1. In attesa di uno scoppio

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🔥 Oh, I know
I'd go insane
I wouldn't last
one night alone baby
I couldn't stand the pain
I'm addicted to you🔥

Era una giornata di primavera quando mia madre è entrata in camera, come ogni mattina, per incitarmi ad andare a scuola.
Il fastidioso suono delle persiane avvolgibili, cigolanti, mi obbligò a mettere la testa sotto il cuscino e tenere gli occhi chiusi, strizzati, per evitare di accecarmi con la luce che stava invadendo la stanza mentre la mamma le stava alzando.
"Sono sveglia", farfugliai.

Dopo essermi alzata e aver finito la mia tipica routine mattutina composta da doccia, caffè, breve litigata con mia sorella minore e corsa verso l'autobus, arrivai finalmente davanti scuola.

Ricordo il vento piacevole, quello così delicato che non riesce a scompigliarti i capelli, e il sole abbagliante che mi impediva di guardare dritta in faccia Aurora, la mia compagna di classe, nonché compagna di vita.

Io e lei ci conosciamo dalla nascita, nel vero senso della parola.
Mia madre e la sua erano migliori amiche al liceo, ma dopo il diploma persero i contatti e si rincontrarono in ospedale, quando mia madre era incinta di me all'ottavo mese, e la sua era appena uscita dalla sala parto.
Io nacqui un mese dopo e negli anni, mentre le nostre mamme si ritrovavano sempre di più, io e Aurora crescevamo insieme.

Questo è uno dei tanti motivi che possono giustificare la mia fissazione con il destino.
Sono sicura che ci sia qualcuno che scriva la nostra storia prima ancora che noi potessimo nascere.
Con questo non voglio riferirmi a nessuna religione in particolare, ma a un qualcuno o qualcosa di onnisciente, sovrannaturale: l'ho sempre immaginato così.
Era scritto da qualche parte che io avessi dovuto avere una presenza costante nella mia vita, mia coetanea, che mi completasse come nessuno potrà mai fare.
Abbiamo frequentato tutto assieme, e lo facciamo tutt'ora: siamo inseparabili.
L'unica certezza che ho, infatti, è che lo rimarremo ancora, e ancora.

Mentre stavo accendendo la prima sigaretta della giornata, lei era lì di fronte a me a blaterare sui soliti pettegolezzi, che in realtà, quel giorno, mi interessavano ben poco.
"Ma mi stai ascoltando?!"
"Si, continua."
"Invece no! Vabbè, lascia stare, lo so che sei ancora in fase di risveglio. Prendiamoci un caffè prima che suoni la campanella, dai."
"Già preso, magari più tardi"
"Ma che hai stamattina? Prendi sempre due caffè dopo esserti svegliata"
"Lo so ma oggi non mi va", le risposi secca dopo aver buttato la sigaretta a metà.

Lo ammetto, amo la mia vita, le mie passioni, le persone che mi circondano. Non sono mai stata una ragazza problematica: buoni voti a scuola, ottimi risultati sportivi, una comitiva colma di amici, sono sempre stata circondata da persone per bene.
Negli ultimi tempi, però, vedevo i miei giorni tutti uno uguale all'altro.
Sveglia.
Scuola.
Pranzo.
Allenamenti.
Studio.
Un giro in centro con gli amici.
Cena.
Letto.
E ricomincia la routine.

Mi sentivo in attesa di uno scoppio.
Tutte le mattine mi svegliavo con la speranza che arrivasse, con la speranza di provare nuove esperienze, intraprendere nuove sfide.
Poi però mi tranquillizzavo, pensando ad un futuro prossimo.
Infondo, ho solo 19 anni.

"Entriamo, dai", continuai.
"Sai che oggi il prof di letteratura interroga?"
"Cazzo! Me ne ero completamente dimenticata!"
"Sarah, ma dove hai la testa negli ultimi tempi? Lo dico per te - e anche un po' per me - non possiamo permetterci nessuna lacuna quest'anno. Abbiamo la maturità, subito dopo ci saranno le gare nazionali e poi, chissà, ci aspetta New York! Ma senza buoni risultati a scuola, non possiamo fare niente di tutto ciò."

Io e lei oltre alle altre mille passioni in comune che avevamo, la prima fu, ed è ancora, la danza.
All'età di cinque anni gareggiammo per la prima volta e da lì in poi non abbiamo mai lasciato quel mondo stupendo fatto di allenamenti, ansie, vestiti da ballo che illuminano il palazzetto e scarpe sempre troppo dolorose.
I campionati nazionali sarebbero stati la nostra ultima tappa in Italia, per poi trasferirci il più lontano possibile da questo paese.

