Capitolo ventiquattro - Avvertimento numero uno

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Dopo aver posteggiato dietro Becky's il cellulare suona dentro la borsa avvertendomi di due messaggi, facendomi bloccare sul posto.

Devo togliere la suoneria.

Lo sblocco, trovando due notifiche da parte di Robert:

Karol, cosa stai combinando? Nikolas mi ha detto che non rispondi al telefono, chiamami.

Arriccio il naso, eliminandolo e aprendo l'altro.

So che sai, ti prego chiamami e permettimi di spiegarti. So che non vuoi essere disturbata, che hai i tuoi tempi, ma per favore, chiamami subito.

Elimino anche questo con un nodo alla gola, sentendomi quasi incolpa. Ma presto la stessa svanisce, alla stessa velocità dei miei passi verso la caffetteria.

Robert nonostante è mio amico, mi ha parzialmente nascosto la verità, semplicemente non rivelandola. Semplicemente seguendo quelle stupide e ridicole regole di gruppo, create sicuramente per formare stabilità ed equità nel gruppo, avendo - in questo caso - solo il risultato contrario.

Perché dovrei seguire le loro regole e le loro imposizione, come membro ufficiale, se poi effettivamente non mi trattano come tale?

Entro nel locale guardandomi intorno, notando di essere arrivata prima del mio capo. Quindi mi accomodo in un tavolino appartato, vicino alla vetrata che da verso la strada principale.

Respiro profondamente e chiudo gli occhi, stringendo le mani tremanti tra di loro.

Ho paura.

È inutile nasconderlo, ma lo è anche continuare a nascondersi nell'oscurità, a temere costantemente per la mia vita.

Le aragoste quando crescono, stanno strette nel loro guscio. Il guscio che contiene le loro morbide membra si stringe sempre di più, creando disagio, fastidio. Perciò cercano riparo sotto una roccia, per proteggersi dagli eventuali predatori, e costruiscono il nuovo guscio, sbarazzandosi di quello vecchio.

Ciò che devo fare io, è sbarazzarmi del mio vecchio guscio e costruirmene uno nuovo.

Con l'unica differenza che io non sono riparata sotto un masso, sono senza protezione.

Ma il guscio ormai mi sta stretto, fin troppo. E non mi fa respirare.

Quando Vanessa si siede esattamente davanti a me, in uno slancio fluido ed elegante la saluto con un sorriso contenuto, mentre cerco di calmare il battito del mio cuore galoppante.

"Scusa per il ritardo, ho avuto un piccolo contrattempo. Hai già ordinato?"

Vanessa scuote l'alta coda color mogano, togliendosi il cappotto nero rivelando così una semplice camicia nera che evidenzia il colorito pallido, color porcellana.

"No, aspettavo te."

Fa un cenno ad una cameriera che velocemente prende i nostri ordini e senza ulteriore indugio si dilegua, lasciandoci nuovamente sole.

"Come stai?" Domanda, lasciandomi letteralmente di sasso.

La guardo senza nascondere il mio sguardo di eloquenza, e lei se ne accorge, ridacchiando subito dopo.

"Hai ragione, non è una delle domande migliori da fare."

Vorrei poter stare qui a chiacchierare amabilmente, a far finta di nulla e a godermi un semplice pomeriggio di relax ma non posso. Vorrei risponderle sinceramente, ma trattengo la mia lingua mordendola piano.

Non voglio espormi più di troppo, il rischio è alto.

"Allora Karol, cosa hai capito di ciò che ti ho detto ieri?"

SorridimiWhere stories live. Discover now