Capitolo Undici

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CAPITOLO UNDICI

Mario



16 gennaio

Cammino nervosamente avanti e indietro di fronte al palazzo in cui abita Claudio, indeciso se suonare o meno. Ieri sarebbe dovuto passare a casa mia dopo il lavoro per parlare di tutto quello che ci sta succedendo negli ultimi tempi. La sfiga ha voluto, però, che un suo collega si sia sentito male, così mi ha chiamato per avvisarmi di dover coprire anche il turno notturno dovendo in questo modo rimandare la nostra "chiacchierata".

Il fatto è che non riesco più ad aspettare. Quello che ieri ho lasciato davanti alla comunità non era il mio Claudio. Sembrava, piuttosto, il suo fantasma.

Silenzioso, perso nei suoi pensieri, lo sguardo nel vuoto.

È da quel momento che mi sto logorando dentro. Ho bisogno di vederlo, di parlargli, di sapere che c'è ancora. Nonostante tutto quello che gli sto facendo. Nonostante tutto quello che sono. Non potrei mai sopportare di vederlo di nuovo così spento. Proprio lui che ha acceso me, che mi ha ridato la vita.

Mi passo una mano tra i capelli, agitato, e decido di agire d'istinto. Suono.

1, 2, 3... Conto per smorzare la tensione. Arrivo a 13 infiniti secondi prima di sentire la voce assonnata di Claudio chiedere "chi è?".

"Sono io, Clà", dico con voce tremante.

Il portone si apre e velocemente salgo le scale con il cuore a mille. Quando raggiungo il pianerottolo del suo appartamento trovo la porta leggermente aperta e, con un grande respiro, entro chiudendomela alle spalle.

"Clà?", domando annunciano la mia presenza, guardandomi attorno.

"Sono qui", fa il suo ingresso in salotto strofinandosi gli occhi circondati da due profonde occhiaie. "Che ci fai qua?", mi domanda poi dirigendosi al bancone della cucina e iniziando a prepararsi un caffè.

"Io...", deglutisco rimanendo ancorato alla porta d'ingresso, incapace di muovermi, "ti prego...", riesco solo a sussurrare mentre lo guardo darmi le spalle.

"Sarei venuto io a casa tua più tardi", mi risponde semplicemente, senza un'apparente motivazione logica, "però sono contento mi abbia preceduto tu", mi fa sapere poi.

E da questa frase capisco quanto anche lui abbia bisogno di dimostrazioni da parte mia. Che quelle che gli ho dato all'interno della comunità poggiavano su fondamenta fragili, che uscito dalla comunità non gliene ho probabilmente più date. Capisco quante volte mi ha rincorso, ripreso, risollevato, tutte le volte in cui fisicamente o anche solo mentalmente mi sono allontanato da lui alla fine è sempre tornato a prendermi, mentre io, per lui, non ho mai fatto niente.

"Ti prego...", ripeto un'altra volta, incapace di dire altro. Le lacrime che minacciano di scendere dagli occhi e che ricaccio indietro prepotentemente.

Claudio afferra la tazzina con il caffè e lo butta giù tutto in un sorso. Poi, finalmente, si gira verso di me.

"Vieni qui", mi dice prendendo posto su una sedia e indicandone un'altra per me, "che c'è?".

"Perdonami", riesco a dire guardandolo negli occhi, senza muovere un solo passo.
"Per tutto, Clà. Io... mi dispiace. Non vorrei mai farti male però continuo a fartene e io non voglio che tu perda la tua vitalità per colpa mia e-".

"Mario, vieni qui", mi ripete interrompendomi. "Non ti mangio", accenna ad un sorriso tirato.

"Mi dispiace, Clà, mi devi credere. Ti prego. Non voglio più vederti triste e spento e deluso. E nemmeno perso. E, non lo so, vorrei dirti che cercherò di migliorarmi e diventare una persona migliore per te ma non posso promettertelo perché io sono fatto così, lo sai, sono rotto, tu sei riuscito ad incollare tanti pezzi ma alcuni rimarranno staccati per sempre e-".

Sentimenti Tossici 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora