22 ✘ 𝐋𝐎𝐍𝐄𝐋𝐘, 𝐒𝐓𝐔𝐏𝐈𝐃 & 𝐁𝐑𝐎𝐊𝐄𝐍

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「 𝐋𝐮𝐤𝐞 」

«Quindi cosa siamo, noi due?»
La domanda di Ashley mi colpisce dritto in pieno volto. Mi tiro a sedere sul materasso, osservando distrattamente la parete della sua stanza, spoglia e triste e sola che si staglia davanti a noi. Mi volto verso di lei. «Qualunque cosa tu voglia che siamo.»
Si mette a sedere al mio fianco, ad abbracciarsi le gambe e poi a coprirle fino alle caviglie con la stoffa della maglietta. I capelli biondi tenuti fermi da due matite che mi ricordano i pennelli che Maya incastrava nei suoi, di capelli, e che stava sempre a sistemare perché c'è un motivo se nessuno li ha mai usati come fermagli. Ashley mi osserva con i suoi occhi nocciola, con le sopracciglia aggrottate e le labbra strette strette a sembrare un'unica linea senza alcuno spessore. Poi schiocca la lingua sul palato. «Penso che puoi diventare il mio ragazzo. Non ho mai avuto un ragazzo.»
Stende le gambe e muove le dita dei piedi, a disagio. Finisco per poggiare la testa sulle sue cosce e tirare un sorriso. «Mai avuto un ragazzo?» arrotolo una sua ciocca di capelli attorno all'indice. Lei guarda il soffitto. «Sì, be', ho frequentato molti ragazzi, ma... dicevano di amarmi solo quando mi infilavano la mano nelle mutande, quindi... sì. Saresti il mio primo vero ragazzo. Vuoi essere il mio primo vero ragazzo, Lukey?»

«Pure tu saresti la mia prima vera ragazza.» Non posso smettere di pensare a Maya. È come un tic nervoso, un disturbo, un'ossessione; se ne sta sempre lì in attesa di spuntare fuori, e ogni momento di pace non è altro che un tempo di attesa nel quale si prepara ad attaccare di nuovo. Ashley sorride, torna ad abbassare lo sguardo su di me. «Quindi siamo d'accordo? Tu sei il mio primo vero ragazzo e io la tua prima vera ragazza?»
Annuisco. «Siamo d'accordo.» Ci conosciamo da poco più di quattro giorni. Non so quale sia il suo colore preferito, ne' cosa le piacerebbe fare da grande, o qual è il suo secondo nome. Ma va bene lo stesso. Mi convinco che possa andare bene lo stesso.

Alla fine non sappiamo più che dire e finiamo per fare sesso di nuovo. E di nuovo e di nuovo e vorrei davvero parlare di qualcosa con lei, di qualsiasi cosa mi venga in mente, chiederle quale sia il suo colore preferito e come si vede fra dieci anni o parlare di libri e farli diventare i nostri libri, ma non ci riesco. Me ne sto lì a pensare agli errori di una vita mentre lei mi graffia la schiena con le sue unghie smaltate di nero, e mi dice di continuare e andare più forte e io vorrei davvero dirle che se andassi ancora più forte finirei per esplodere e vorrei dirle pure che la mia mente è un groviglio indistricabile al momento e fatico persino a respirare e sono talmente disperato da finire a fare sesso per ammazzare il tempo o finirei per ammazzare me stesso in molteplici modi senza che nessuno di questi lo faccia sul serio. E quando finalmente veniamo entrambi lei si mette a piangere e dice che per la prima volta ha capito cosa si prova a fare l'amore con qualcuno, mentre io mi metto a piangere perché non ho ancora idea di cosa significhi. E il pensiero di poter morire senza poterlo sapere mai mi rattrista talmente tanto da farmi continuare a frignare pure quando lei si è addormentata, la camera è sprofondata in un silenzio assordante e a me tornano in mente tutti gli avvenimenti tristi della mia patetica esistenza, come se il mio cervello ci si impegnasse davvero a farmi del male, a trovare sempre una nuova e creditiera ragione, come ardesse dal desiderio di farmi piangere.

Quando riapro gli occhi fuori è completamente buio e io non ricordo dove sono, con chi e perché. Devo essermi addormentato. Succede ogni volta: mi risveglio dopo un sonnellino e non ricordo più neanche il mio nome.
«Luke!»
Faccio un balzo quando ritrovo la faccia di Michael a un palmo di mano dalla mia. Lui si mette a ridere. «Vestiti», mi lancia i vestiti pescandoli da terra, io li afferro per un pelo. Ashley dorme ancora.
«Perché?»
«Andiamo in un posto. Ci divertiamo.» I suoi occhi brillano di quella scintilla alla Michael, così la chiamo io. È simile a quella di Carter, terribilmente simile.
Subito smetto di stropicciarmi gli occhi quando sento le sue parole. Ci divertiamo. «L'ultima volta che lo hai detto tuo padre stava per distruggerti la patente e mia madre ha attaccato con una filippica interminabile. I nostri standard di divertimento sono diversi.»

BOREDWhere stories live. Discover now