18. Sono davvero sopravvissuta?

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Il volto di Dylan sembra preoccupato più che mai.
Mi prende in braccio e mi porta fuori.
"Resisti, ti porto a casa"
"Fammi scendere! Dylan fammi scendere subito! Sto bene!", sto andando in panico ma allo stesso tempo rido in modo davvero rumoroso.
Scalpito con le gambe senza paura di fargli male.
Alcool e batticuore non vanno d'accordo.
Mi poggia a terra con molta calma e prendo aria, finalmente.

Due respiri,
lo guardo,
guardo la sua auto non molto lontana,
guardo di nuovo lui.
È maledettamente perfetto.

Mi appoggio al suo braccio e continuiamo a camminare verso l'auto.
"Come ti senti?", mi fa sedere tranquilla.
"Sto bene, grazie"
"Mi hai fatto preoccupare!"
"Di che? Ho solo bevuto un po'..."
"L'hai già detto! E visto come sei ridotta, non credo fosse poco. Chi ti ha dato da bere?"
Si sta innervosendo.

Ma che vuoi?! Sono libera di fare ciò che voglio della mia vita.

"Nessuno, ho preso io da bere. E ti ripeto anche che sto bene, lasciami andare!"
"Non esiste. Non ti muovi dalla mia macchina fino a che non ti avrò portata al sicuro", mi punta il dito mentre lo dice.
Serro lo sguardo e lo minaccio con gli occhi.
Mi sorride e chiude la portiera.

Chi ti credi di essere, brutto strafottente!

Entra in macchina, si mette la cintura e ci avviamo.
"Stasera hai dimenticato di essere una ballerina, per caso?"
Lo guardo, senza dargli la soddisfazione di una qualsiasi risposta.
"Non dovresti bere così tanto, piccola"

Ma come fa a passare da incazzato a dolce in pochi secondi?!

Intanto continuo a guardare la strada, immobile, facendo finta di non ascoltarlo.
"Non farlo più, ok?", mi mette una mano sulla gamba.
"Dylan, non sono stupida. So perché sono qui, non ho bisogno di nessuno che me lo ricordi. Non sarà qualche cocktail ad ostacolare i miei obiettivi", rispondo fredda.
"Certamente, non sarà quello. Ma non fa bene ad uno sportivo assumere alcool. Sarà vero che Travor ha organizzato già due feste, a distanza di una settimana, ma lo ha fatto solo perché non ancora iniziavano gli allenamenti duri e seri che si fanno di solito all'LDA. Fa bene uscire ogni tanto, divertirsi e bere qualcosa con gli amici, ma... non esagerare, ti prego.
Non voglio rimproverarti, voglio solo darti un consiglio."
Mi giro di nuovo verso di lui, che fa rimbalzare i suoi occhi dalla strada a me, in attesa di una risposta.
"Non sono stupida, Dylan, te lo ripeto", mentre gli tolgo la mano che aveva ancora sulla mia gamba.

Ma per chi mi prende?
So meglio di lui cosa significa il mondo dello sport, della danza soprattutto.
Non oserei mai sapendo di affrontare uno stress fisico elevato.

Quando ero in Italia, avevo l'abitudine di mangiare sempre in modo molto sano, di diminuire le sigarette nei periodi più impegnativi, ad esempio prima di una gara, e ovviamente evitare tutto ciò che contiene alcool.

Per me non è mai stato un sacrificio rinunciare ad una serata in discoteca per riposarmi e prendermi cura del mio corpo.
Stasera volevo solo staccare la spina, per un attimo, da tutti i pensieri che avevano proprio lui come protagonista.

"Devo fare benzina, puoi aspettare?", mi guarda con quell'aria da prepotente ma allo stesso tempo premurosa.
"Non mi muovo, il mio capo si arrabbierebbe", cerco di ironizzare. Non voglio litigare con lui.
Non ora che siamo soli e... così vicini.
"Non provocarmi, Sarah. Non ti conviene", apre la portiera e io lo ignoro.
O meglio, cerco di ignorarlo. Non ci riesco, più di tanto.

Lo seguo con gli occhi, appoggiata al finestrino e lo ammiro in tutto il suo essere.
Prende la pompa, la collega all'auto e aspetta, quasi impaziente, che si riempia il serbatoio.
Vorrei scendere e saltargli addosso ma non sono così disperata, e alla mia negazione interiore capisco che non sono nemmeno tanto ubriaca. Riesco ancora a mantenermi sulle mie, più o meno.

