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L’amore fugge come un’ombra
l’amore reale che l’insegue,
inseguendo chi lo fugge,
fuggendo chi l’insegue.
-William Shakespeare-

Sky

Era già la terza volta che entravo in ospedale dal risveglio di Harry. Aveva già iniziato la fisioterapia, erano esercizi che comprendevano tutti i muscoli del corpo. Inizialmente ero contenta che la cominciasse, avrebbe potuto tornare a camminare molto in fretta, ma poi avevo cambiato idea. Il secondo giorno, in cui aveva fatto per la prima volta gli esercizi, l'avevo trovato spossato, esausto. Aveva profonde occhiaie violacee sotto gli occhi, il volto pallido e la fronte intrisa di sudore. Le labbra gli tremavano, la preoccupazione mi aveva investita come un treno in corsa. Mi raccontò che non si aspettava che la fisioterapia potesse farlo star male, muovere qualsiasi tipo di muscolo gli provocava un dolore fisico lancinante. I dottori avevano detto che era perché era troppo tempo che non si muoveva, ma passati i primi giorni sarebbe dovuto migliorare di volta in volta. Quel terzo giorno, lo raggiunsi presto al mattino: Zayn sarebbe andato a scuola sotto ricatto del padre e mi era fatta dare uno strappo fino all'ospedale. –Oh, sei arrivata presto stamattina- sorrisi a Harry. Più passavo del tempo con lui, più mi sentivo a mio agio, come se stessi dormendo senza interruzione da giorni, da quando ero sull'aereo diretto in Arizona. –Si, ti ho portato qualcosa di decente da mangiare- al riccio si illuminarono gli occhi quando gli mostrai la brioche presa al bar affianco all'ospedale. –Sei fantastica- mi sentii accapponare la pelle alle sue parole. Lui rimase sorpreso quanto me dalla frase che aveva appena pronunciato, ma non m'importava se neanche lui se l'aspettava. Ero felice di essere con lui. Non sapevo quando sarebbe durata, dovevo godermi ogni sua parola. Un vantaggio di essere arrivata così presto quel giorno, era che non ci sarebbe stata neanche Amanda d'intralcio. Continuava a fare la gatta morta con Harry e io mi divoravo le mani nell'angolo della stanza, aspettando che uscisse. Harry addentò la brioche. –Stai meglio? Hai sicuramente ripreso colore da ieri sera- lui mi sorrise annuendo. –Sto meglio, ma tra un quarto d'ora arriverà il dottore. Ricomincerò tutto daccapo- mi sedetti sulla sedia vicino al lettino. –Volevo chiederti una cosa- deglutii cercando di ipotizzare a che tipo di domanda potesse voler farmi. Non avevamo più parlato di sogni, del mio viaggio o della mia vita a Londra da quando gli avevo mostrato la catenina della farfalla. Io semplicemente la indossavo e adoravo vedere il suo sguardo fermarsi sul mio collo di tanto in tanto, per osservarla. –Certo, dimmi- lui passò la lingua sulle labbra eliminando dello zucchero a velo della brioche. –Volevo chiederti se... se puoi restare. Mentre faccio fisioterapia. Ieri sono stato male, davvero. Non voglio affrontarlo ancora da solo.- la sua richiesta mi lasciò completamente spiazzata, e allo stesso tempo mi sembrò di librarmi su una nuvola. –Vuoi che io resti con te?- lui annuì titubante, ma poi scosse bruscamente la testa –Oh mio Dio, mi dispiace. Mi sento un bambino di dieci anni, sono uno stupido. Fai come se non te l'avessi chiesto, scusami- sorrisi guardando i suo occhi puntarsi su un punto indefinito della coperta che gli copriva le gambe. –Resterò- il suo sguardo saettò su di me. –Davvero? Insomma, davvero?- ridacchiai annuendo. –Certo, rimarrò finché non mi dirai di andarmene-. Lui fece un cenno con il capo, ammiccando. –Dovrai restare qui per un bel po', allora- certo, fino a quando mi sarebbero bastati i soldi, non me ne sarei andata per niente al mondo.

