Capitolo ventitre - Ho Deciso

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Nikolas mi afferra delicatamente le spalle e mi distacca dal suo abbraccio, mantenendomi sempre ad una certa vicinanza

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Nikolas mi afferra delicatamente le spalle e mi distacca dal suo abbraccio, mantenendomi sempre ad una certa vicinanza.  Un piccolo vuoto mi buca lo stomaco, e per un attimo - come sempre - mi pento di essermi lasciata andare con lui, di nuovo.
Aggrotto la fronte, visibilmente delusa e un moto di rabbia inizia a farsi strada probabilmente tra i miei lineamenti, tant'è che il Motociclista con lo sguardo ambrato fisso sul mio intima di star zitta, e stranamente lo ascolto. Silenziando in parte la rabbia.
Voglio proprio sapere cosa dice, adesso.
"Raccontami cosa è successo."
Alzo un sopracciglio, tenendo le labbra in una linea stretta. Tutto qua?
"Penso tu lo sappia già."
Nikolas alza a sua volta il sopracciglio castano, imitandomi.
"Intendo per filo e per segno, ogni singolo particolare è importante Karol, te lo avevo detto."
Mi rimprovera con lo sguardo, mantenendo sempre salde le mani sulle mie spalle.
Iniziano a prudermi le mani per la troppa poca vicinanza. Per la troppa "via di mezzo". Né vicini come prima, né lontani. Per la sua incredibile capacità di saper cambiare umore e atteggiamento nel giro di qualche mezzosecondo.
Prima mi abbraccia come se fossi l'unica ragione della sua vita, e poi mi tiene ferma così, nemmeno fossi una bambina da tenere a bada.
Mi scrollo in un gesto di stizza le sue grosse mani dalle spalle e lui non fa una piega, incrociando le braccia al petto.
"In realtà non me lo hai detto." Specifico con durezza, imitando la sua posa. Una certa nota di stizza nella voce.
Oggi è la giornata del "imita tutto quello che faccio"?
Lui alza gli occhi al cielo, e le sue mani lo fanno pure sbattendosi con veemenza sulle sue gambe fasciate dai jeans.
"Okay, lo avrò omesso allora. Ma potevi anche arrivarci, no? D'altronde sono il tuo tutor"
Sbuffo, spostandomi di lato. Voglio distanza.
"Solo quando ti conviene" Borbotto a bassa voce.
"Come?"
"No, nulla!" Mi affretto a recuperare rendendo la mi voce fin troppo stridula, più alta di qualche ottava. Nikolas mi guarda storto, ma non dice nulla.
"Vieni andiamo da Donald, lui fa parte della squadra quindi può ascoltare"
Nikolas apre la porta esattamente parallela all'ufficio di Fredrik, e prima di infilare il primo piede dentro mi blocco, perplessa.
La stanza è completamente buia, e la prima cosa che noto nell'oscurità più totale è un viso ghignante illuminato parzialmente da uno schermo di un portatile che fa guizzare gli occhietti scuri proprio sulla mia figura.
Mi si ghiaccia il sangue nelle vene, e un brividino di inquietudine mi attraversa la schiena.
"Donald, ma che cazzo? Perché sei al buio? Sei inquietante amico!"
Nik da voce ai miei pensieri, accendendo la luce e illuminando finalmente l'ambiente - molto simile a quello dell'ufficio di Fred -riempito solamente da un divano color mogano gigantesco, una grossa scrivania e parecchi aggeggi tecnologici su essa. Il proprietario del ghigno malvagio si rivela essere quel che sembra appena un ragazzino.
Donald si alza gli occhiali quadrati, scivolatigli sul naso e mi rivolge un sorriso amichevole, facendo così assottigliare ancor di più gli occhi scuri asiatici, e aggrinzire i lineamenti pieni delle guance.
"Scusa, è che mi diverto troppo." Si giustifica con un'alzata di spalle.
"Gesù, avrò perso almeno dieci anni di vita."
Mormoro a me stessa, mettendomi una mano sul cuore. Il Motociclista si avvicina e gli da una manata sul retro del collo, facendolo sobbalzare.
"Mi hai fatto male, imbecille!" Si lamenta massaggiandosi la parte incriminata, rimanendo sempre seduto sulla comoda sedia girevole.
"Lei non è l'unica ad essersi presa un colpo, ti stavo già caricando per placcarti contro il muro" gesticola, con l'ombra di un sorriso sulle labbra "Con tutti questi tuoi strumenti qui"
Donald sbianca, visibilmente spaventato socchiudendo la bocca.
"Sto scherzando amico!" E gli da un'altro scappellotto scoppiando a ridere e facendogli scivolare nuovamente gli occhiali.
"Forse" Bisbiglia divertito, allontanandosi per chiudere la porta alle mie spalle.
