Capitolo Quindici

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CAPITOLO QUINDICI

Mario



10 aprile

Che rumore fa la felicità?

Spesso mi sono trovato a chiedermelo, nel corso della mia vita. A chiedermelo, a sognarlo. Ad immaginare anche solo lontanamente il suono che si sente quando si è felici.

Eppure rimanevano sempre e solo pensieri, illusioni.

Mai qualcosa di concreto, di reale, di tangibile.

Così, ad un certo punto, ho smesso di chiedermelo. Intanto - mi dicevo - non potrò mai essere felice.

Per anni mi sono auto condannato al buio, alla disperazione, al tormento.
Mi sono convinto di meritarmi il male, che fossero giuste le cose che mi erano capitate fin da piccolo, che probabilmente quello era il mio destino e io dovevo semplicemente arrendermi ad esso.

Così l'ho fatto: mi sono arreso.
Mi sono lasciato trascinare dagli eventi così come mi capitavano, senza sforzarmi di capirli, di cambiarli, di predominarli.

Ero diventato una pedina nelle mani degli altri, del fato, di un quadro molto più grande di me.
Ero in balia del mondo, sballottato in lungo e in largo, alla deriva.

Ed ero sicuro di meritarmelo.

Così come ero sicuro di non essere degno di un po' di pace, di un po' di tranquillità, di un po' di protezione.

Non puoi essere felice, non puoi stare bene: non ne sei all'altezza, Mario! - spiegavo al me stesso di qualche anno fa - Non lo vedi che nessuno ti vuole? Non lo vedi che tutti ti gettano via? Non ti fai schifo da solo?

E quante volte ho pensato di voler morire!
Di non voler più sopravvivere a questa vita fatta di ingiustizie, incubi e dolore!
Quanta merda ho preso per non pensarci, per sentirmi invincibile, per stare bene qualche ora e riuscire a dormire senza svegliarmi nel cuore della notte solo e spaventato?

Mi stavo rovinando la vita per cercare di salvarmela.
Bel paradosso, no?

"Mario?", la voce assonnata di Claudio mi desta dai miei pensieri.

"Hey, che fai? Non dormi?", gli chiedo voltandomi verso di lui, steso tra le coperte del mio letto nero.

"Io sì, a differenza tua", mi fa notare, "mi sono solo reso conto del fatto che non fossi nel letto", sbadiglia, "che ci fai seduto lì davanti alla finestra? È notte Mario, vieni qui".

"Sì, adesso arrivo. Tu dormi intanto, Clà", gli sorrido nella penombra.

"Non hai sonno? Sono le", si volta per guardare l'ora, "le due e mezza. Tra qualche ora devi alzarti per andare a lavoro".

"Lo so, lo so. Ti prometto che tra dieci minuti vengo a dormire", lo rassicuro tornando a guardare di fronte a me, attraverso le piccole fessure lasciate aperte nella tapparella.

Piccoli spiragli di luce provenienti dalla luna e dai lampioni creano un leggero gioco di ombre, le stesse ombre che sento gravarmi addosso in questo momento, ripensando al mio passato.

Sentimenti Tossici 2Where stories live. Discover now