"Già, hai ragione", borbottai.
Mi prese il braccio, trascinandomi verso il cancello rosso della scuola.

La giornata proseguì senza intoppi, e dopo la scuola io e la mia amica decidemmo di andare a mangiare insieme in un ristorantino giapponese lì vicino

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La giornata proseguì senza intoppi, e dopo la scuola io e la mia amica decidemmo di andare a mangiare insieme in un ristorantino giapponese lì vicino.
Tra chiacchiere e sushi però, ci interruppe una telefonata.

"Dimmi mamma", disse Aurora alzando gli occhi al cielo.
"Si, sono con Sarah, perché?", continuò con un espressione dubbiosa.

"Aury, vado in bagno nel frattempo" le sussurrai.
Mi fece cenno di sì e mi allontanai verso la porta della toilette.

Dopo essermi rinfrescata le mani con quell'acqua gelida, uscii dalla porta tornando al nostro tavolo e trovai la mia amica sbiancata, totalmente, con un mezzo sorriso e gli occhi lucidi.

"Ehi, che è successo?"
"Sono scioccata, apri la tua e-mail." rispose, senza nemmeno riuscire a guardarmi negli occhi.
Sbloccai il mio iPhone e scorrendo tra le e-mail da leggere il mio cuore stava iniziando a impazzire, finchè non mi soffermai su una in particolare.

Latin Dance Academy, NY

"Non ci credo, è un sogno, mi hanno risposto!", esclamai.
Iniziammo a ridere e abbracciarci prima ancora di sapere l'esito, ma per noi già il fatto di essere state considerate da un'accademia così prestigiosa di danze latino americane, per lo più situata a New York, era un successo.

"Apri, corri, che aspetti!" mi incoraggiò lei.
La lettera non era molto lunga, mi fermai su due frasi fondamentali, facili da tradurre.
Così, con le mani tremolanti e la voce ancor peggio, le recitai ad alta voce, per rendere partecipe anche Aurora alla mia forte emozione.

"Congratulazioni!
Abbiamo accettato la sua richiesta dopo aver trovato interessante il suo curriculum sportivo.
Il suo primo colloquio avverrà il 28 Agosto alle ore 10:30 a.m. presso la sede 'Latin Dance Academy, NY' di New York."

Scoppiai in lacrime e con me anche lei.
A quel punto, però, mi sorse un dubbio.

Anche lei era stata presa?

"Aspetta, ma... è arrivata anche a te, vero?" le chiesi staccandomi dal suo abbraccio.
"Ehm...no", disse chinando la testa, di nuovo.

Oh, no.
No, no, no, no, no.

La mia gioia scomparse in un secondo.

"Sicura? Controlla meglio."
"Ho già visto, Sarah. Oggi è l'ultimo giorno di accettazione. Non mi hanno presa."

Non poteva essere vero. Non ce l'avrei mai fatta senza di lei. Eravamo sempre state una coppia fissa, l'idea di dover condividere la mia passione, il mio sogno più grande, con un'altra persona o addirittura di dover affrontare tante emozioni e sacrifici da sola, mi avevano in un attimo tolto l'euforia.

Dopo pochi secondi di silenzio, alzò la testa e mi guardò con gli occhi ancora offuscati dalle lacrime.

Le presi la mano e affermai, più sicura che mai, "Beh, se non ti hanno presa vuol dire che sono una massa di imbecilli e non si meritano il nostro talento. Sai che ti dico? Rifiuterò."

"Non rifiuterai. Non per me.", rispose lei.
"E invece si!", ribattei.
"Non rifiuterai perché ti sto prendendo in giro, hanno preso anche me!" disse poco prima di scoppiare in una grossa risata.

"Me l'ha detto mia madre, perciò sono rimasta impietrita al telefono. Da oggi allenamento H24! Dobbiamo prepararci alla nostra nuova vita Made in USA!"

E fu così che, adesso, dopo aver finito le gare nazionali a Rimini da pochi giorni, e dopo aver salutato la famiglia e tutti i nostri amici, con un magone allo stomaco ci troviamo io e lei su un aereo diretto a New York, pronte ad entrare nell'accademia dei nostri sogni, pronte all'ennesima avventura insieme, pronte a cominciare la nostra vita da zero.

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