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Vi vedo molto molto disinteressati per la storia e ciò mi sta demotivando molto tanto che sono ad un punto morto: dopo questo capitolo non ho più scritto niente. Non so come continuare per non farla sembrare banale e non trovo un riscontro che mi dia motivazione di continuare. Scusatemi.
È davvero deprimete per me e vorrei solo portare a termine la storia, ma scrivere stronzate non mi va, voglio fare le cose per bene e non so quanto tempo mi impieghi. Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate.

Paulo's pov.

Controllai nuovamente l'orologio e sbuffai quando notai che erano trascorsi solo pochi minuti da quando l'avevo controllato l'ultima volta. Appena Antonella aveva varcato la soglia della porta di casa mia, il mio unico pensiero era quello di andare da Alessia, non aspettavo altro.
Ripresi la mia partita alla play station, cercando di ingannare le lancette, che però sembravano aver capito il mio gioco e non correvano come loro solito. Decido quindi di lasciar perdere la play e di stendermi, cercando di dormire, ma l'ansia mi divorava e decisi di sfruttare queste ore per allenarmi. Impostai la sveglia alle 7:30, così da avere il tempo di prepararmi e raggiungere Alessia prima che arrivasse al centro sportivo.
Mentre ero in macchina ragionai su cosa dirle, ma tutti i miei discorsi finivano per sfumare nell'ansia.
Bussai alla porta di Alessia sorridente, aspettando che mi aprisse. Dovevo assolutamente parlarle di Antonella e chiederle finalmente di uscire. Ad aprirmi però non è la faccia desiderata.

«Si?» domanda un ragazzo alto e dai capelli scuri, aprendo di poco la porta, giusto quel poco da farmi notare che era senza maglia. «Oddio, tu sei Dybala!»

«Si, certo. Dov'è Alessia?» domando cercando di sbirciare all'interno, immaginando già la peggior risposta.

«Alessia? Scusami non conosco nessuna ragazza.» ammette, aprendo del tutto la porta di casa, mostrandomi una casa completamente vuota. «Possiamo fare una foto?» domanda il ragazzo, che intanto aveva già preso il cellulare, e annuisco, cercando di collegare il cervello alle mie azioni.

«Sai dov'è andata la ragazza che viveva qui?» domando, mentre il suo cellulare scatta la foto.

«Non so nulla, noi stiamo solo ristrutturando.» ammette e lo saluto con un cenno del capo, tornando alla mia macchina. Appena mi siedo in auto prendo un respiro profondo e cerco il cellulare nella tasca per chiamare Alessia.

«Mi dispiace, ma il numero da lei selezionato è inesistente.» annunciava la voce metallica attraverso il cellulare. Lo lanciai con rabbia contro il sedile del passeggero e sbuffai.
Arrivato al centro sportivo mi guardai intorno, poi mi recai subito dal mister: se aveva lasciato il lavoro lui lo sapeva.

«Buongiorno Paulo, che ti porta qui?» domanda curioso mentre controlla dei documenti.

«Buongiorno Mister, sa per caso se Alessia ha lasciato il lavoro?» domando, sedendomi difronte a lui.

«Non saprei, a me non è giunta nessuna notizia.» commenta alzando di poco lo sguardo dai documenti, poi torna a fissarli. «Chiudi la porta quando esci.» commenta poi mentre mi alzo, e annuisco. Cammino per il centro guardandomi intorno, sperando di vederla camminare, ma nulla. Controllo anche il bar, che trovo vuoto. Continuo a girare per il centro, quasi non cercando più Alessia ma qualcosa da rompere, su cui sfogare la mia rabbia. Chissà se aveva salutato qualcuno, se lo aveva già premeditato oppure è semplicemente scappata via. Ricontrollo ancora la stanza dove era solita prepararsi e vedo un signore che sistema la fotocamera, probabilmente il tizio nuovo. Sbuffo, dovendo ormai accettare la realtà dei fatti e torno nella sala del bar, dove mi stendo sui divanetti. Spengo il cervello, chiudendo gli occhi ormai troppo stanchi, ma nessuno mi da pace, né fuori né dentro la mia testa, e subito arrivano i problemi.

«Che cazzo hai detto ad Alessia?» sento urlare in lontananza. Apro gli occhi e mi sistemo meglio sul divano. «Che cazzo le hai detto?» ripete, Miralem, avvicinandosi al divano su cui ero seduto.

«Nulla.» rispondo, guardando Miralem che allarga le braccia. «Perché?»

«Hai anche le palle di chiedermi perché?» domanda indicandosi intorno. «È tornata a Napoli, senza salutare nessuno. Sei tu la colpa di tutto, lo sai?» afferma, facendo marcia indietro verso la porta, così da lasciarmi di nuovo solo con i miei pensieri, che ormai affollavano la mente.
Era andata via.

Ammore scumbinato; Paulo DybalaWhere stories live. Discover now