Epilogo.

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Spiccava il colore freddo sulle pareti della sala per il nuovo classicismo. La stanza, bianco ottico ed immacolata, coi quadri di Jeongguk che restavano appesi: su di quello, dominante, in contrasto con tutto il resto; soffice, il bianco morbido della tenerezza, ma pungente come il freddo della futura Parigi d'autunno.

Erano gli ultimi giorni di ottobre, quando l'ora legale trasforma le giornate: il giorno diviene notte, fa buio prima del previsto e rimane sospesa nell'aria la frenesia della vita diurna. Ma in quella fine di ottobre, il caldo dell'estate precedente sembrava esser rimasto impregnato sull'asfalto delle strade affollate, trattenuto al di sotto del primo strato del suolo, e che ribolliva dai sotterranei delle fognature.

Sembrava un'altra vita, una vita surreale, una dimensione parallela al sogno, in cui tutto è sospeso, e che ondeggia nell'atmosfera, poiché, sin lì, il cuore e la mente umana abituati alle calde ore di luce fino al momento della cena. E si sente solo il brulicar di voci che emergono da lontano, così che il soggetto protagonista sia attratto da esse, e si avvicini ad esse per farne parte, capirle da vicino e cercare una via, un modo per poggiare le sue mani sulla materia, e sapere se davvero abbiano consistenza.

Quello il sogno di Jeongguk. Era in mezzo alla turba di gente che bisbigliava o parlava in sottovoce nello spazio affitto del Marais: lì, la sua prima, primissima esposizione da artista. Il fatto che stesse più dietro alla mostra che sui libri a preparar gli esami la diceva lunga sul suo conto: se Jeongguk avesse lavorato sodo, avesse intessuto i giusti legami, sarebbe diventato un artista di fama a Parigi. Da Parigi, poi, al resto del mondo; ma ancora, ancora una piccola parte di lui sarebbe rimasta vuota, di un vuoto che il piacere della fama non riesce a colmare.

Il genio di Namjoon, il suo doc, gli aveva dato l'idea per sistemare ogni dipinto al suo posto: prima i paesaggi, più suggestivi e meno d'impatto, poi i volti ed i ritratti, che a prima vista non erano del tutto compresi, se non finché non si osservava le loro anime attraverso gli occhi.

Spiccava il volto sorridente di Emma; uno fra quelli, astratto, e dunque la sua figura di donna poco comprensibile: Jeongguk aveva imparato che l'esperienza del singolo potesse diventare universale, perché lui un cittadino del mondo alla ricerca di sé così come molti altri. La condizione di sentirsi parte, in quel senso, parte di un sentire comune, gli aveva regalato un che di piacere possibilmente espresso nei suoi quadri più caldi e colorati, e gli aveva fatto capire che ogni sua sensazione era stata provata almeno una volta universalmente.

Il ritratto di Emma spiccava per i capelli rosso fuoco. "Jeongguk!" lo chiamò lei. "Alla fine ci sei riuscito!"

Veniva accompagnata da Namjoon, che non diceva niente; si univa solo tacito alla conversazione con i suoi, ed Emma lo abbracciava, baciava come un bambino in cerca d'amore. Cingeva il suo collo con le braccia e gli poggiava poi la bocca sulle guance. "Ci è voluto più tempo del previsto..." Jeongguk era fiero; le manie di perfezione e gli ultimi inconvenienti del caso che stavolta non dipesero dal denaro mancante, generosamente donato da un misterioso benefattore, stravolsero Jeongguk, che fu costretto a posticipare la mostra fino a quella fine di ottobre. "Dammi un bacio anche tu!" gli disse Emma, e lui lo fece.

Emma gli dette una pacca sulla spalla e continuò a guardarlo, preso per le spalle, perché era contenta che un piccolo ragazzo, quel piccolo principe, avesse sbrigato tanto lavoro tutto da solo, avesse dipinto una così mole di quadri che narravano la sua vita.

Ma una, l'ultima sala, era quella che nessuno in principio vedeva, nascosta dopo le prime due, nascosta come la parte più intima e cara del cuore di Jeongguk. "Sette sono i dipinti di Parigi, sette sono quelli dei volti... c'è da vedere altro?" gli chiese Emma. E Jeongguk non rispose perché in lontananza, appresso alla porta che si apriva e chiudeva al suono di una campanella sopra l'angolo mobile, vide la figura di una ragazza parigina trentenne, dai capelli platino e lo sguardo lucente, che cercava curiosa qualcosa. Sicura, vestita tutta di nera pelle e lucida; con gli occhi cercava Jeongguk: "C'è ancora un'altra sala- Doc, per favore, falle vedere dove si trova."

MelRose | VKTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon