un volantino all'entrata prima di andarsene, e stette lì a fissarlo: la vista gli si fece opaca ed insensibile agli stimoli esterni. Jeongguk! Si riprese perché nel passare qualcuno lo urtò così forte da togliergli i legami col mondo dell'inconscio. "Mi scusi." disse. Ma come-se-nulla-fosse.

E se l'era portato fino a casa; l'aveva messo nell'agenda, poi nel libro su Artemisia che ora e tutt'un che di post-it colorati e frasi evidenziate.

Se l'era rigirato spesso, intento, in quei giorni: un impegno, un dovere, pura curiosità, o anche... una scusa. No, non era una scusa: a Jeongguk piaceva Picasso.

Ci andrò, e così aveva stabilito per quel sabato mattina. Non sapeva se gli stesse agendo il suo meccanismo inconscio, ma se avesse agito, perché gli era venuto di fare cosi?

Pulì tutto a puntino; la stanza era perfetta ed in ordine: Namjoon avrebbe dovuto certamente congratularsi con lui, e profumava, nonostante mancassero quelle preziose gocce dorate di Chanel n.5.

Sì, Namjoon devi proprio congratularti.

La lasciò perfetta, in attesa del complimento, così che lui aprisse la porta e... Wow, sei fantastico Jeongguk! Rideva nella sua testa già prima che accadesse.

Lui era Emily. Corse di foga tutte le scale (la discesa cento volte meglio della salita, dopo il turno straziante allo Starbucks), e prese il canonico metrò per arrivare dritto dritto al Pompidou.

Lui era Emily: papabile per un incidente di corrente elettrica dovuto ad un simpatico sex toy- aggeggio vibrante che non s'azzardava a definire. Lo attirava; forse.

Gli bastava salire quattro rampe, anzi: farsi trasportare per quattro rampe dalle scale mobili fin sul tubo di plastica dell'edificio, ed eccolo lì. Il Museo d'Arte contemporanea ospitava solo alcuni dei suoi preferiti (Matisse, Picasso, Kandinskij, Mirò...), ma la parte che gli era sempre rimasta fuori dai primi giorni d'ispezione parigina era nelle ultime sale: alcuni quadri di Picasso della prima produzione, una mostra temporanea.

Quella sottovalutata, quella che non tutti conoscevano.

Per imparare a disegnare, bisogna disimparare a disegnare; per imparare a disegnare, bisogna tornar bambini. Jeongguk era d'accordo: Guernica non sarebbe stata lo stesso Guernica senza che Picasso fosse tornato indietro nell'arte del disegno ed avesse inventato le forme cubiste; e ora, Jeongguk si perdeva, vivo il suo controsenso, in quelle opere che meno si conoscevano e più gli dicevano.

MelRose | VKWhere stories live. Discover now