Capitolo Otto

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CAPITOLO OTTO

Mario



12 gennaio

"Mario, hey", mi sento scuotere delicatamente, "ti sei addormentato nel divano e ti avrei lasciato dormire tranquillamente qui, ma il tuo telefono continua a suonare", sussurra Giovanni mentre sbadigliando cerco di mettermi a sedere.

Gli rivolgo un sorriso tirato prima di passarmi una mano sugli occhi. "Scusa se ti ha svegliato. Ho dimenticato di spegnerlo".

"Non fa niente", mi sorride di rimando, accarezzandomi una spalla, "però è l'una di notte, Mario. Di giorno tieni spesso il telefono spento e quando lo accendi sento le decine di notifiche che ti arrivano. Adesso ti cercano addirittura a quest'ora. E sei andato via da casa tua, rifugiandoti qui. Non ti sei ricacciato in qualche guaio, vero?", mi chiede preoccupato, senza lasciare il mio sguardo nemmeno per un istante.

Sospiro gettando la testa all'indietro sul divano. "No Giovanni, no", lo tranquillizzo girando il viso nella sua direzione. Il suo volto stanco, segnato da qualche ruga, e gli occhi che mi scrutano attentamente, mi ricordano le giornate passate assieme al negozio, mentre mi aggiravo tra gli scaffali e lui dalla sua postazione alla cassa mi teneva sotto controllo, assicurandosi che stessi bene.
"Non mi sono messo in nessun casino, giuro", alzo le mani in segno di resa.

"È che... sei piombato qui senza preavviso, dopo mesi che non ci vedevamo. Non ti ho chiesto niente perché sei arrivato stravolto, lo sai. E ti ho lasciato i tuoi spazi e i tuoi tempi. Però adesso sono passati quattro giorni, Mario. Perché ti stai nascondendo? Da chi stai scappando?", mi domanda stringendomi forte la mano appoggiata sulla gamba.

"Non mi sto nascondendo...", sussurro guardando le nostre mani intrecciate, mentre i ricordi dell'ultima volta in cui la sua mano si è poggiata sulla mia mi tornano vividi nella mente. In quel momento, proprio come ora, cercava di capirmi, di aiutarmi, di salvarmi. Quel giorno l'ho odiato, gli ho sputato addosso cattiverie, parole che non pensavo veramente. Mi sono sentito nudo, umiliato, sporco, solo. Più degli altri giorni. E ho fatto ricadere la colpa su di lui, che invece era stato l'unico a capirmi, a vedermi, a trattarmi quasi come un figlio. Ed è questo il motivo per cui sono venuto qui.
Giovanni è l'ultimo ricordo prima della comunità, l'ultimo viso familiare che ho visto, l'ultima - e l'unica - voce che mi ha rassicurato, e la sua vicinanza è stata l'unico modo per mettere me stesso al sicuro, dopo aver lasciato l'appartamento di Claudio.
"Sono qui perché avevo bisogno di te", ammetto. "Mi dispiace se sono arrivato senza chiederti niente, senza assicurarmi che a te andasse bene".

"Mario, tu sei sempre stato molto più di un semplice dipendente per me, lo sai. Ti ho visto diventare un uomo tra quelle corsie e quegli scatoloni, ti voglio bene come se fossi mio figlio, sarai sempre il benvenuto a casa mia", mi rassicura con gli occhi lucidi. "Mi sembra così strano sentirti dire di avere bisogno di me, non è da te...".

Scrollo le spalle cercando di mascherare il mio stato d'animo, leggermente scosso da tutte le emozioni contrastanti provate in questi giorni. "Sei stato tu il primo a farmi capire che avere bisogno e chiedere aiuto non sono cose da cui tenersi alla larga", gli ricordo rivolgendogli un piccolo sorriso che lui prontamente ricambia.

"Perché hai bisogno di me? Come posso aiutarti?", riesce a chiedermi alla fine, un po' titubante.

"Non devi fare niente, Giovanni. Davvero. Avevo solo bisogno di vederti. Ho solo bisogno di averti attorno, ancora per qualche giorno, per non fare qualche cazzata che non voglio assolutamente fare. Non voglio più ricaderci, Giovanni. Mai più. L'altro giorno, prima di arrivare da te, lo stavo per fare", sussurro coprendomi il viso con entrambe le mani.
"Io non la voglio più quella merda, non sono più quel Mario", mi lascio scappare qualche lacrime che velocemente scaccio via. "Eppure frammenti del passato continuano a ripresentarsi nella mia vita, e l'altro giorno mi sono sentito così solo e incompreso che ho creduto che fosse più facile tornare il Mario di qualche mese fa...".
Finalmente, dopo quattro giorni chiuso tra le mura di questa casa ad odiare Claudio, a piangermi addosso, a farmi schifo per essere arrivato addirittura a comprarla, riesco a parlargliene.

