Capitolo ventuno - Devi Essere Pronta

92 13 9
                                    

Non è la prima volta che mi sveglio con una sensazione d'ansia estremamente palpabile e solida, soprattutto da circa tre settimane a questa parte. Ma ogni volta è come se fosse la prima, lasciandomi addosso una sensazione angosciosa attaccata al corpo.
Però per la prima volta in tutta la mia - programmata - esistenza, non so che aspettarmi.
Chi l'avrebbe mai detto che io, Karol O'Connor, avrei imparato a difendermi da sola?
L'obbiettivo è questo, ma tra la pratica e la teoria c'è molta differenza. Ed io sono una persona più teorica, che pratica.
Certo, l'elasticità e resistenza fisica non mi è mai mancata - grazie alla danza classica - ma tra quest'ultima, e la difesa personale attraverso utilizzo di armi come pistole, o coltelli vi è una differenza abissale.
Un brivido di tensione mi percorre la spina dorsale, mentre lascio lampeggiare i fari dell'auto, chiudendola.
Un sbadiglio rumoroso mi fa pentire di tutto ciò che ho fatto finora.
Sono le sei e mancano circa tre ore all'inizio del mio turno lavorativo, e il mio stomaco totalmente vuoto non da cenni di vita, suppongo ancora addormentato. Ne tantomeno ho voglia di mettere sotto i denti qualcosa, essendo un concreto fascio di nervi.
Sospiro, guardandomi velocemente attorno.
Davanti l'officina non c'è ancora nessuno, e l'aria frizzantina tipica delle prime ore di giorno mi sferza debolmente il viso, arrossandomi le guance pallide.
Infilo nella tasca interna della felpa beige le chiavi della macchina distraendomi mezzo secondo, concentrata sulla punta delle mie scarpe da ginnastica, che un rombo mi fa alzare lo sguardo.
Il Motociclista fa il suo grande ingresso rallentando, fino a fermarsi qualche metro dietro la mia auto.
Improvvisamente una sconveniente tachicardia mi fa rizzare la schiena, facendomi prendere le sembianze di un manico di scopa.
Nikolas ha il volto coperto dal casco integrale, e una volta spento il motore senza nemmeno esser sceso dalla moto se lo sfila, lasciando spazio alla zattera di capelli castani totalmente scombinata.
Se li sistema velocemente con una mano, mentre con l'altra poggia il casco davanti a se, e poi in un movimento fluido scende dalla moto, slacciandosi il giubbotto nero di pelle.
Quando si volta nella mia direzione, mi rendo conto di averlo fissato con troppa insistenza, e in un barlume di coscienza, mi premuro di distogliere lo sguardo, ringraziando il freddo che mi rende le guance rosse senza ulteriori o specifiche motivazioni.
"Buon giorno" Gracchia, schiarendosi la voce appannata dal sonno. "Sembri Heidi. Freddo?"
Mi giro a guardarlo, osservando impassibile gli occhi ambrati stringersi per via di un ghigno divertito.
Faccio il broncio, alzando un sopracciglio.
"Sento freddo, e sono qui da più di 10 minuti." Mento, solo per il piacere di provare a scacciargli dalla faccia quel ghigno insopportabile e saccente. Ma il risultato non è quello sperato, perché lui continua come se nulla fosse.
"Tranquilla, tra poco non lo sentirai più."
E mi fa l'occhiolino, sghignazzando.
Ma chi si crede di essere?
"Perfetto allora." Sbotto, punta sul viso. "Incominciamo? Invece di perdere tempo."
Incredibile come mi faccia perdere le staffe con un nonnulla, non che io sia una persona pacifica e mansueta, ma lui come al solito tira fuori il mio lato peggiore.
Se c'è una cosa che non sopporto, è proprio quella di dover dipendere o dare conto a qualcun altro.
Fin da sempre, nonostante le agevolazioni che i miei genitori hanno provato a offrirmi, me la sono sempre cavata da sola. Certo, alcune volte è impossibile non dire il mio cognome, che subito qualcuno fa riferimento alla mia famiglia e alla sua importanza, ma mi sono sempre assicurata che ciò che ho ottenuto, sia stato solo ed esclusivamente merito mio, delle mie capacità e della mia dialettica.
E ora, ho bisogno di qualcuno per farmi da balia? Oppure, ho bisogno della protezione di qualcuno?
Si, ne hai bisogno. Perché fin ora non ti sei mai trovata faccia a faccia con un importante ragazzetto della mafia russa.