Solo ora mi rendo conto di essere rimasta immobile, e allora mi avvicino a quello che deve essere l'hacker di fiducia della I.G.
"Sono Karol, ghigno a parte piacere di conoscerti"
Gli allungo la mano che lui, solo dopo essersi ripreso dalla minaccia velata del Motociclista stringe con sicurezza, aggiustandosi nuovamente la montatura nera.
"Karol O'Connor, figlia di George ed Eva O'Connor, gemella, nata a Seattle il 28 ottobre. Piacere di conoscerti, io sono Donald Lee, hacker occasionale della Izmajlovskaja gruppirovka."
Alzo le sopracciglia, aprendo la bocca fin troppo, in stato di shock. Non so se arrabbiarmi per la violazione delle mie informazioni personali, o complimentarmi per la bravura.
"Donald, vuoi un altro schiaffo?"
Sento Nikolas stravaccarsi sul divano, la voce intimidatoria.
L'hacker sbianca di nuovo e si sistema nervosamente sulla sedia.
"Scusa, abitudine del mestiere."
Decido di lasciar perdere e scrollo le spalle, osservando l'elegante pc portatile nero opaco.
"Karol?"
Nik mi chiama, guardandomi eloquentemente.
Sospiro, toccandomi piano la punta del naso e socchiudo gli occhi.
"Stavo bevendo del caffè nella sala ricreativa, e Vanessa Sand è spuntata, si è presa un caffè e mi ha detto, testuali parole "Fatti gli affari tuoi, O'Connor. Continua a fare la tua vita e nessun altro si farà male" . Poco prima, alcuni miei colleghi del piano superiore stavano chiacchierando riguardo un presunto tradimento da parte del compagno proprio del mio capo, avvenuto a quanto pare con un altro capo di reparto della mia azienda."
Alzo le spalle, e il mio sguardo si perde sul pavimento scuro della stanza, mentre ripenso all'intensità degli occhi verdi del mio capo, mentre sussurrava quelle parole con una calma surreale.
Quando mi abituerò a tutto questo?
Nonostante Nikolas sia parecchio lontano da me, con la coda dell'occhio lo vedo irrigidirsi sul divano, abbandonando la postura comoda e tendendosi in avanti.
"Vanessa Sand." Sentenzia Donald, mentre i suoi occhi fissi sullo schermo e le dita iniziano a viaggiare veloci sulla tastiera. "Albenstar & Co., corretto?"
Mi lancia uno sguardo fugace, che distoglie subito dopo il mio cenno d'assenso.
Titubante giro attorno alla scrivania per osservare ciò che fa Donald, e come previsto non riesco a capire nulla.
Socchiudo la bocca, aggrottando la fronte incuriosita e confusa allo stesso tempo.
Lo schermo è invaso da varie schede aperte, alcune attive e in continuo aggiornamento. Altre sono statiche, molti codici formati da lettere e numeri appaiono velocemente, per poi scomparire con la stessa velocità. Donald continua a trascrivere su un blocco note alla velocità della luce, senza venir influenzato dalla mia presenza al suo fianco.
"Ti ha detto altro?"
Sposto lo sguardo dal Motociclista, trovandolo nella stessa posizione corrucciata di sempre, gambe piegate, e gomiti poggiate su esse. Le mani a nascondere la bocca, incrociate tra di loro. Gli occhi ambrati, oscurati da pensieri cupi.
Scuoto il capo, sospirando sommessamente.
"Sono corsa in bagno a chiamare Rob. Fredrik mi ha accennato alla Brigata Del Sole."
Mormoro, timorosa di una sua possibile reazione.
Chiude gli occhi, sospirando a sua volta.
"È logico. La cosa che non lo è, invece, è capire perché il tuo capo sia uscito solo ora allo scoperto e non prima."
Aggrotto le sopracciglia.
"Che intendi?"
"Nel momento in cui ti hanno assunta ti ha fatto un colloquio, non è così?" Nikolas mi pone la domanda con tono incolore, sempre perso in chissà quali pensieri.
Annuisco.
"In qualsiasi azienda del genere, che espone al pubblico dipende dalla mansione, devono sapere vita morte e miracolo del lavoratore.
Avranno chiesto sicuramente i tuoi certificati medici, e avranno fatto qualche domanda sulla tua famiglia."
Annuisco nuovamente, sta volta con perplessità.
Vorrei dirgli che non c'è stato bisogno, a causa dell'imbarazzante quanto pericolosa fama di mio padre, ma continuo a tenere la bocca chiusa. Lo stomaco mi si chiude in una morsa, ripensando al riferimento di Sand alla mia famiglia.
"Avendo tu - tuo malgrado - una fama mediatica, avranno saputo in tempo reale della morte di tuo fratello. Quindi, se Vanessa Sand è un ladro della legge della Brigata Del Sole, perché non contattarti subito dopo la morte di tuo fratello? Perché agire ora? E soprattutto, da chi è burattinata?"