Giovanni mi attira a sé stringendomi forte in un abbraccio, lasciandomi delle carezze lievi sulla testa e sulla schiena.
"Ti sei fermato, Mario. È questo quello che conta. Sei stato bravo ed estremamente forte. Sono fiero di te e puoi venire qui anche tutti i giorni se vuoi", mi dice lasciandomi poi andare. Gli sorrido grato prima di sbuffare al suono del cellulare nell'altra stanza.

"È solo Claudio che mi cerca, tranquillo...", gli dico senza pensarci e chiudendo gli occhi, quando lo vedo aggrottare la fronte e le sopracciglia.

Lo sento soppesare bene le parole, sospirare e borbottare tra sé e sé, prima di sentirlo parlare: "E questo Claudio... è un tuo amico? Perché mi sembra di capire che ti cerca con una certa insistenza".

"Non mi va di parlarne...", cerco di chiudere il discorso. Ma lui continua: "però adesso è notte, Mario. Sei sicuro che non sia urgente?".


*


Afferro il telefono e la prima cosa che noto sono tre chiamate perse da parte di Claudio. Alzo gli occhi al cielo mordendomi il labbro: scontato.

So di aver esagerato con lui, di non essermi controllato, di averlo ferito con le parole. E mi sono pentito di questo, certo.
Ma mi manca così tanto che l'unica cosa che mi sono imposto di fare in questi giorni, per non pensarci, è stata odiarlo e basta, per non sentire il vuoto nel petto causato dalla sua assenza.
Quello che mi ha fatto è... orribile. E da lui non me l'aspettavo. E continuo ad essere arrabbiato, deluso e amareggiato perché io mi fidavo. Ma sono ancora più arrabbiato, deluso e amareggiato da me stesso. È per questo che mi sono allontanato da tutto e tutti, ho bisogno di odiarmi, capirmi e perdonarmi da solo.

In aggiunta alle sue chiamate, comunque, ce ne sono quattro da parte di Paolo - o probabilmente sempre da parte di Claudio ma con il telefono dell'amico -, più recenti, accompagnate da un messaggio che arriva proprio in questo momento.

"Scusa per l'orario ma è abbastanza urgente. Si tratta di Claudio
e ho bisogno di te".

Niente di più, niente di meno.

Il cuore inizia a martellare forte nel petto mentre quel "si tratta di Claudio e ho bisogno di te" riecheggia nella mia mente.
Mi mordo il labbro non sapendo cosa fare e con le mani tremanti faccio partire una chiamata per assicurarmi che a scrivermi sia davvero Paolo e che ci sia davvero qualcosa di urgente.

Dopo solo uno squillo sento la sua voce leggermente affannata rispondermi e dirmi di andare a casa sua, se mi è possibile raggiungerla e se non sono in altre città d'Italia troppo lontane, prima di riattaccare. Fisso il telefono incredulo e smarrito, prima di infilarmi il giubbotto direttamente sopra la tuta ed uscire di casa dopo aver avvisato Giovanni di avere un'emergenza e di stare tranquillo.

Guido con il cuore in gola, premendo sull'acceleratore della mia smart più del dovuto, pensando a milioni di scenari possibili. Poi mi tranquillizzo, perché se devo andare a casa di Paolo vuol dire che, ad ogni caso, non è niente di davvero grave.

Lo avviso di essere arrivato così da aprirmi la porta e appena metto piene nel suo appartamento rimango pietrificato all'ingresso.

Claudio steso a terra, il viso stravolto, e Paolo sulle ginocchia accanto a lui mentre cerca di aiutarlo a mettersi seduto.

"Io lo amo", gli dice strascinando le parole e prendendogli il colletto della camicia, "perché non torna a casa nostra? Mi ha lasciato, vero? Non tornerà più?", continua, guardandolo con occhi grandi e lucidi.

"Sì che tornerà, Claudio. Te l'ho già detto quattrocento volte", sbuffa Paolo riuscendo finalmente a farlo sedere sul divano e sfilandogli subito dalla mano una bottiglia di birra che aveva appena acciuffato dal tavolino accanto. "Guarda come ti sei ridotto...", gli dice poi, prima di andare a buttarla via.

Ed è in questo momento, vedendolo letteralmente a pezzi e in uno stato solo semi cosciente, che capisco cosa sia realmente successo.

Claudio è completamente ubriaco.


"E va sempre così,
che aspetti il sole e cade pioggia."
(Salvami - Modà)

Sentimenti Tossici 2Where stories live. Discover now