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Il momento di maggior caos al di sotto della piramide di cristallo è il primo pomeriggio del venerdì; e, di conseguenza, anche lo Starbucks della seconda entrata del Louvre diviene gremito di visitatori: con la differenza che non si era in un museo, si era soltanto in un piccolo caffè comodo, caldo, dalle pareti rivestite in legno, e molto piccolo. Il che lo faceva sembrare doppiamente affollato, tanto quanto le sale di Van Gogh.

Solo il martedì il museo era chiuso per tutti, se non per quei due o tre personaggi famosi che venivano in visita a Parigi o a fare video musicali ai piedi della Níke.

Quello, l'unico giorno in cui Jeongguk si riposava; mentre, invece, il primo pomeriggio del venerdì annaspava fra la clientela vogliosa di frappuccini con Namjoon.

Di tanto in tanto, trovava il pretesto per attaccare conversazione con lui, che era sempre intento e diligente nel suo lavoro: tutto doveva filare liscio ed i caffè, i dolci e i pezzi salati dovevano essere serviti caldi, fumanti ed invitanti. Tutti, tranne i frappuccini, ghiacciati al punto giusto.

È proprio un dottore, si ritrovava a pensare Jeongguk nel mentre Namjoon impiattava, imbicchierava e spruzzava la panna o il caramello sopra gli ordini.

Lo guardava, fra un ordine e l'altro, e cercava di capirlo: un leggero sorriso di contemplazione, il momento in cui la riflessione artistica soggiaceva lo sguardo su di un volto e di un corpo. Sarebbe stato un ottimo busto.

Tu stai alla cassa e prendi gli ordini. Io sto al banco e li preparo, perché sono più preciso. La sua mania del controllo.

Jeongguk pensava di esser più adatto al banco lavoro, perché più veloce; ma ad assicurarsi che il cliente fosse del tutto soddisfatto, Namjoon: Stai lì e non muoverti che scambi la panna col caramello. E Jeongguk sbuffava.

"Non vuoi un cambio, doc?"

No. Un no secco perché volle chetarlo per tornare al suo lavoro.

"Stai facendo più della metà del lavoro- posso almeno aiutarti col fornello?"

"No, Jeongguk."

Come. Non. Detto.

Jeongguk rise beffardo: s'aggrappò al grembiule di Namjoon. Coi pollici e gl'indici gli prese un lembo di stoffa, che così, in quel frangente di controllata distrazione, si ritrovasse il piano cucina tutto per sé.

"Ora sei tu alla cassa!"

E diamine, Jeongguk!

"Jeon vedi di fare bene. Il primo ordine che sbagli, facciamo il cambio- e se sei stanco vengo al tuo posto, potresti dimenticare gli ordini!" troppe preoccupazioni: Jeongguk alzò gli occhi al cielo perché di continuo, anche in casa, il tutto gli diventava straziante.

Namjoon non lo vedeva. Gli dava le spalle, stava alla cassa prendendo ordini e sorridendo ai clienti: il suo viso affabile e accogliente s'addiceva molto di più a parlare coi clienti.

Ed il suo inglese era addirittura migliore.

"Bonjour." una donna sulla cinquantina. "Matcha frappuccino. Grande, s'il vous plaît."

"Oui, Madame." si pulì le mani al grembiule. "Vous voulez autre chose?"

"Non, merci, c'est bon." e Namjoon scrisse il nome - Corinne - sul bicchiere Grande, e lo passò a Jeongguk che stava pulendo per bene il piano prima d'agire. "Allora: Matcha frappuccino!"

"Non c'è bisogno che urli." ma lo ignorò. Scrivergli l'ordine sul bicchiere era sufficiente, ricordarglielo anche a voce necessario.

"Non dimenticarlo." Namjoon inclinò il collo e glielo disse con un'occhiatina fugace.

MelRose | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora