Capitolo ventidue - Vory V Zakonne

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"Terra chiama Karol! Terra chiama Karol, ci sei?"
Sbatto velocemente le palpebre, risvegliandomi da uno stato di trans grazie allo svolazzare continuo della mano di James davanti i miei occhi. Lo guardo stranulata, e lui fa lo stesso con un cipiglio più perplesso che altro.
"Cosa c'è?" Mormoro innocentemente, assottigliando senza volerlo gli occhi.
Siamo a lavoro, e oggi Vanessa Sand è particolarmente nervosa.
Appena arrivata ha ordinato un caffè doppio macchiato - una vera bomba per un intestino debole come il mio - e si è chiusa in ufficio, sbattendo prepotentemente la porta come se fosse la causa dei suoi mali più grandi, rimanendoci per ore, saltando addirittura la pausa pranzo.
Quindi c'è un'aria di tensione tra le scrivanie che si taglia con un coltello, che porta inevitabilmente tutti a guardarsi attorno nervosi e irrequieti, me compresa.
"Mi prendi per il culo, stronzetta?"
Strabuzzo gli occhi, e sono indecisa se scoppiare a ridere o mantenere il mio mutismo cronico, tanto per continuare ad essere coerente. Ma dalle occhiatacce che lancia Meredith - la nostra collega a fianco - attraverso le doppie lenti degli occhiali da vista scelgo la seconda, con la piccola aggiunta di un dito stretto tra i denti, in segno di ammonimento.
"Cosa diavolo hai si può sapere?"
James ignora bellamente la cara Meredith e il mio rimprovero, sibilando come una serpe velenosa, sporgendo il collo muscoloso con insistenza di lato al grande Mac Book.
Quando fa così è insopportabile.
Borbotto sommessamente cercando di dare una spiegazione plausibile o quantomeno risultare convincente nel spiegargli che ho solo piccoli problemi d'insonnia, ma quando Meredith-occhi-gentili mi fulmina nuovamente, faccio un verso stizzito al mio migliore amico, indicando il suo cellulare mentre allo stesso tempo afferro il mio dalla borsa.
Mi raddrizzo sulla schiena, digitando velocemente il messaggio e ritorno a concentrarmi al mio lavoro. Ma non per molto.
Il telefono vibra furiosamente più di una volta, facendo un baccano incredibile. Mi mordo la lingua per non maledire Jamie davanti a me che fa finta di nulla, e continuo a beccarmi i peggiori insulti mentali della nostra collega.
"Oh no carissima, non puoi continuare a prendermi per il culo come se nulla fosse, non sono una persona qualunque IO! Dopo il lavoro si parla, e non accetto un NO come risposta."
Arriccio il naso esausta e rassegnata, e mi alzo dirigendomi pigramente al piano inferiore per un caffè veloce, sotto i sguardi fulminanti di James e Meredith. Uno per un motivo, e l'altra per un altro.
Il fatto che io soffra d'insonnia non è propriamente una bugia. Ho difficoltà a dormire sì, ma il motivo lo conosco, anche abbastanza bene.
Ogni volta che chiudo gli occhi o provo a rilassarmi, un peso inizia a schiacciarmi il petto e aumenta progressivamente alle immagini che veloci si stagliano davanti ai miei occhi chiusi.
Sangue, lamiere accartocciate, spari, pistole, urla di dolore e di disperazione, un paio di occhi ambrati pieni di lacrime e un altro paio color pece, vuoti e mortiferi.
Ciò si ripete continuamente, non permettendo al mio corpo di riposarsi, teso in una continua attesa che qualcuno sfondi la finestra di camera mia per poi strozzarmi o soffocarmi brutalmente con il mio stesso cuscino. O ancora, con l'angoscia costante di ricevere una chiamata che annuncia la morte di qualcuno.
E alla fine non riesco mai a dormire, rimanendo con gli occhi sbarrati e fissi sul soffitto, con le orecchie attente e tese ad ogni singolo rumore che riescono a catturare, il cuore che minaccia di esplodermi da un momento all'altro.