"Hai fretta, Rossa? Fidati che una volta cominciato mi pregherai per smetterla."
Mormora con voce languida, facendo chiaramente riferimento ad altro.
La mia bocca va involontariamente ad aprirsi formando una O, mentre le orecchie mi vanno in fiamme.
Oh no, questo è troppo.
"Senti, siamo qui perché devi istruirmi" virgoletto furiosa "oppure perché sei annoiato e la cara e dolce Katherine non ti soddisfa abbastanza e quindi ci provi con me? Te lo dico già adesso: non funzionerà." Allargo le braccia, parlando troppo velocemente e dispotica come non mai.
Colpo basso Karol, troppo basso.
Vedo che alza un sopracciglio, e finalmente si toglie di dosso l'aria da spaccone so-tutto-io, arricciando le labbra infastidito.
Fa lunghi passi fino ad arrivare a mezzo metro da me, osservandomi di sbieco. Incrocia le braccia muscolose e divarica leggermente le gambe riparate da una larga tuta nera, studiandomi come se fossi un esperimento di laboratorio.
Ancor prima che apra bocca, mi rendo conto di averlo stuzzicato fin troppo.
"Bene. Inizia a correre, 15 minuti di riscaldamento." Indica con un cenno del mento il piccolo parchetto alle nostre spalle, con tanto di altalene, panchine e una piccola fontanella al bordo del marciapiede.
Mi volto più volte verso lui e il parchetto, con la bocca semichiusa.
"Cosa?" Chiedo incredula. "15 minuti per una prima volta non ti sembra esagerato? Voglio dire, non mi alleno da molto e—"
"Non si discute." Mi interrompe, fulminandomi con lo sguardo ambrato. "Forza."
"Bene." Punta sul vivo, mi incammino verso il parchetto senza nemmeno guardare prima di attraversare la strada, sbattendo i piedi ad ogni mio passo, certa che lui mi segua.
Dannato e maledetto Centauro di sto cavolo, ora ti faccio vedere io.
Pensi che io mi affatichi per 15 minuti? Bene! Ti farò vedere.
"E non borbottare, ti sento!" Mi riprende alle mie spalle, gli rispondo con uno sbuffo prima di iniziare a correre per tutto il perimetro del parchetto.
I primi 5 minuti non è poi così difficile, mantengo un passo ritmico, l'aria entra a pieni polmoni ma a parte un leggero calore nulla di più.
Proprio quando supero i circa 6-7 minuti il mio respiro inizia a farsi pesante, i polpacci iniziano a dolere e ormai la schiena è sudicia e bagnata di sudore.
Nikolas - a maniche corte nonostante non si stia allenando - si gode lo spettacolo dalla panchina su cui è stravaccato, con la mia felpa e il suo giubbotto al fianco, totalmente interessato al cellulare fra le mani.
Io fatico e tu non fai nulla!
In un moto di stizza mi fermo improvvisamente, strisciando violentemente i piedi sull'asfalto. Poso le mani sulle ginocchia, cercando di regolarizzare il respiro.
"Già sei stanca, rossa? Non avevi voglia di allenarti?" Mi pizzica lui, ghignando malefico.
Sono certa che goda nel vedermi ansimante e rossa in viso, forse più del dovuto.
Raddrizzo la schiena, passandomi una mano sulla fronte bagnata di sudore.
"Perché io mi sto facendo il culo mentre tu stai lì, bello e rilassato?"
Nikolas alza le sopracciglia, con l'aria di chi se la sta godendo tutta.
"Perché sono il tuo coach, devo sorvegliarti e assicurarmi che tu finisca il tuo primo allenamento e riesca a difenderti da sola, non è questo il nostro scopo?" Domanda ironicamente, inclinando il capo. Sento il suo sguardo torbido sulle mie spalle scoperte e sulla maledettissima canottiera da palestra che ho comprato anni fa, per sfizio, sicura che non l'avrei mai utilizzata.
E invece...
Sbuffo infastidita, piantando le mani sui fianchi.
"Il tuo compito è anche spigarmi un po' di cose, ricordi? Oppure dentro quella tua testolina bacata non c'è spazio?"
Vorrei chiedergli che fine ha fatto quell'espressione da bambino contento di domenica, quando Fredrik ha proclamato - se così si può dire - il mio ingresso nella I.G., ma la sua faccia da schiaffi mi fa passare tutta la voglia di comportarmi civilmente, o almeno, di tentarci.
