Demoni

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Magnus ~ 18 Marzo 2015, ore 2:00

«Jace! JACE!»

Il grido di Alec nel cuore della notte rimarrà per sempre impresso nella mia mente. Così come le sue mani serrate attorno alla gola, il respiro rantolante, la runa parabatai di un color grigio smorto invece che nero. Ha tossito sangue, macchiando di rosso le lenzuola.

E quando, ancora in pigiama, scalzi, bagnati e infreddoliti, abbiamo spalancato la porta di questa casa spaventando ulteriormente una già terrorizzata Clary, ci si è parato dinanzi uno spettacolo ancora più orrendo: Jace riverso a terra, in preda alle convulsioni, gli occhi talmente girati all'indietro che l'iride e la pupilla erano scomparse.

Ho fatto del mio meglio per stabilizzarlo, ma non sono un esperto in questo campo.

Catarina non può venire. Sta lavorando a un caso altrettanto grave a New York. E il suo messaggio non mi ha di certo rincuorato, nonostante le sue parole volessero essere confortanti.

Ti mando il mio più fidato collaboratore. Tra mezz'ora vai alla Guardia ad aspettarlo.

Sono già passati venti minuti, ma non mi arrischio a muovermi da qui.

Non voglio – non posso – lasciare Alec e Clary soli. Sono troppo scossi; sembra che entrambi si reggano in piedi grazie solo ad un unico filo più sottile di un capello, e quel filo sono io.

Senza di me, potrebbero andare nel panico e fare qualcosa di stupido, come ad esempio schiaffeggiare Jace fino ad ucciderlo – e nonostante questo pensiero sia raccapricciante, è comunque una morte migliore rispetto a quella che lo aspetta – oppure mettersi a ballare la macarena sul tavolo della cucina.

Sono entrambi seduti sul letto; ai loro piedi, la figura immobile di Jace.

Clary ha smesso di singhiozzare. Evidentemente ha finito la scorta giornaliera di lacrime, oppure vuole mostrarsi forte.

Alec, invece, ha ancora il viso bagnato e gli occhi lucidi. Continua a toccarsi la runa parabatai sul braccio, come se da un momento all'altro potesse scappare e quello fosse l'unico modo per tenerla ferma.

Guardo l'orologio: sono passati venticinque minuti. «Sentite, ragazzi» sospiro, conscio che sto per correre un grosso rischio, «io devo andare alla Guardia ad aspettare il collaboratore di Catarina. State tranquilli, okay? Torno tra pochissimo.»

Non ricevo risposte. Sembrano entrambi in stato catatonico. O forse lo sono.

Tiro un profondo respiro e mi costringo ad uscire, decidendo di usare quelle poche forze che mi restano per arrivare in fretta alla Guardia. E, ovviamente, cambiarmi d'abito. Non farò una buona impressione presentandomi in pigiama.

Proprio quando sto per diventare un blocco di ghiaccio il Portale si apre scaraventando un tizio sul selciato, una ventiquattrore in mano.

«Buonasera. Magnus Bane, piacere.»

«Cameron Orwell» risponde, stringendomi la mano. «Possiamo saltare i convenevoli, darci del tu e dirigerci al più presto laddove è richiesto il mio aiuto?»

Cavolo, mister capelli-neri-ma-occhi-verdi è nervoso. «Certo. Seguimi.»

Lo conduco per le viuzze di Alicante e imbocco una scorciatoia, tagliando per quello che in estate dovrebbe essere un campo di grano punteggiato di papaveri rossi. Se il proprietario ci vedesse potrebbe farci arrestare. Speriamo stia dormendo dalla grossa o magari facendo altro con sua moglie, l'amante o quello che è.

Mentre camminiamo, mi concedo qualche sbirciata furtiva per osservare Cameron. Ha un che di antico, ma non nell'aspetto. Non è uno Stregone, me ne sarei accorto. Ha le rune Voyance ed Enkeli, ma emana un'aura strana, quasi magica. No, non può essere un semplice Shadowhunter. È qualcosa di più raro e complesso.

Shadowhunters ~ Living the PresentDove le storie prendono vita. Scoprilo ora