Pensavo che avrei reagito diversamente a tutta la situazione che mi sta venendo incontro, eppure una parte di me, quella più razionale e coraggiosa non teme tutto questo. Forse la parte che mi provoca più disturbo è quella violata e manipolata dalle esperienze che fin'ora sono stata costretta a subire.
E sicuramente tutto questo pensare, arrovellarmi il cervello non porta a nulla di buono.
Arrivata alla macchinetta trovo un'insolita piccola fila di tre persone che chiacchierano sommessamente tra di loro. Mi metto in coda, sentendone parzialmente i discorsi fitti e a quanto pare, non solo il mio capo di piano è particolarmente nervoso oggi.
"Girano voci che il capo degli uffici stampa se la faccia con il compagno della vice responsabile, ci credi?"
Una biondina minuta strabuzza gli occhi, osservando con euforia i propri colleghi che si limitano a dei muti gesti ed espressioni di sorpresa. Perfino nell'aria ricreativa c'è questa sorta di gara del silenzio, nessuno osa alzare il tono della voce.
"No, non è possibile!" Dice l'altra incredula, mentre si china per afferrare il bicchierino con il liquido che sto bramando con furia.
Inizio a battere piano la punta del piede fasciato dalle mie décolleté di eco-pelle marrone, nervosa e stizzita dalla loro lentezza.
La biondina annuisce con fervore, incassando le spalle, pronta a rivelare un secondo scoop.
"Albenstar è in mezzo a due fuochi, e non sa quale dei due spegnere prima. Sand e McCough hanno scatenato l'inferno, coinvolgendo altri due piani. È pazzesco quanto divertente!"
Per un attimo connetto le sinapsi, concentrandomi realmente su ciò che sento e mi trovo a dover nascondere la mia faccia rossa come un peperone con gli occhi fuori dalle orbite dalla mora davanti a me, che mi lancia un'occhiata incuriosita a causa della mia reazione ritardata. Mi giro di scatto, per non dare troppo nell'occhio.
Il compagno del mio capo ha una tresca con un altro capo?
Porca miseria!
Mi volto con nonchalance fingendo di sistemare la gonna a pieghe color cachi una volta riacquistato il colorito pallido che mi caratterizza da una settimana a questa parte, esattamente dopo aver iniziato gli allenamenti con Nikolas, e per fortuna trovo le due intente a chiacchierare di borse costose e la terza concentrata sulla macchinetta.
Perché oltre ai problemi di sonno, mi tormentano anche quelli fisici.
Il Motociclista dalla prima volta in poi è stato inflessibile, si limitava a darmi ordini e a spiegarmi mentre ripetevo giornalmente la serie di esercizi - ai quali si sono aggiunti pesi che vanno sempre più ad aumentare - come funziona il loro mondo.
Ho imparato che le zone suddivise in territori off-limits non sono poi così tante, ed è una fortuna, dato che tali zone per me - ormai membro della I.G. - sono insuperabili.
Rischierei di scatenare una vera e propria guerra a suon di mazze, pistole e pugni tra clan se solo provassi a mettere piede in territori appartenenti ad altri. O ancor peggio, rischierei di farmi ammazzare.
Per fortuna, esistono molti più territori neutri ma dallo sguardo cupo di Nikolas ho capito che sarebbero rimasti tali per poco.
Ad esempio il territorio di casa mia fa parte di quelli neutri, dove raramente avvengono scontri o cose strane. Come lo è quello dove si trova il mio luogo di lavoro.
La Brigata Del Sole non si è fatta viva, e quando sospirai, lasciando andare per un attimo la tensione che mi aveva investita in pieno Nikolas mi rimproverò, più burbero e aggressivo di prima, riferendosi al fatto che un silenzio così lungo dopo una tregua non rispettata non è qualcosa di cui sollevarsi.
Finalmente afferro tra le mani il bicchiere di caffè, e beandomi del silenzio non oppressivo di prima ma naturale, mi appoggio al bancone accanto sorseggiando con calma.