Schiocca la lingua, alzando leggermente la fronte.
"Oh vero, stranamente hai ragione" mi beffeggia. In questo momento mi immagino con la faccia rossa e gonfia, con le orecchie fumanti proprio come un toro imbestialito.
"Cosa vuoi sapere?"
"Tutto?" Ironizzo, non riuscendo ad impedire al mio sopracciglio di alzarsi. Ciò non sembra rallegrare Nikolas che anzi, aggrotta la fronte iniziando a massaggiarsi il mento, assumendo un cipiglio estremamente concentrato.
I suoi occhi si perdono per qualche secondo in un punto indefinito, come se stesse facendo un viaggio nel tempo.
Oh no, non inizierà dal principio vero?
"Credo che la storia sia troppo profonda per poterla raccontare dall'inizio, ma per fartela breve la Izmajlovskaja Gruppirovka si è formata intorno agli anni ottanta, ad opera di Oleg Ivanov."
Nikolas mi guarda come a testare la mia reazione che fortunatamente rimane impassibile, annuisco mentre un piccolo spillo si conficca nel mio stomaco, in tensione.
Nonostante ciò, drizzo le antenne estremamente curiosa di ascoltare la storia.
"Un parente di Fredrik." Affermo, con voce mesta.
Lui annuisce brevemente, prima di ricominciare a parlare.
"Una cosa che non sai - tra le tante - è che dopo la morte di Oleg, la I.G. si è suddivisa in due gruppi: il nostro, e la Golyanovskaya. Entrambi sono sotto il comando di un avtoritet, Fredrik Ivanov è il nostro."
Un leggero venticello mi fa rabbrividire piacevolmente, ancora troppo accaldata dalla corsa e mi sposto a disagio su un piede, venendo seguita attentamente dallo sguardo ambrato di Nik.
Rimani impassibile.
Mi suggerisce il mio subconscio, e così faccio.
"I due gruppi non sono mai stati troppo in tensione, siamo riusciti a stabilire una pace interna dopo varie faide che si sono concluse rapidamente, per motivi ben ovvi."
Sospira con la fronte aggrottata, sfregando la mano sulla bocca pensieroso.
"Non hai finito di allenarti" mi lancia uno sguardo inquisitore, facendomi cadere giù dalle nuvole.
"Ma stai raccontando!"
Mi fingo una studentessa attenta e per nulla impaurita, quando ogni suo piccolo movimento come gli occhi che si muovono, le mani che si spostano, mi attira incredibilmente.
"Tu lavori, io parlo. A terra, 20 addominali per iniziare, per tre volte. Sono magnanimo!" Ridacchia subito dopo, infilando la lingua tra i denti.
Oh santissimo cielo azzurro!
Mi butto velocemente a terra, contenta di non doverlo fissare più di tanto. Almeno così la mia attenzione non verrà traviata.
Al primo addominale gli intimo di continuare in uno sbuffo lieve.
"Il motivo è la Brigata del Sole, la Solncevskaja Bratva. Gli Averin non sono mai stati tipi pacifici, però prima che il nonno di Jònar morisse, tutto era più gestibile. Quando Ermak Averin è morto, si è scatenato il caos."
Sbuffo prepotentemente al ventesimo addominale, e rimango distesa sul tappetino improvvisato dalla mia felpa, fissando il cielo chiaro, in attesa che Nikolas continui.
"Finnick Averin, figlio di Ermak e padre di Jònar credo sia l'uomo più crudele e assetato di potere al mondo, forse più di suo figlio stesso." Mormora a fatica, mentre posso sentire dalla sua voce la mascella contrarsi e rilassarsi spasmodicamente.
Devo metterci tutta me stessa per non alzarmi e andare da lui, o semplicemente per non guardarlo, così ricomincio la serie di addominali.
"I rapporti come ti avevo accennato non erano dei migliori, ma tollerabili. Ognuno faceva le proprie ronde, nessuno passava dai territori nemici, e per parlare si organizzavano incontri nelle terre di mezzo, quelle che non appartengono a nessuno. Ma un giorno, Finnick ruppe la pace traballante."
Nikolas rimane in silenzio finché non smetto la ultima e terza serie di addominali, e inquietata dal silenzio improvviso con uno strano timore mi tiro su, venendo improvvisamente incatenata dallo sguardo furioso e scintillante.