-Come hai dormito stanotte, Harry?- lui fece spallucce. Vederlo seduto sulla sedia a rotelle mi distruggeva psicologicamente. Aveva un espressione preoccupata sul volto, come si stesse preparando al dolore fisico che avrebbe provato di li a poco. –Sentivo delle fitte solo quando cercavo di muovermi e cambiare direzione. Soprattutto nelle gambe. Ma va meglio di ieri.- il dottore annuì scrutando il ragazzo. –Sei pronto per affrontare la seconda sessione di esercizi?- Harry rispose alla domanda con un'altra domanda: -Queste sessioni, somministrate in questo modo, mi faranno riprendere a camminare il più in fretta possibile, dico bene?- l'uomo con il camice bianco, annuì deciso. –Si, sei stato tu a scegliere questo metodo, sai che si chiama Metodo Accelerato. In una settimana, o anche meno, dipende dalla tua forza di volontà e da come risponde il tuo corpo, potrai muoverti liberamente, non dico correre, però quasi- Harry aveva scelto un metodo più veloce di guarigione? –Ma... non può influire negativamente sui suoi muscoli? Voglio dire, non c'è il rischio che si lesionino, vero?- il dottore sbuffò. –Non faremmo mai qualcosa che possa nuocere ai nostri pazienti. È un ospedale prestigioso questo, signorina, proponiamo questi metodi accelerati solo a chi siamo sicuri che possa sopportarli- deglutii e appoggiai una mano sulla schiena di Harry. Mi lanciò uno sguardo incoraggiante. Mi sentivo così inutile, dovevo essere io a consolarlo, non il contrario. –Se sei pronto, possiamo iniziare- lui annuì, poco convinto. –Si, tolto il dente, tolto il dolore- il dottore mi fece un cenno con il capo e io mi scostai sedendomi sulla sedia di fianco alla scrivania. L'uomo tese una mano a Harry e tirandolo verso sé stesso, tiro il riccio in piedi. Una smorfia di dolore trafisse il suo volto e le sue gambe tremarono. –Cominciamo con le cose semplici, ricordi quello che abbiamo fatto ieri con le mani?- Harry annuì. Sollevò le braccia come se avesse dei pesanti massi appesi ai polsi, come se faticasse. Il riccio aprì la mani con il palmo rivolto verso il volto. Iniziò prima a stringere le dita a pugno, facendo sempre maggiore pressione. Poi cominciò a far toccare ripetutamente l'indice con il pollice, poi il medio, l'anulare e il mignolo, sempre con il pollice. Dopo di che portò le mani sulla nuca iniziando a far roteare il busto, prima a destra e poi a sinistra, piegandosi in avanti e poi indietro. Fin lì filava tutto liscio, non sembrava facesse poi così fatica. Il problema venne quando iniziò a dover sollevare pesi o compiere gli esercizi delle gambe: doveva sollevare dei blocchi di qualche chilo, esattamente non ero a conoscenza del peso, ma i suoi muscoli tremavano sotto la maglietta, come se si rifiutassero di obbedire ai comandi inviati dalla testa. Strizzava gli occhi e mordeva il labbro inferiore con violenza, come se lo aiutasse a resistere alla fatica. –Forza, ragazzo, vai bene- lui annuiva alle parole del dottore e continuava a resistere agli sforzi. Poi cambiava mano. Penso che la parte più difficile per lui sia stata quella di usare i muscoli delle gambe e delle braccia: tirare degli elastici, fare su e giù insistentemente da un piccolo soppalco in legno scricchiolante, gli provocava dolore fisico. E sembrava di provarlo anche sulla mia pelle. Avrei fatto qualsiasi cosa per farlo sentire meglio, ma ero completamente impotente. Vedevo i suoi occhi bagnarsi di lacrime, non sapevo se più per lo sconforto o se provava così tanto dolore nel muoversi. Ogni tanto il suo sguardo correva a me, io accennavo un sorriso d'incoraggiamento, sperando che ci credesse più di me che fosse reale.

The Lightning |H.S.|Onde histórias criam vida. Descubra agora