Il Motociclista ha continuato la sua ritirata, chiudendosi sempre di più, sfiorandomi sempre di meno con lo sguardo, mentre il suo prima ambrato e vibrante ha iniziato ad incupirsi, a spegnersi. Lasciandomi l'amaro in bocca e una sensazione d'insoddisfazione che continua a ripresentarsi ogni qual volta incrocio i suoi occhi.
Non so cosa stia succedendo esattamente, ma c'è qualcosa nell'aria. C'è qualcosa di strano, elettrico. Qualcosa non va.
Purtroppo oltre agli allenamenti vari non sono stata coinvolta molto nelle vicende, essendo troppo inesperta e ancora totalmente dipendente dal mio tutor. Mi si sono state fornite le informazioni essenziali.
Un moto d'irritazione mi prende in pieno, e mi ritrovo a mordermi le labbra compulsivamente.
Vorrei fare di più, vorrei scoprire di più.
Perché nonostante ormai sono dentro questa storia, è come se non lo fossi al 100%.
Ad un tratto una porta che sbatte mi fa sobbalzare sul posto, il cuore mi finisce in gola e automaticamente blocco il respiro, mentre i muscoli mi si irrigidiscono, pronti a scattare.
Nikolas è stato chiaro e coinciso.
Individua il pericolo, se sei in grado di gestirlo, affrontalo.
Altrimenti, scappa.
Dalla grande porta scorrevole appare il mio capo, Vanessa Sand, rigida e austera nel suo completo Armani verde petrolio cammina con i suoi tacchi a spillo a passo spedito verso di me, però senza vedermi realmente.
Riprendo a respirare normalmente, cercando di calmarmi internamente ma mantengo i muscoli rigidi per paura di crollare a terra, senza forze.
Vanessa non mi degna di un'occhiata, mentre infila le monetine nella macchinetta e la stessa inizia a borbottare e a raschiare.
Io continuo a rimanere immobile, cercando di calmare il mio cuore che non ne vuole sapere di rallentare.
È solo il tuo capo, Karol. Non c'è nessun pericolo.
Eppure...
Vanessa posa i suoi occhi su di me, totalmente e stranamente interessata.
"O'Connor." Sentenzia, con voce incolore.
"Buona sera Vanessa." Ricambio cordialmente, con lo stesso tono di voce.
Non so perché, ma il mio subconscio mi suggerisce di calibrare le parole.
Magari influenzato da ciò che ho sentito qualche minuto prima riguardo il suo conto.
Vanessa è una bellissima donna, con i capelli color mogano lasciati liberi e morbidi sulle spalle, le labbra sottili e grandi, il naso perfettamente a punta e delicato. Ogni sua movenza trasuda eleganza e raffinatezza.
"Ti vedo stanca." Mi da del tu, girando lentamente il bastoncino del caffè.
La guardo perplessa, aggrottando la fronte.
Il mio capo non è mai stato un tipo gioviale, che perde tempo nel fare conversazione con i propri impiegati, si limitava a lanciare ordini, e ad aspettarsi impegno e costanza, senza mai intavolare un discorso di fondo.
Alzo le spalle, non sapendo che dire mentre il suo sguardo verde azzurrino mi osserva superficialmente, come se stesse aspettando un qualcosa.
"Sei un'ottima lavoratrice, Karol. Nonostante il tuo nome abbia una fama ben nota."
Mi irrigidisco sul posto, serrando la mascella.
Non è la prima volta che me lo sento dire, e non sarà nemmeno l'ultima, ma non riesco a contenere un guizzo di rabbia che mi mescola tutto lo stomaco e il caffè che ho appena bevuto. Continuo ad ascoltare, incuriosita dalla piega che sta prendendo il discorso. Punta da un pizzico di fastidio.
Perché mi sta dicendo tutte queste cazzate?
Vanessa continua a girare il caffè con una lentezza straziante, distogliendo però lo sguardo e puntandolo davanti a se, mento alto e fiero, con una calma innaturale.
"Nonostante ciò, quando ti ho assunta ho tralasciato questo piccolo particolare, sicura che non saresti stata un O'Connor fatto con lo stampino, e ebbi ragione. Dunque, ti do un consiglio: rimani te stessa Karol, e non seguire lo stesso sentiero della tua famiglia."
