24 ✘ 𝐑𝐄𝐒𝐂𝐔𝐄 𝐌𝐄

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Would you rescue me?
Would you get my back?
Would you take my call when I start to crack?
Would you rescue me?



「 𝐋𝐮𝐤𝐞 」

Da quando Carter se n'è andato le giornate mi si trascinano dietro come una palla al piede di un carcerato. Da quattro giorni a questa parte è un ciclo continuo di scuola, ignorare Maya nei corridoi, sesso con Ashley, lavoro, film stupidi che Tyler guarda durante il suo turno, mamma che mi chiama per chiedere se va tutto bene e se Carter si è fatto sentire (quando ha scoperto che se n'è andato si è addirittura premurata di portarsi dietro il telefono, tante le volte quello sbandato di suo figlio la chiami per la prima volta in quasi diciotto anni). Poi me ne torno a casa, ascolto le lamentele di Dave che ha dovuto prendersi cura di sua figlia Lily da quando quell' irresponsabile di tuo fratello è scomparso, preparo la cena e mi chiudo in camera sperando di poter stabilire una qualche connessione mentale inconscia con mio fratello per persuaderlo a tornare.
Eppure sembra non averne intenzione, quindi sicuramente la telepatia non fa per me, e mi tocca stare a fissare il soffitto fino al mattino dopo sperando che d'un tratto possa vedere Carter alzarsi dal letto e chiudersi in bagno come tutte le altre mattine. Lui di sicuro non sa teletrasportarsi, ma ci penso lo stesso.

Oggi è il quinto giorno che manca da casa. Non una risposta alle chiamate mie e degli altri ragazzi, non un'occhiata ai messaggi. La casa è sempre troppo silenziosa, di quei silenzi che sembrano urlare qualcosa che uno non riesce mai a capire se si tratta di una lenta decomposizione celebrale causata dall'imminente pazzia, oppure dalla consapevolezza di aver potuto evitare qualche cosa per non trovarsi a dubitare della propria sanità mentale in quell'esatto momento di sconforto.
In ogni caso c'è silenzio nella nostra stanza e, sebbene io mi sia sempre sentito a mio agio nella tranquillità di una casa vuota e silenziosa, ora mi ritrovo a concordare con Carter quando diceva che il silenzio è una gran fregatura e riesce a spaventare più di un sacco di rumori improvvisi scoppiati all'unisono. È come se ci fossi solo io in questa casa, in questo quartiere, in tutta Warren persino. Eppure mio fratello è qui da qualche parte, lo so per certo, chiuso in qualche pub a bere birra e cercare nuovi modi di fare soldi. Però c'è sempre e ancora silenzio, pure quando mi convinco di nuovo che lui sta bene e che tornerà presto, allora la mia mente comincia a viaggiare come una scheggia lungo scenari apocalittici in cui mio fratello è stato ucciso o ha ingoiato troppi barbiturici, o è stato investito o è finito in coma etilico o ha avuto un incidente o non tornerà mai più. Per tutta la mattina cerco di scacciare questi pensieri; Calum, Audrey, Ashton e Michael durante l'intervallo se ne stanno in silenzio, a guardarmi di sottecchi come fossi un povero cane bastonato che non possono aiutare, qualcuno di spacciato e fottuto, e nel frattempo pensano a qualcosa da dire che non rischi di fare danni alla mia psiche più di quanto ci stia già pensando io. Alla fine tocca a me parlare per primo, per far capire loro che non sono così messo male e che sono sicuro mio fratello tornerà a casa prima o poi. Lui non è tipo da abbandonare tutto così. Lui urla, distrugge ogni cosa attorno alla sua persona, si imprime a mente tutto e poi abbandona. L' ultima volta era talmente tanto ubriaco che di imprimere a mente non se ne parlava proprio. E, in ogni caso, non è così Andrew da lasciare tutto ciò che ha per vagabondare nel Michigan. Lui ce lo ha ancora, un po' di cervello, e io ho detto che somiglia a nostro padre solo per schiarirgli le idee, ma lui non lo ha afferrato. Lui, le cose, le afferra dopo un po'.
Dunque quando torno a casa con il pullman delle 8:26 (come se non bastasse Carter s'è portato via la moto di Calum e la nostra ha ancora le ruote a terra) mi tocca entrare in casa e sorbirmi la solita solfa.

«Grazie al Cielo» Dave mi lascia Lily tra le braccia. «Ha pianto. Pianto tutto il giorno. Sempre. Di' a tua madre di portarla da un dottore».
«Perché non ce la porti tu, domani, invece di stare a lamentarti troppo? E magari se ti trovassi un lavoro potresti anche pagarle la visita.» Questo è ciò che gli avrebbe detto Carter. Ora che non c'è mi tocca recitare pure la sua parte.
Dave mi scocca un'occhiataccia, mi chiede con chi credo di star parlando e io lo ignoro mentre lascio Lily sul seggiolone e comincio a preparare la cena. Quando mamma torna e la pasta si è cotta me ne vado in camera, nascondendo due birre nella felpa per portarle via senza che venga intralciato da troppe domande. Le finisco entrambe nel giro di un'ora e mezza, l'orologio segna le undici quando esco fuori di casa facendo più piano possibile per non svegliare tutti. Ma i miei tentativi risultano vani, perché una volante della polizia irrompe nel quartiere con le sirene sparate a mille. Si ferma davanti ad una delle prime case, quella dei Ramos. Una parte dell'abitazione sembra esplosa. La polizia irrompe con le mascherine, e li guardo arrestare i fratelli Ramos nascosto dietro alla macchina dei Cruz.
Decido di andare sulla strada opposta, cammino cercando di mettere un piede davanti l'altro mentre mi stringo nella felpa quando una folata di vento fa spostare le foglie, e le lattine vuote finiscono in mezzo alla strada.
Incontro Elizabeth Green lungo il marciapiede. È uscita di casa per vedere che sta succedendo. Mi saluta con una mano e io ricambio con un sorriso tirato.
«I fratelli Ramos, eh? Tutti sapevano che la loro fabbrica di metanfetamina fatta in casa non sarebbe durata niente prima di saltare in aria», mi fa, forse per cercare di intrattenere una conversazione. Alle elementari ci siamo parlati una volta, quando le ho chiesto di raccogliermi la penna caduta a terra. Lei mi ha ignorato solo perché ero più piccolo di un paio d'anni. Però mi sta simpatica, davvero, nessun rancore.

BOREDWhere stories live. Discover now