Capitolo undici - Mate

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"Non posso credere che tu lo stia facendo veramente!" Gracchia nuovamente, la voce più che incredula del mio migliore amico dall'altra parte del telefono.

Andiamo!

É proprio così scioccante che all'età di ventiquattro anni abbia deciso di andare a vivere da sola, in un piccolo e modesto appartamento vicino al centro? - era anche ora -
A quanto pare sì!
Sbuffo sia per l'esasperazione - sarà la quinta volta che me lo chiede - sia per la fatica.

Trasportare tutti questi scatoloni da una stanza all'altra non è molto piacevole, soprattutto per la quantità di vestiti e oggetti vari al loro interno.
"Senti gira dischi rotto, hai intenzione di venirmi ad aiutare oppure no? Sai, impieghi parecchio del mio tempo con le tue telefonate."

Ironizzo con il cellulare tra la spalla e l'orecchio, mentre trasporto l'ennesimo scatolone dentro la mia camera da letto.
Il mio migliore amico sbuffa.
"Oh scusami, principessina Karol se sto rubando del tuo tempo prezioso." Si prende gioco di me, con vocina stridula, che in teoria dovrebbe essere la mia.
Ridacchio, mentre con un leggero colpo della scarpa da tennis che indosso riesco a scostare la porta bianca, sentendomi subito dopo estremamente a mio agio.
Ho deciso - alla fine - di portarmi il letto ad una piazza e mezza in ferro battuto rigorosamente bianco - come il resto dei pochi mobili semplici - che avevo nella casa dei miei genitori, per il semplice fatto che è uno dei pochi rimasugli di ciò che rimane della mia infanzia, e nonostante sia un pezzo abbastanza vecchio, non ho mai sentito il bisogno di cambiarlo.

Il tetto leggermente spiovente, con una piccola finestra rettangolare proprio sopra esso, rende il tutto estremamente tranquillo e appagante, e la sensazione di disagio che pensavo avrei provato una volta entrata nel mio nuovo appartamento sembra essere una realtà molto lontana. Non sono qui da nemmeno 6 ore e già mi sento a casa.

Sicuramente molto meglio di prima, data la più totale indifferenza da parte dei miei cari genitori.
Sistemo lo scatolone sul letto ancora sfatto, uscendo il piumone colorato.
Do un'occhiata sopra la porta, leggendo l'orario sul grazioso orologio digitale verde menta.
"Sono quasi le otto, Jamie. Non esci sta sera?"
"Oh, piccola sbruffona! Lo sai benissimo che non esco" Cantilena, con voce leggermente infastidita.
Fingo un rumoroso sussulto di sorpresa, e se lo avessi qua davanti, riuscirebbe anche a vedere la mia mano poggiarsi drammaticamente sul petto.
"Potter James che non esce il sabato sera? Che storia è mai questa?"
Chiedo, con una punta di fastidio.
Da circa tre settimane - dal mio compleanno - Robert non mi ha più contattata. Se ne è semplicemente andato, probabilmente seguendo come un cagnolino fedele i due membri della banda.
Non che io lo biasimassi, ma data la sua voglia di perdono quella sera, mi era sembrato di capire che in qualche modo avrebbe rimediato. Magari prima, fornendomi qualche spiegazione sul perché e sul quando si è unito a quella combriccola di...

Niente Karol, respira.

Ciò nonostante, non mi aveva né scritto né chiamata. Come se fosse sparito letteralmente nel nulla.
James, non vedendolo più ritornare quella sera ed essendo troppo preoccupato per le mie condizioni non si era scomposto più di tanto. Ma sapevo e so che sotto c'è qualcosa.
Difatti, Jamie rimane in silenzio per qualche secondo, facendomi seriamente preoccupare.
Solitamente è proprio lui quello che parla di più, maggiormente per evitare quel silenzio imbarazzante o assordante.
"Non sei l'unica a non essere stata più cercata da Robert, da quella sera."
Sta volta boccheggio sul serio, stringendo con forza il telefono tra le dita, temendo realmente di rompere i bordi spessi.
"Non è vero." Cerco infantilmente di negare, ma il mio amico sospira sconsolato, e capisco che non mi sta prendendo in giro. "E tu?"

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