15 ✘ 𝐇𝐎𝐒𝐏𝐈𝐓𝐀𝐋 𝐅𝐎𝐑 𝐒𝐎𝐔𝐋𝐒

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「 𝐂𝐚𝐫𝐭𝐞𝐫 」

Quando apro gli occhi la prima cosa che mi ritrovo davanti è la tendina di un ospedale. Di quelle verde acqua con il logo dell'azienda stampato ovunque, piccolo che devi aguzzare gli occhi per guardarlo. Luke è la seconda cosa che vedo quando poso gli occhi alla mia sinistra. «Era ora», sbotta. È seduto su una sedia, la gamba destra che fa su e giù di continuo. Corrugo le sopracciglia. «Ora per cosa?» Farfuglio con la bocca impastata.
«Che ti svegliassi. Dormi da più di quattordici ore. Sai, fingere di avere una crisi per approfittarsene e poter recuperare il sonno perso non è carino.»
Rivolgo il dito medio a mio fratello. «Va' a farti fottere.»
Sorride.

Il lettino è scomodo, sento un dolore lancinante alla testa. Provo a mettermi seduto ma Luke mi costringe a stare disteso. «Ci riesci a star fermo per una decina di minuti?» sistema i tubi delle flebo in modo tale che io non riesca a tirarmeli via. L'ultima volta mi ero talmente incazzato con tutti quanti che appena mi sono svegliato ho staccato tutte le tubature, rubato i primi vestiti su cui ho poggiato gli occhi e me ne sono andato a bere una birra. Luke e i ragazzi hanno dovuto chiamare la polizia quando è giunta la notizia della mia scomparsa dall'ospedale. Luke mi ha trovato prima degli sbirri. In qualche modo riesce sempre a trovarmi per primo, proprio come quando eravamo bambini e giocavamo a nascondino. Credo abbia quel sesto senso gemellare che gli fa prevedere tutte le mie mosse. O forse mi conosce bene e basta, qualcosa del genere.

«Che ore sono?» Mi strofino gli occhi che, cazzo, bruciano da morire. Potrò anche aver dormito quattordici ore, ma ho ancora un sonno tremendo. Chiudo le palpebre e sospiro mentre Luke dice: «Le tre di notte».
«Sei rimasto qui tutto il tempo?» Lui annuisce. «Potevi tornartene a casa. Sai, so stare solo anche io» Luke rimane seduto su una sedia tutte le volte, a controllarmi come fossi un bambino esagitato che potrebbe combinare qualche disastro da un momento all'altro.
«L'ultima volta che ti ho lasciato solo all'ospedale per solo un'ora hai rubato dei vestiti, sei uscito dalla porta di un reparto proibito ai pazienti e ti sei andato ad ubriacare.» Deve sempre rinfacciarmi tutto, quindi decido di lasciar perdere, perché la testa continua a pulsarmi e la sua vice sembra incarnare la dose. All fine tocca a me dire qualcosa perché odio stare zitto e odio pure il silenzio.
«È stata grossa?»
Capisce subito che mi riferisco alla crisi. Mio fratello è un po' uno stronzo, ma di quelli intelligenti. Io, invece, al suo posto avrei impiegato più tempo per collegare. A volte odio il mio fottuto cervello.

«Abbastanza», dice. E basta. Ha a malapena diciott'anni e ha già visto suo fratello quasi morto sei volte. Sette, se si conta quando ho inghiottito quei blister di barbiturici. Lì ci abbiamo rischiato le penne entrambi. Cristo, d'un tratto mi sento in colpa.

«Come ti senti?», mi chiede. Sa che odio quando le persone chiedono come mi sento. Ma lui ci prova lo stesso.
«Come se un autobus mi sia appena passato sopra.» È quello che gli ho detto la prima volta. Lui se lo ricorda, lo vedo dal sorriso che fa. Lui ricorda sempre tutto. Era spaventato a morte, e lo sembra ogni volta. Spesso esagera, io sto sempre una meraviglia dopo le crisi, mi aiutano ad espellere e rilasciare tutto il casino per rigenerarmi, così la penso io. Lui invece no, lui è sempre apocalittico.
«Vieni qua, hai degli occhi rossi che fanno paura. C'è posto per tutti e due», mi faccio da parte e lascio una parte del lettino per lui. Si alza dalla sedia, stendendosi al mio fianco con lentezza maniacale. Sta' bene attento a non toccare le flebo mentre si sistema su un fianco per lasciarmi spazio.

«Come stanno Audrey e Calum?» gli chiedo. Loro non mi avevano mai visto in una delle mie crisi prima d'ora, probabilmente si sono spaventati a morte.
«Ora bene, li ho convinti a tornarsene a casa poco fa. Erano terrorizzati, a scuola.» Prende a guardare il soffitto. «Chissà se qualcuno si sarebbe terrorizzato se fosse successo a me», dice. Forse non si è accorto di averlo detto ad alta voce. Io odio quando la gente fa assunzioni del genere, sembrano sempre bisognosi di attenzioni per colmare i vuoti.  Salterei di gioia se non avessi nè le crisi nè qualcuno che si preoccupi per me, sul serio. E invece gli altri stanno sempre a contorcersi e farsi problemi.
Quindi gli assesto un colpo con il braccio intubato. «Sta' zitto, Luke». Certo che qualcuno si sarebbe terrorizzato. Io mi sarei terrorizzato. Ed io quando mi terrorizzo valgo per un sacco di persone.

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