È rivolto verso di me, piegato sulle sue ginocchia con i gomiti appoggiate ad esse, le mani fatte a barriera davanti la bocca sicuramente contratta in una linea stretta. I muscoli delle braccia tesi come non mai, come se si stesse sforzando per non scattare in avanti.
È giorno ma il viso di Nikolas appare comunque ombroso e cupo, tant'è che rabbrividisco violentemente, nonostante ormai non senta più freddo o non ci sia più vento.
Deglutisco, ipnotizzata dallo sguardo scuro e intenso presa da un'improvvisa frenesia che mi sussurra all'orecchio di scappare a gambe levate, proprio come una vigliacca.
"La differenza tra la Izmajlovskaja Gruppirovka e la Brigata del Sole sai qual è?"
Mi domanda, con voce incolore.
Scuoto lentamente il capo, smarrita.
Smarrita perché l'unica volta che ho visto il Motociclista così arrabbiato fu quando Jònar Averin si è avvicinato pericolosamente a me, squadrandomi con quello sguardo vuoto e freddo.
Proprio simile a quello che ha lui adesso.
"Che noi non uccidiamo."
Mi blocco letteralmente sul posto, irrigidendo all'inverosimile le braccia e le gambe, come paralizzata da una forza superiore, impossibile da controllare o gestire.
Una bolla di angoscia scoppia nel mio petto, e improvvisamente mille scenari confusi si svolgono nella mia mente, e una sola domanda mi esplode nel cervello, disperata: chi è morto?
Mi ritrovo così ad osservare smaniosa ogni dettaglio del suo viso, altrettanto contratto, per cercare di capire qualsiasi cosa, di recepire qualsiasi minimo dettaglio ma dalla maschera di marmo che si è appena solidificata, non esce nulla. Nikolas ha perso ogni tratto distintivo, e rimane così per qualche secondo finché non lascia andare un sospiro disperato, rilassando lentamente prima la fronte e poi la mascella, distendendo finalmente il viso.
"Flessioni, tre serie da 20. Continuo a raccontarti." Mi rassicura a modo suo, abbandonando la posa rigida e distogliendo lo sguardo che ancora arde dal mio. Mi soppesa con lo sguardo in attesa di una mia risposta.
Rimango un attimo ferma, tentennando.
Vorrei dire qualcosa, qualsiasi cosa ma per la prima volta mi ritrovo completamente disarmata, e nuovamente mi domando: sono pronta per questa vita? Sono pronta a temere per la mia incolumità, e per quella degli altri?
"Karol?" Nikolas mi richiama, e sta volta nei suoi occhi non c'è più nessun accenno di rabbia, ma solo preoccupazione.
Annuisco velocemente, sbattendo le palpebre.
E inizio a fare le flessioni con tutt'altro nella testa, tant'è che non ascolto nemmeno ciò che il Motociclista dice.
"Hai sentito ciò che ho detto?" Mi domanda dopo un po', indagatorio, con gli occhi ridotti a due fessure
Sbuffo un po' d'aria facendo svolazzare un ciuffo di capelli sfuggito alla coda, annuendo nuovamente.
"Il gatto ti ha mangiato la lingua?" Mi punzecchia con voce petulante.
Incredibile come sia talmente lunatico da far cambiare a sua volta e in maniera altrettanto rapida il mio umore.
"No, se parlo mi stanco ancora di più. Meglio risparmiare fiato" Gli lancio una frecciatina, mentre mi riprendo dalla prima serie.
"Devi essere pronta, Karol."
Nuovamente mi sorprende, fissandomi con quei occhi profondi e direi liquidi.
Deglutisco in difficoltà, passandomi in un gesto nervoso la mano sulla guancia accaldata.
"Devi essere pronta a tutto."
Il problema è proprio questo.
Non so se lo sono.
Diciamoci la verità, per quanto io sia temeraria a volte - ovvero quando mi faccio prendere dal mio istinto di "paladina della giustizia" - non so se riuscirei ad affrontare pistole, ronde, scontri... gente che muore.
E se dovessi assistere ad un omicidio? Se quello ferito e sul punto di morte fosse qualcuno se gruppo, se fosse proprio Nikolas?
Sbarro gli occhi, mentre un brivido di puro terrore mi scuote tutta, dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli.
Un groppo in gola me la serra definitivamente, e quando in preda alla mia più totale disperazione sto per lasciarmi andare, il rombo stentato di una jeep mi fa sobbalzare sul posto, facendomi sentire effettivamente quanto il mio cuore stesse correndo.
"Ah, ecco gli altri! Ora si che possiamo allenarci come si deve, pronta?"
