▪️25. Non fare il permaloso

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Sono salito in camera in condizioni pietose, dunque in linea di massima avevo tre possibilità: la prima trovare Wanda per una sveltina, la seconda fare da solo, la terza optare per una doccia fredda

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Sono salito in camera in condizioni pietose, dunque in linea di massima avevo tre possibilità: la prima trovare Wanda per una sveltina, la seconda fare da solo, la terza optare per una doccia fredda. Scartando la prima quasi all'istante perché non è lei l'oggetto delle mie fantasie, avrei potuto unire l'utile al dilettevole concordando la seconda e la terza opzione.
Ho finito per attuare solo la terza per mancanza di tempo e perché, siamo onesti, la mia mano da sola non basta e senza pubblico, accenno un sorriso, non è così divertente.
Forse c'entra anche un poco di autocontrollo e il fatto che la mia mente non sia del tutto sgombra da incombenze decisamente meno eccitanti.

Ritorno serio concentrandomi sulle prossime mosse.
Prima di ogni cosa mi preme sapere come sta mio fratello, perciò busso alla sua porta. Un paio d'ore fa gli ho detto che saremmo tornati a casa e come mi aspettavo non ha reagito molto bene. Enea è una delle poche persone che riesce a calmarlo, di solito ci penso da me, ma questo quando non sono io a farlo agitare.

«Posso?»

«Entra» di fatto è proprio Enea ha rispondere.
Apro piano la porta, trovando la camera immersa nella penombra data dalle tende pesanti ancora semi chiuse.
Focalizzo le due figure, una distesa e l'altra seduta sul letto.

«Come va?»
Alla mia domanda Gabriele si tira sulla testa le coperte e io mi sento estremamente una testa di cazzo.
Sospiro, Enea mi segue a ruota.

«Dai, Gabri ne abbiamo già parlato. Prima o poi dovevamo tornare.»

Ancora nessuna risposta.

«Fra un po' si pranza.»

«Non ho fame» dice imbronciato con la voce attutita dalle coperte.
Almeno è una risposta.

«Vi lascio soli. Vado in sala a vedere se Zia Maria ha bisogno di una mano» dice Enea alzandosi dal letto, prima di uscire mi stringe una spalla a mo' di conforto fraterno.

Mi avvicino al letto prendendo il suo posto. Gabriele incastra la testa sotto alle coperte.
Piego un angolo delle labbra.

«Lo sai che quando ero bambino questo era il mio metodo per nascondermi dai mostri, pensavo che sarei diventato invisibile ai loro occhi. A ripensarci avevo una gran fottuta paura del buio.»

Non mi piace pensare a me da bambino. La mia infanzia è durata molto poco, forse non è mai davvero esistita, a ventisette sento di averne almeno venti in più addosso.

«E poi cos'è successo?» la voce ovattata di Gabriele mi fa sorridere, ho attirato la sua attenzione.

«Ho imparato a guardarli in faccia, quei cazzo di mostri, e allora loro hanno iniziato ad avere paura di me.»

Serro la mascella al ricordo di qualcosa che non ha mai smesso davvero di perseguitarmi.
Potevo essere migliore di loro e invece sono diventato peggio.

«Erano reali, vero? I mostri intendo.»
Tira giù le coperte rivelando il suo viso arrossato e accaldato, i capelli tutti appiccicati alla fronte nascondono in parte i suoi occhi gonfi di un pianto recente.
Mentre lui piangeva io mi stavo godendo una ragazza che forse dovrei semplicemente lasciare andare.
«Erano gli stessi che vedo io. Perciò sei l'unico che mi capisce. Ma io non sono forte come te. Io non li so guardare in faccia quei mostri. Vorrei solo…»
Le sue labbra tremano, il pomo d'Adamo fa su e giù. «… che scomparissero.»

I'm Not YoursDonde viven las historias. Descúbrelo ahora