Mormora, ed improvvisamente è molto più vicina a me.
Mi osserva con attenzione, calibrando ogni singolo respiro, ed io non oso muovermi, confusa e allo stesso tempo spaventata. Sento solo il mio cuore martellare ad un ritmo furioso, instancabile.
Il mio subconscio mi urla qualcosa, qualcosa di indistinto che non riesco a comprendere, come un turbinio di voci che mi investe in pieno non permettendomi di pensare con lucidità.
"Fatti gli affari tuoi, O'Connor. Continua a fare la tua vita e nessun altro si farà male."
Detto ciò, il mio capo per come è arrivato se ne va, lasciandomi sola.
Il silenzio inizia ad essere assordante e lo riempie un fischio di fondo che inizia ad aumentare di intensità.
Batto gli occhi più volte, trovandoli brucianti e gonfi.
Nessun altro si farà del male.
Posso sentire i piccoli meccanismi nella mia testa iniziare a funzionare, a lavorare mentre mentalmente su una mappa gigantesca iniziano a comparire piccoli fili rossi che si intrecciano, procurandomi una sensazione di vuoto allo stomaco.
Non ci penso due volte e ancora con gli occhi sbarrati e infiammati inizio quasi a correre verso il bagno del piano in cui mi trovo.
Fatti gli affari tuoi.
Una volta arrivata spalanco ogni singola porta dei bagni piccoli, trovandoli fortunatamente vuoti. Poi mi lancio verso la porta principale, chiudendola con una doppia mandata.
Come un automa, apro i tre rubinetti creando un rumore di fondo, rendendomi conto solo ora di aver il respiro affannato.
Mi osservo velocemente allo specchio, trovando i miei occhi verdi truccati solo con il mascara iniettati di sangue e lucidi, le labbra rosse e gonfie per le troppe volte in cui i miei denti vi si sono piantati con forza.
Non perdere tempo.
Prendo un respiro profondo con il mio battito che scandisce i miei movimenti, afferro il cellulare dalla tasca del blazer che indosso, e mi addosso al muro, completamente opposto alla porta principale, tenendo lo sguardo fisso davanti a me. Come se quella porta potesse essere sfondata da un momento all'altro.
"Karol?" La voce allarmata di Robert mi arriva troppo forte all'orecchio, fin troppo abituata al silenzio assordante di prima che sembra non volermi abbandonare. Strizzo gli occhi, deglutendo e facendomi coraggio.
"Vory v zakone" Sussurro in un respiro strozzato, in un russo che mastico poco.
Dirlo o metterlo a nudo fa ancora più male, pensare che tutto ciò è reale, fa male.
Dall'altro lato del telefono non sento alcun rumore, segno che Robert ha smesso anche di respirare.
"Vanessa Sand, il mio capo, è un ladro della legge. E lei sa, sa tutto." Sputo frenetica, stando attenta a non alzare troppo il tono di voce.
Chiunque potrebbe ascoltare, chiunque potrebbe essere una spia della Brigata Del Sole.
"Quando stacchi il turno?" Domanda con tono urgente, non nascondendo il nervosismo.
"Tra un'ora" sibilo, improvvisamente stanca.
Sento le forze mancarmi, le gambe tremare.
"Resisti fino a quell'ora, poi corri all'Officina. E non dire nulla a James." Ordina.
"Perché?"
"Già lo abbiamo coinvolto abbastanza, Karol. Non credi?" Robert sussurra a sua volta, con tono di voce mesto e freddo.
Una morsa mi stringe la gola, gli occhi mi si riempiono di lacrime, ma non ne verso nemmeno una. Il senso di colpa inizia a farsi strada dentro di me, come una radice che pian piano si espande, allungandosi sempre più.
Annuisco a vuoto, mentre lentamente scivolo giù per terra.
"A dopo."
Chiudo gli occhi, e finalmente uno strano senso di pace si impossessa di me.
È meglio così, penso.
James è l'unica persona che in questa storia non c'entra nulla, l'unica che deve rimanere fuori.