Non fa una piega.
Lo fisso senza aprire bocca, mentre un ronzio fastidioso mi inonda la testa. Deglutisco un grumo amaro, distogliendo lo sguardo stanco dal suo acceso e bruciante.
"Trovata!"
Salto sul posto, spostando velocemente lo sguardo sullo schermo ormai privo di finestre aperte. Su esso, campeggia la foto tessera del mio capo, forse di qualche anno fa. Accanto, i suoi dati personali come codice fiscale, numero di telefono e dati bancari.
Sento il sangue defluirmi dal viso, diventando pallida come un cencio.
Devo ancora abituarmici. Anche se essendo figli di un avvocato, non credo riuscirò mai.
"Vediamo, vediamo!" Donald strofina le mani l'una contro l'altra, ghignando malvagiamente.
Questo ragazzino mi mette i brividi.
"Donald, quanti anni hai?" Sbotto di punto in bianco, prendendolo in contropiede.
L'occhialuto si volta di scatto, trovandosi a pochi centimetri la mia espressione corrucciata. E arrossisce, diventando rosso e gonfio come un pomodoro maturo.
"Ventuno." Balbetta sconnessamente, con il respiro a malapena controllato. Giurerei di aver visto una goccia di sudore scivolargli dalla fronte.
Sospiro sollevata, facendo un passo indietro e regalandogli un po' di spazio vitale che sembra desiderare così tanto.
"Vanessa Erica Sand, nata a Chicago il 13 agosto, figlia di Eric Sand e Olga Finn. Vive a Seattle al-"
"Non rilevante, Donald."
Nik lo interrompe, alzandosi dal divano e posizionandosi proprio accanto a me.
"Voglio i suoi spostamenti, il suo tabulato telefonico, e il suo account di posta e iCloud se ce l'ha."
Rabbrividisco, sia per la voce glaciale del Moro sia per la velocità con la quale Donald in meno di mezzo secondo, con un semplice clic, apre altre finestre con i dati richiesti e con addirittura qualche foto e video di varie telecamere di bar, negozi, banche.
Una consapevolezza bruciante inizia a farsi strada dentro di me.
"Avete fatto la stessa cosa quando avete cercato me?"
Il silenzio è l'unica risposta che ottengo, da parte di entrambi.
Chi tace, acconsente.
Butto l'aria violentemente dal naso, mentre nuovamente la rabbia di prima inizia a montare inesorabile, assieme ad uno strano senso di... imbarazzo?
Ma a differenza delle altre volte la opprimo, limitandomi a conficcare le unghia nei palmi delle mani.
Sono riusciti ad avere tra le mani tutte le mie informazioni, dalla data di nascita alla mia ultima visita ginecologica
Non mi ci abituerò mai.
Ma al momento la mia priorità non è la mia rabbia, ne il mio imbarazzo o chissà altro.
La mia priorità è capire perché Vanessa Sand mi ha minacciata così apertamente.
"Nikolas."
Il tono urgente di voce di Donald mi fa ridestare improvvisamente dal mio tormento mentale e dalla mia vergogna, e poso esattamente lo sguardo dove dovrei poggiarlo.
Nello schermo una Vanessa nel solito abbigliamento elegante si trova proprio davanti un manichino di un negozio - visibilmente costoso - e mentre lo ammira, un uomo con i capelli fino alle spalle le si avvicina, le avvolge il fianco con un braccio e la bacia sulla guancia. Lei si volta e sorride, radiosa.
Oh, quindi è lui.
"Ingrandisci, e migliora la qualità."
Il Motociclista accanto a me si abbassa, lo sguardo fisso sul pc, e un'espressione incolore sul viso.
E so per certo che quando Nikolas ha quest'espressione, non c'è nulla di buono in quel che stiamo osservando.
Donald obbedisce, e con qualche semplice colpo sui tasti il video si ingrandisce e la qualità migliora, come ordinato, e si concentra sul volto del compagno - o ex compagno dovrei dire - del mio capo.
È chiaramente un bell'uomo sulla quarantina, occhi scuri, capelli lunghi e lisci come spaghetti scompigliati disordinatamente, sul biondo chiaro, e una barbetta incolta ad avvolgergli il mento.
L'atmosfera si gela immediatamente, come se qualcuno avesse acceso un condizionatore e lo avesse lasciato a cinque gradi per ore dentro la stanza.
Mi volto allarmata verso Nikolas, per trovarlo con uno sguardo omicida, fisso davanti a se, la mascella guizzante e contratta. Rabbrividisco involontariamente
"Nikolas?"
Il tono di voce mi esce supplicante pur non volendo.
"Chi è?"
La mia prima reazione è la paura.
Di nuovo quello sguardo. Lo stesso che ha rivolto a Jònar Averin, lo stesso sguardo spento cupo e iracondo.