Nikolas mi fa mezzo sorriso come se nulla fosse, trafiggendomi più del dovuto con gli occhi, come se anche lui volesse dirmi qualcosa.
Ma non lo fa.
Si alza e urla alzando una mano, richiamando la testolina bionda che è appena saltata fuori dall'auto, seguita a ruota da Katherine, Robert e Alethea, mentre una moto grigio metallizzata si ferma esattamente dietro la jeep, sempre nel vialetto dedicato alla Officina.
I ragazzi sono arrivati.
Mi alzo anch'io, passando in rassegna i volti di tutti, persino quello di Katherine che appena mi nota storce la bocca come un quadro di Picasso.
Mentre gli altri si sistemano Robert mi viene incontro a grandi falcate, mettendomi le mani sulle spalle e sorridendo.
"Ti vedo stanca, quanto ti ha strapazzata?"
Volge uno sguardo accusatorio al Motociclista che insofferente incrocia le braccia al petto, facendo guizzare i muscoli.
"Non più di tanto, siamo ancora all'inizio." Borbotta velenoso, ricambiando lo sguardo. "Tranquillo, la bambolina non si stropiccia"
Una fitta di fastidio mi trapassa lo stomaco.
Sia per l'atteggiamento alquanto ambiguo del mio amico, sia per il suo.
Possibile che le occhiate e gli sguardi che mi lancia siano solo frutto della mia fantasia? E se così non fosse, perché diavolo ora è diventato così scorbutico e dispotico?
Decido di ignorarlo per una buona volta, senza però risparmiargli la solita occhiataccia, e mi rivolgo a Robert.
"Sto bene Rob, me la cavo." Velenosa al punto giusto, scrollo via le sue mani della mie spalle, beccandomi degli occhi da cucciolo bastonato.
Eh no, caro mio.
Finché non la smetterai di fare il papà protettivo, io non smetterò di fare la figlia ribelle.
Jacob, Liam e Alethea mi vengono incontro tutti e tre sorridenti.
"Buon giorno!"
"Come va come primo allenamento?"
"Ehi sembri Heidi!"
I tre parlano allo stesso tempo, facendomi ridacchiare.
"Ciao Alethea. Tutto bene Jacob grazie, anche se come al solito non si risparmia il veleno da serpe. Non sei il primo che oggi me lo dice, Liam."
Alethea ridacchia sommessamente, coprendosi la bocca rossa come una scolaretta. Liam sembra che abbia appena bevuto almeno una quindicina di caffè, perché non riesce a stare fermo sul posto, saltellando come un bambino estremamente eccitato.
"È normale, tranquilla. Parte sempre così. Che facciamo oggi Nik?"
Jacob si spoglia della felpa blu, rimanendo in maglietta nera super aderente mentre si rivolge a Nikolas, inevitabilmente attratto dalla mora al suo fianco, che invece di essersi vestita per fare sport, sembra si sia preparata per andare al mare.
Katherine appena sente il mio sguardo su di se, lo sostiene, fulminandomi.
Indossa dei pantaloncini in tuta microscopici, è una canotta dello stesso colore bordeaux striminzita, che le arriva a malapena all''ombelico. Ha un fisico asciutto e perfettamente allenato, con un piccolo accenno di tartaruga.
Mi ritrovo ad invidiarla inconsapevolmente, e a domandarmi allo stesso tempo se anche io arriverò ad avere un fisico così.
Sempre se non muori prima.
Rabbrividisco di nuovo, e di getto scuoto il capo come a voler spazzare via i pensieri cupi dalla testa, senza alcun effetto.
"Io ricomincio la serie di flessioni." Mormoro, spostandomi un po' più in là mentre il Motociclista mi guarda incolore, con gli occhi
spenti e distanti.
Esattamente come i miei, persi in una bolla di sequenze che spero non avvengano mai.

Spazio cattivamela:
Rieccomi tornata con un nuovo capitolo, spero di non essere troppo in ritardo!
Finalmente ci stiamo addentrando nel cuore della storia, e iniziamo a conoscere più personaggi come il padre di Jònar, Finnick Averin.
Cosa ne pensate? Chi è morto del gruppo? Chi ha colpito sul personale questa morte? Idee? Ipotesi?
E cosa pensate del comportamento di Nikolas? E di Karol?
Seguitemi su @cattivamela su Instagram per info e aggiornamenti + foto carine dei personaggi 😏

SorridimiWhere stories live. Discover now