Fatti gli affari tuoi e nessun altro si farà del male.
Dietro le palpebre iniziano a materializzarsi due corpi: uno sconosciuto, informe.
Non si distingue la pelle dal sangue, color cremisi.
L'altro è il corpo del mio migliore amico. Gli occhi azzurri rivolti all'insù in una posa eterna, il volto livido, cinereo, la sua gola brutalmente tranciata con il sangue ancora vivo che cola giù.
Non lo permetterò.
L'avvertimento di Vanessa Sand è chiaro, ma tanti punti interrogativi rimangono in piedi. Ed io sono stanca di rimanere nell'ombra, stanca di sapere e non sapere allo stesso tempo.
Mi mordo la lingua in un gesto di frustrazione e rabbia, contenendo a malapena un urlo e mi alzo con lentezza.
Solo un'ora e potrò uscire da qui.
*
*
*
Quando arrivo all'Officina il telefono inizia a vibrarmi ininterrottamente, e non ho bisogno di darvi un'occhiata per capire che i mille messaggi su whatsapp sono del mio migliore amico, probabilmente furioso, che mi chiede spiegazioni sul perché non lo abbia minimamente calcolato fino alla fine del turno.
Sospiro rumorosamente, decidendo di catalogare - e risolvere se è possibile - i problemi uno per volta.
Il primo da risolvere - che spinge urgentemente - è la questione Sand.
Subito appena apro la porta d'ingresso trovo un signore anziano, che immediatamente alza lo sguardo vispo e brillante verso di me richiamato dal campanello che annuncia l'arrivo di un cliente, squadrandomi non con cattiveria o pregiudizio, ma con semplice curiosità.
All'interno della piccola saletta d'attesa già inizia a sentirsi nell'aria quell'odore di vernice fresca e benzina che aspiro a pieni polmoni, sentendomi un pizzico più al sicuro.
Il signore dai capelli bianco latte indossa una semplice camicia a quadri verde e marrone, un paio di occhiali neri con una montatura semplice e leggera che si toglie, rivolgendomi un sorriso gentile.
"Tu devi essere Karol." Sguscia fuori da dietro il bancone, porgendomi la mano sicura e ruvida, gliela tendo senza alcun tentennamento.
Annuisco, sorridendo piano a mia volta, inclinando di poco il capo, incuriosita dai suoi occhi ghiaccio spento, così tanto simili ad un altro paio.
"Io sono Dominic, il nonno di Liam."
Non posso impedire alle mie sopracciglia di alzarsi verso l'attaccatura dei capelli, o al mio sorriso di allargarsi ulteriormente, tutto sotto lo sguardo attento del nonnino che continua a sorridere, divertito sicuramente dalla mia reazione.
Ecco a chi assomiglia!
Paradossalmente, la somiglianza è percepibile solo dopo un'attenta osservazione.
Dominic e Liam hanno lo stesso taglio degli occhi, oltre al colore, e lo stesso portamento e atteggiamento da simpaticoni ingenui, nonostante la figura di Dominic esprima più saggezza e serietà. Tipica di una persona più anziana, che ha avuto più esperienze.
Ricordo una piccola frase detta da Fredrik quando venni proclamata membro ufficiale della I.G., riguardo proprio un certo Dominic.
"Spero che tutti quei ragazzacci si comportino bene con una ragazza come te"
Dominic indica col pollice alle sue spalle, sorridendo mestamente.
Ridacchio leggermente compiaciuta, annuendo di poco.
"Non sono poi così male." Ammetto per la prima volta, alzando le spalle.
Il nonnino sembra contento della mia risposta, e sorride ancora schiarendosi subito dopo la voce. "Sei venuta qui per parlare con Fred?"
"Si, e anche con gli altri credo." Mi gratto il capo, indecisa. "Credo che sia una cosa che riguardi un po'... tutti."
Dominic mi rivolge un sorriso amaro e comprensivo.
"Si capisco, spero nessuna brutta notizia."