È rientrato in macchina ma non ha ancora deciso di mettere in moto.
"Non parti?", chiedo confusa.
"Sarah, tu...", si sofferma e poi si frena, scuotendo la testa, serra le mascelle e cerca di accendere la macchina, ma gli fermo il braccio.
"Io?", lo guardo dritto negli occhi questa volta.
"Lascia stare, non è il momento adatto. Ti porto a casa.", questa volta riesce ad afferrare la chiave e mette in moto.

Non ci siamo scambiati nemmeno una parola per tutto il tragitto.
Non saprei cosa dirgli, sono fuori di me.
Mezz'ora fa ero riluttante al solo pensiero di far nascere qualcosa tra noi, e adesso mi sto accorgendo che - forse - la questione è già in travaglio.
Vorrei solo che... andasse tutto bene.

"Non ho lezioni domani, tu?", siamo di fronte ai dormitori.
"Mattinata libera anche per me", affermo, continuando a guardarmi le gambe un po' infreddolite, passandoci i palmi delle mani in modo da strofinarle.
"Ti va di... allenarci insieme?"

Una vocina nella mia testa esulta e l'altra mi dice "Cassie dove l'ha lasciata?"
Non ascolto nessuna delle due e rispondo a modo mio.

"Va bene, ci vediamo in Accademia alle 8:30", apro lo sportello per uscire.
"Vengo a prenderti alle 8:00, risparmia la fatica. Ti voglio carica"

È una battuta?

Gli sorrido e gli volto le spalle per andare da Aurora, che sarà sicuramente in pensiero. In più, non vedo l'ora di sapere come è andato il suo appuntamento.

Salgo le scale con molta calma ripensando a tutta la serata: il locale, le ragazze, Mike, Cassie, tutto quell'alcol e poi Dylan.
Wow, sono davvero sopravvissuta?

Apro la porta e Aurora è sul suo letto seduta con il cellulare tra le mani.
"Sei tornata! Dov'eri?", ho attirato la sua attenzione chiudendo la porta.
"Sono stata in un locale, te l'ho detto..." lancio le scarpe e mi butto a tuffo sul letto, rimanendo a pancia in giù.
"Quanto hai bevuto?", sorride Aurora.
"Abbastanza da essere confusa più di quanto già non lo fossi"
Aurora mi guarda con un punto interrogativo stampato in faccia e inizio a raccontarle tutto, anche se in modo breve.
"Sarah, forse dovresti... ecco, lasciarti andare. Male che vada non ci avrai perso niente, fidati del tuo istinto"

I consigli di Aurora mi hanno sempre aiutata a uscire fuori dalle mie mille paranoie, ma ora sembra che non bastino nemmeno quelli.

Durante la mia vecchia vita ho avuto varie relazioni, ma mai niente di serio, tranne che con Luca.
E alla fine, dopo mesi di lascia e prendi, quando ci siamo definitivamente lasciati, ho capito che forse nemmeno con lui c'è stato qualcosa di serio.
Non è il tempo che determina l'importanza di una relazione.
Siamo stati assieme un anno e qualche mese - un record sia per me che per lui - ma se ripenso a noi, solo i primi mesi sono stati esaltanti.
Per il resto, era diventata una sorta di abitudine, la nostra relazione.

Eravamo insieme sull'autobus al mattino, a volte trovavamo anche il tempo di fare colazione, poi dopo le lezioni tornavamo a casa insieme.
Veniva a prendermi ai miei allenamenti pomeridiani e passavamo ore insieme, o con gli amici, finché la mia stanchezza diventava troppo evidente e mi riaccompagnava a casa.

A volte si fermava per cena, mia madre ormai si era talmente affezionata a lui che quando la nostra storia finì ci soffrì più di me.
Mio padre, rimase quasi indifferente, come al solito.

Io invece, mi sentivo libera, anche se con un pugnale conficcato nel petto.
E ora, in realtà, non so se quel pugnale sono riuscita a rimuoverlo del tutto.
Non perché io ci pensi ancora, assolutamente, ma perché credo che sia stata una ferita così grande da farmi aprire gli occhi e chiudere il cuore.
Posso definirlo il mio "primo amore", la mia prima volta.
Che io lo voglia o no rimarrà sempre dentro di me, come un marchio.

E adesso, Aurora, di che istinto mi parli?
Quello razionale, forse sbagliato, che parte dal mio cervello, mi dice di stare alla larga dagli affetti, che poi alla fine faranno sicuramente male. Non c'è differenza, sarà sempre così.
Il mio cuore però, ha voglia di aprirsi di nuovo, e lo sto forzando a rimanere chiuso, pur non sapendo per quanto altro tempo ci riuscirò.

My FireWhere stories live. Discover now