Travestimento

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Il bosco sembra più scuro e più freddo, adesso. Cammino a testa bassa e a passi veloci. Raggiungo la collina e do una veloce occhiata dietro di me: il bosco è enorme ed è impossibile immaginare che cela un essere così piccolo e sul punto di morte al suo interno. Scuoto la testa e continuo a camminare.
Procedo in avanti, non sapendo dove andare. Inizia a farsi buio. Aumento il passo pensando a tutto fuorché Derek.

D'un tratto sento delle grida non molto lontane da me. Prendo un respiro profondo cercando di riacquistare il controllo di me stessa. Dopo aver gustato quell'attimo di calma, inizio a correre veloce.

Mi ritrovo nella stessa situazione di poco tempo fa: stessa gabbia, stessi uomini vestiti di nero e stesso occhi-viola. Con la sola eccezione che anche il ragazzo dagli occhi-viola è dentro la gabbia in cui è rinchiusa la donna bionda. E che alcuni uomini vestiti di nero li circondano, mentre altri parlano immersi in chissà che tipo di conversazione.

Oh occhi-viola... non anche tu!
Cosa faccio?
Guardo il ragazzo dagli occhi-viola e noto che sta cercando di dirmi qualcosa. Sta indicando me e se stesso scuotendo il dito per poi puntarlo verso la gabbia. Non capisco, e alzo un sopracciglio, confusa. Forse il problema è che non riesco a concentrarmi. Anche Aidan cercava di comunicarmi da dentro la gabbia... vengo presa da una pericolosa malinconia. Mi nascondo tra gli alberi e i cespugli, per non dare nell'occhio in questa orribile situazione. Scuoto la testa serrando gli occhi, calmandomi. Aidan non poteva scappare, il suo elemento non aveva effetto sulle sbarre. Non posso assumermi tutte le colpe. Aidan non lo vorrebbe...

I nostri elementi non hanno effetto sulle sbarre! Ecco cosa voleva dirmi occhi-viola. Era una specie di avvertimento: se vuoi salvarci non puoi utilizzare il tuo elemento.

Mi inoltro nella vegetazione e striscio a tentoni dietro a un cespuglio vicinissimo agli uomini vestiti di nero. Stanno parlando tra loro, alcuni ridono addirittura. Improvvisamente cala il silenzio.
- Non state qua impalati: sta scendendo la notte. Controllate e vigilate la zona! - ordina un uomo che a differenza degli altri ha un cappello che gli copre i capelli, una medaglia al petto e un grosso paio di occhiali neri che gli occupa gran parte del viso.
- Sì signore! - urlano quasi in coro gli altri.

Mentre gli uomini iniziano a prestare attenzione a ciò che li circonda, io mi allontano velocemente. Quello doveva essere il capo. Gli altri obbediranno senza obiezioni a qualunque cosa chiederà. Essere il capo ha molti previlegi. In questo momento vorrei esserlo: farei aprire quella maledetta gabbia e fuggire occhi-viola e la donna dai capelli biondi...

Spalanco gli occhi colta da un improvviso lampo di genio. Non posso utilizzare il mio elemento, ma posso mettere fuori uso una persona e fingermi essa senza problemi. In realtà un problema ci sarebbe: devo riuscire ad attirare l'attenzione solo del capo e non degli altri.

E devo vedere dove si trova quell'uomo adesso: ma non posso avvicinarmi perché rischio di imbattermi negli uomini vestiti di nero. La soluzione è proprio davanti a me: un albero imponente dai rami molto resistenti. Non posso contare sulle mie assenti capacità di arrampicata, quindi mi affiderò alla fortuna. Poso le mani sul tronco e tento di trovare qualche appoggio dove posare i piedi per non finire con la faccia a terra. Continuo così e dopo minuti che mi sono parsi ore raggiungo la cima. Su un ramo abbastanza resistente mi sporgo per vedere meglio. Sorrido al vuoto quando vedo che il capo è lontano dagli altri, o meglio proprio dalla parte opposta, e sta parlando probabilmente al telefono.

Guardo giù e brividi mi percorrono la schiena: l'albero è davvero alto. Devo farmi coraggio, per scendere: il capo può ritornare da un momento all'altro dai suoi uomini, e io non posso permettermi di perdere tempo con sciocche paranoie. Deglutisco e appoggio i piedi e le mani al tronco. Prendo un grosso respiro. Scendendo poso i piedi su un ramo. Un rumore familiare mi fa prendere dal panico: aumento la presa delle mani al ramo precedente consapevole di ciò che sta per accadere. Infatti il ramo sotto il mio peso si spezza cadendo in un tonfo. Il sudore mi graffia la fronte e stringo i denti mentre sono letteralmente appesa al ramo precedente. Facendo cadere lo sguardo misuro mentalmente i metri che mi separano da terra: penso siano tre, ma possono essere benissimo anche quattro. C'è un ramo sotto di me: ma è a pochi metri da terra e quindi piuttosto lontano dai miei piedi.

Destinati per un segnoWhere stories live. Discover now