"Vado a parlare con Fredrik."
Detto questo scatta verso la porta, e proprio quando sta per spalancarla lo chiamo, ignorando il senso di terrore che mi ha percorso per intera, facendolo bloccare sul posto.
"Vengo con te!"
Lui si volta di scatto, facendomi tentennare.
I suoi occhi ambrati mi fulminano, e sembra proprio che al mio posto non veda altro che la fonte del suo odio. Lo stesso che terrorizza anche me, quasi nello stesso modo in cui lo sta facendo lui.
Sono tentata di rimpicciolirmi contro il suo sguardo carico d'odio, e allo stesso tempo di scoppiare a piangere, impaurita e confusa.
Ma non lo faccio.
Alzo il mento e lo fronteggio, straziandomi le dita dietro la schiena.
"No." Sentenzia duramente, e non vuole sentir ragioni. Le narici si allargano e in questo momento sembra un toro che sta puntando il mantello rosso.
"Faccio anche io parte della I.G. e sono stanca!" Il mio tono di voce si alza e si incrina, mentre sento gli occhi brucianti a causa delle lacrime che cerco di trattenere. "Sono stanca! Perché mi avete fatta entrare in questa stupida organizzazione se poi non mi dite nulla riguardo la stessa? Tutto questo" E con un cenno della mano indico Donald dietro me, e tutto ciò che ha trovato "Riguarda anche me!"
"Non tutto gira intorno a te, non siamo al ballo di fine anno dove si deve eleggere la Reginetta della scuola!" Nikolas ringhia avanzando pericolosamente verso me, senza nascondere l'improvviso disgusto che gli dipinge il volto, ferendomi nuovamente.
Non mi tiro indietro, e pianto i piedi sul pavimento, sentendomi contagiata dalla sua rabbia.
"Vanessa Sand, è il mio capo." Marco bene la parola 'mio', gesticolando animatamente. "Ha minacciato me! Quindi sono coinvolta più di quanto tu voglia."
A differenza del tono di voce sommesso e graffiante io non mi limito nell'urlare, sentendo le vene del collo gonfiarsi.
"TU NON C'ENTRI!" Ruggisce con violenza sovrastando di molto la mia voce, ed è come se mi avesse appena dato uno schiaffo in pieno volto.
Spalanco gli occhi, e faccio mezzo passo indietro stordita.
Continuo ad osservare il suo volto arrossato, gli occhi spalancati come i miei, la mascella contratta e un visibile tremolio che gli muove le spalle, nella speranza che quell'espressione gli svanisca dal viso, o nella speranza che si avvicini e mi abbracci nuovamente, che tutto sia solo una stupida messinscena.
Ma non lo fa, e l'unica cosa che cambia è il suo respiro che da affannato si tranquillizza, e i suoi occhi da accesi si svuotano di luce, guardandomi come se non ci fossi realmente.
"Questa storia va avanti da prima che tu entrassi. E non riguarda te, non è mai riguardato te."
Mormora e senza degnarmi di ulteriore sguardo se ne va, lasciandomi a fissare la porta che con violenza viene sbattuta.
Nuovamente, il familiare senso di impotenza mi fa stringere la gola in una morsa forzata.
Deglutisco invano, osservandomi la punta delle scarpe.
L'unica cosa che sento è il battito frenetico del mio cuore, come a volermi ricordare di essere ancora lì, che soffre ancora.
Mi mordo con forza le labbra, strizzando gli occhi e impiegando tutta la mia forza di volontà nel non piangere lì.
Mi odio.
Odio essere così sensibile, perché prima lo ero.
Odio essermi fidata, anche in parte di lui, perché prima non mi fidavo di nessuno - oltre James e Robert - e stavo bene.
Andava tutto bene.
E ora eccomi qui, a piangere ogni due per tre, a sentirmi impotente e debole, costantemente bisognosa d'aiuto.
Io non sono questa, non lo sono mai stata.
"Perdonalo."
Donald sussurra con voce pacata, ma non mi volto, consapevole di avere un'espressione fin troppo rivelatrice.
"La morte della moglie di Fredrik ha avuto un grosso impatto su tutti."
Smetto di respirare, il battito irregolare sembra quasi arrestarsi, ma continuo a rimanere ferma e immobile, pietrificata sul posto.
"Finnick Averin aveva un'ossessione strana per Molly, e non l'ha mai nascosta. Fino a quando... Un giorno..." Indica con un cenno della testa il portatile davanti a se, grattandosi poi la nuca. Lo guardo con la coda dell'occhio.
Donald balbetta in difficoltà, mangiandosi respiri. Mentre a mia volta, i polmoni sembrano aver perso la facoltà di lavorare da soli. Questa storia l'ho già sentita. 

SorridimiWhere stories live. Discover now