EXTRA: The edge of glory

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Isabelle ~ 14 Maggio 2015

Stavo facendo proprio un bel sogno.

Dannazione, ero proprio sul punto di vincere Masterchef! E Ramsay aveva appena lanciato un'anatra mezza viva sulla faccia di Jace!

Tump. Un calcio. Un altro. I piccolini vogliono giocare alla lotta, a quanto pare.

Stringo i denti mentre la schiena mi viene attraversata da una fitta. Sono abituata alle contrazioni, ma questo è un altro tipo di dolore. Sono molto più forti e non si calmano né si alleviano se cambio posizione, come invece succede con le Braxton Hicks. Sembrano quasi... doglie.

D'un tratto sento qualcosa di caldo e viscido tra le gambe.

Sulle prime penso che la vescica non abbia retto al litro e mezzo d'acqua che ho bevuto ieri sera – dire che il pollo era salato è un eufemismo, siano dannati Simon e i suoi esperimenti culinari – ma prestando più attenzione mi accorgo che sono troppo bagnata. Le lenzuola sono zuppe, così come la mia camicia da notte. E invece di essere bianche, si sono tinte di rosa a causa del liquido che continua ad uscire.

È ufficiale. Sono in travaglio, e mi si sono rotte le acque.

«Simon! Simon!» Lo scrollo per svegliarlo. Non mi azzardo ad urlare; potrei far accorrere Alex ed Emmett, e non è il caso. Specialmente per lui. Non lo voglio qui. Non dopo quello che è successo tra noi. E non che Alexandra non mi piaccia – per carità, la adoro – ma primo, non è una delle persone che vorrei avere accanto in questo momento e secondo, sono sicura che sia innamorata di Simon. Per quanto ne so, se si trovasse qui potrebbe anche strangolarmi con il cordone ombelicale e fuggire assieme a Simon su un'isola deserta.

«Sveglia, Simon! Come diavolo fai ad avere un sonno così pesante?» sussurro a denti stretti tempestandolo di pugni sulla spalla.

«Iz! Cos... cosa...» balbetta lui confuso, stropicciandosi gli occhi. Ma quando nota il letto fradicio, la posizione che ho assunto per istinto e le mie mani serrate sulla pancia, ci mette un secondo a fare due più due. «Andiamo in ospedale.»

«No!» replico serrando la mascella. «È da tre mesi e mezzo che ti dico che voglio partorire in casa! Chiama l'ostetrica. Lo so, sono le cinque di mattina, ma ci ha assicurato che sarebbe venuta a qualsiasi ora, no?»

Simon annuisce, getta di lato le coperte e afferra il cellulare sul comodino.

Calcio via le lenzuola dal mio corpo con una mossa degna di Sandra Mondaini, mentre Simon spiega la situazione a Felicity: — No, non ha capito, i bambini non sono ancora nati ... Sì, sì, le si sono rotte ... Certo, lo farò ... Va benissimo, l'aspettiamo ... Sì, lascerò il portone aperto. Non so se riuscirà ad andare in infermeria, però ... Perfetto. A tra poco.

«Sta arrivando?» gemo, cercando di agguantare il cuscino che sta quasi per cadere.

«Al massimo tra dieci minuti sarà qui, tranquilla» mormora Simon, allungando una mano per sistemarmi il cuscino dietro la testa. «Ha detto di spingere se ne avverti il bisogno, chiaro?»

Annuisco e chiudo gli occhi. «Va' ad aprire il portone.»

«Vado e torno.» Simon mi dà un bacio sulla guancia ed esce correndo dalla stanza, richiudendo la porta dietro di sé.

Dopo nemmeno due minuti sento i cardini cigolare, in perfetta concomitanza con un'altra contrazione. «Simon? Oddio che dolore... Simon, come fai ad essere già qui?»

«Posso sapere cosa sta succedendo?» risponde Alex, entrando precipitosamente nella camera. «Ho incrociato il direttore nel corridoio, sfrecciava come un forsennato. Stai bene?»

Shadowhunters ~ Living the PresentWhere stories live. Discover now