Rimango sorpresa dal piccolo bagliore di tristezza che illumina per poco i suoi occhi, e allo stesso tempo comprendo che anche lui è a conoscenza di tutto. Un moto di compassione mi spinge a volerlo consolare, perché improvvisamente mi rendo conto che questo signore all'apparenza dolce e gentile, nasconde dietro una strana sofferenza. Qualcosa che sono quasi certa di poter comprendere, perché anch'io l'ho vissuta. Mi torturo le mani dietro la schiena, mentre cerco di limitare le mie espressioni facciali.
"Nessuna brutta notizia, solo una nuova informazione. Tanto per essere più cauti."
Gli faccio un occhiolino gioviale, e al signor Dominic ritorna il sorriso, visibilmente sollevato.
"Perfetto allora, vieni con me. Ti chiamo gli altri."
Saliamo le scale che portano al piano superiore dell'Officina. L'odore di vernice svanisce del tutto quando apriamo una porta con su scritto "accesso riservato al personale", che porta ad un piccolo corridoio stretto e per niente arredato, dalle pareti bianche e immacolate, con solo tre porte identiche poste una a sinistra e le altre due a destra.
Dominic bussa a quella di sinistra, e una voce attutita ci invita ad entrare.
Quando entro mi trovo davanti proprio ciò che mi aspettavo di trovare. L'ufficio di Fredrik è asettico, bianco come le pareti del corridoio, mobili neri e moderni. Due librerie ai lati, e tre poltrone davanti la sua scrivania, dietro la quale è seduto proprio il proprietario.
Occhi di ghiaccio alza immediatamente lo sguardo verso di me, avvolgendomi con la sua solita aria glaciale.
"Grazie Dominic, Karol ti aspettavo. Robert mi ha immediatamente informato, a breve arriveranno Nik e Donald."
Dominic si chiude la porta alle spalle, e totalmente a suo agio si dirige verso la macchinetta del caffè.
Al nome del Motociclista inizio a provare una sensazione di disagio mista ad ansia.
Vorrei rivederlo, ma non con quell'espressione perennemente nervosa sulla faccia.
"Vuoi?" Mi indica, sorridendo gentile.
Arriccio il naso, decisa a non bere più caffè per almeno un mese e scuoto il capo.
"Donald?" Chiedo a Fred, che accetta al mio contrario il caffè offerto dal nonnino. Li studio con attenzione, chiedendomi che ruolo abbia lui in tutto questo.
È il nonno di Liam, ma cosa c'entra con Fred e la I.G.?
"Donald è il nostro hacker di fiducia, ci aiuterà ad avere qualche informazione in più sul tuo capo. Non pensavo che alla Albernstan & co. ci fossero vory v zakonne"
Mi ritrovo nuovamente ad arricciare il naso, mentre con una certa rigidità mi sistemo sulla poltrona davanti la scrivania, continuando a tormentarmi le mani.
"Nemmeno io lo sospettavo, d'altronde di tutta questa storia oltre alle poche cose che mi sono state riferite, so poco e niente." Sibilo, con una punta d'acidità che non scappa all'udito di Fredrik, che non perde tempo a guardarmi con aria di rimprovero.
"Abbiamo cercato di tenerti all'oscuro su determinate cose per preservare la tua sicurezza, ma evidentemente qualcuno della Brigata Del Sole vuole il tuo più totale coinvolgimento. Quindi, dobbiamo salvarci in corner."
Lo guardo interrogativa, mentre si siede composto sulla poltrona.
"Come sai che si parla della Brigata Del Sole?"
Fred mi scruta con un cipiglio cupo, in totale contrasto con la brillantezza della camicia bianca che indossa.
"Siamo gli unici a contenderci i territori di Seattle, e dopo tutta la vicenda di tuo fratello, la minaccia del primogenito di Averin, la cosa è praticamente ovvia."
Vuol dire che c'è dietro un'intera famiglia?
Rabbrividisco inorridita, al pensiero di una famiglia intera, tutti con gli occhi neri e profondi che per chissà quale oscuro motivo mi vuole e mi ghiaccio sul posto, con il respiro mozzato.

SorridimiWhere stories live. Discover now