Capitolo tre - Il Black Hole

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Sabato è il mio giorno libero.
Ahh finalmente!
Mi stiracchio amabilmente sotto il piumone, beandomi in un sorriso leggero che si spegne immediatamente, quando il cellulare vibra avvertendomi come promemoria che mancano due giorni al mio compleanno.
È sempre così; la mattina entro in uno stato di beatitudine e sollievo, quando il mio cervello elabora il primo pensiero, vengo immediatamente catapultata nella realtà. Inevitabilmente spazientita decido di alzarmi, e ancora in pigiama e calzoni di flanella scendo al piano di sotto, dove l'odore di pancakes e pancetta attira il mio stomaco, aumentando i borbottii che erano già iniziati.

Mi blocco perplessa, quando seduta a capo tavola trovo mia madre, le labbra nascoste dalla tazza colma di thè - suppongo - fumante, e lo sguardo basso catturato dal giornale di ogni mattina. La mia perplessità si raccoglie nel fatto che mia madre mai fa colazione in casa senza un motivo ben preciso perfino il sabato, quando libera dai suoi impegni giornalieri di insegnante di scuola privata, si rinchiude (solitamente, ma a quanto pare non oggi) in centri di beneficenza per aiutare chi ne ha più bisogno. Lo stomaco mi si chiude di scatto, come una morsa letale, ma è troppo tardi per girare i tacchi e scappare, perché i suoi occhi castani mi hanno già piantata sul posto.
"Buongiorno, come ti senti?" Sorride, mostrando una sfilza di denti perfettamente bianchi e dritti, ai lati della bocca due piccole rughe, che vanno a sottolineare il sorriso assai simile al mio.
La mia bocca si tende in una smorfia nell'osservare quel sorriso immensamente falso, e calcolato esattamente come quelli che esibisco io.
Ma mia madre non è brava a nascondere le parole trasmesse dagli occhi, e dentro non vi è la felicità che quel sorriso cerca di comunicarmi, quindi evito gli inutili convenevoli e mi accomodo sull'altro capo tavola; prontamente Lucrezia nella sua veste da domestica mette sotto il mio naso un piatto colmo, e con occhi luccicanti mi sorride, come volermi augurare il buongiorno, visibilmente contenta del fatto che io faccia colazione.
"Tutto bene." Mento senza esibirmi in sorrisi, e il mio pensiero vola alla camera chiusa di Kyle. Gloria avrà già fatto le solite pulizie?
"Sono contenta, allora" borbotta lei, ma non la vedo, troppo impegnata a tagliare e masticare la mia colazione.

Sono più che certa che è indisposta per il mio comportamento, perché differentemente da lei, non mi esibisco in sorrisi tirati in presenza sua o di chiunque faccia parte della nostra famiglia. Secondo lei, fingere e sorridere è un atto di coraggio, una prova che come famiglia O'Connor abbiamo superato il lutto, ma in realtà lo sa e lo sappiamo tutti: nessuno di noi ha superato la morte di Kyle, forse solo mio padre lo ha fatto, troppo impegnato a spegnere il cervello ed a comportarsi da macchina di giustizia nei tribunali delle sale del mondo.
Decido solamente di unirmi alle recite di mia madre quando mi trovo in luoghi pubblici, in presenza di macchine fotografiche pronte a scattare e abbagliare con i flash, di bocche che parlano e bisbigliano, di sguardi curiosi e in pena.
Perché, vi starete chiedendo?
Perché non si deve sanguinare in presenza di squali.
Sento la rabbia montarmi, ma al di fuori sono calma, continuo a masticare piano sotto lo sguardo di Eva O'Connor. Mi sorprendo del mio autocontrollo.
"Sei emozionata per il compleanno? Sto organizzando una festa che sicuramente ti piacerà." Domanda, con voce allegra.
Oh sì, emozionantissima!
Lucrezia in religioso silenzio mi porge un bicchiere di succo d'arancia e lo sorseggio, placando il fuoco che ho dentro.
Non devo scoppiare, non devo scoppiare, non devo scoppiare.
"Le feste piacevano a Kyle, mamma, a me non sono mai piaciute." Mi lascio sfuggire, senza una particolare tonalità.
Lei batte le palpebre e ignora totalmente il nome di Kyle, e continua imperterrita. "Ma perché tesoro? È un'occasione importante, e poi ti ho vista sempre sorridere e divertirti."
Sbuffo, e stringo i pugni, mi si formano delle piccole mezze lune sui palmi delle mani causate dalle lunghe unghia laccate di rosso.
"Perché dovevo ridere, non è il tuo motto:'Indossa un sorriso, e buttati nella mischia'?"
Sembra offesa, e aggrotta la fronte. È evidente che non capisce; gli occhi iniziano a pizzicarmi.
"Non capisco perché ogni anno devi comportarti così. Dobbiamo festeggiare." Continua, con voce dolce, come se non mi avesse sentito.
Voglio urlare.
"Lo dici come se fosse un obbligo, devi per forza dimostrare che siamo felici, mamma? Che va tutto bene?" La voce mi trema leggermente, e ormai allontano il piatto quasi vuoto con un gesto secco della mano, Lucrezia abbassa lo sguardo rossa di vergogna quando incrocia il mio, e veloce si appresta a sparecchiare.
Vedo che mia madre deglutisce, e nonostante gli sforzi noto il suo sopracciglio tremare, segno che sta mentendo, passa lo sguardo da destra a sinistra insicura. "Ma noi siamo felici"
Basta, è troppo.
Mi alzo di scatto, e sbattendo i piedi con troppa forza mi allontano lontano da mia madre che continua a parlare, stringo le labbra in una linea stretta per evitare di urlare tutto il mio dolore, e mi rifugio in camera di Kyle per il resto della giornata.

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