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Lamenti, lamenti e ancora lamenti. Non c'era un'anima in pena che volesse riscattarsi, rinchiusa in quelle mura. Ognuno si era scritto il proprio destino. Il mondo, era sicuramente cambiato. E loro, con ogni probabilità, erano rimasti gli stessi. La vita aveva tolto loro tutto. 

Prima, qualsiasi cosa volessero, l'avevano ottenuta al prezzo del sangue. Sterminando anche chi non rientrava nei loro piani. Ognuno di loro aveva una storia da raccontare, una storia da urlare.

C'era chi aveva sperato di morire prima e chi si era accontentato da solo. La struttura che li ospitava, poteva vantare di possedere una direzione impeccabile: severa e inespugnabile. I primi a testare la loro furia, erano proprio gli indisciplinati. Oltre all'isolamento, potevano dire addio anche alla loro sanità mentale. A meno che non l'avessero smarrita molto prima. Questo dipendeva solo da alcuni casi particolari.

Ormai, qualsiasi cosa avessero detto o fatto in quel mondo, la giustizia era stata molto chiara al riguardo. Avrebbero trascorso il resto dei loro giorni lì, chiusi in quell'inferno senza nome. Per i piani alti ormai, loro non erano altro che carne da macello. Non contavano più nulla. Agli occhi della legge, loro non erano più uomini. Non potevano essere più definiti tali. Nel vero senso della parola.

Il programma era semplice: svegliarsi prima che il sole potesse farsi vivo all'orizzonte, nessun ritardo era ammesso. O avrebbero rischiato di svenire per la troppa fame. Se quelle mura custodivano i criminali più temibili della città, esisteva persino una cella speciale, progettata proprio per lui; il criminale più ambito di tutti, colui che non possedeva un nome. Colui che aveva seminato il panico prima ancora lo facesse V.

Nessuno conosceva la sua vera identità, perfino le autorità non ne sapevano di più. Era come se non fosse mai esistito, come un fantasma maledetto. Viveva per i soldi, e per i computer di ultima generazione. Si diceva che nessun hacker fosse mai riuscito ad arrivare al suo livello. E che qualsiasi esponente della mafia desiderasse i suoi servigi. Per il dark web, lui era una leggenda.

Costui, era conosciuto con l'appellativo di “Blackjack”.

Nessuno si era mai chiesto del perché avesse scelto proprio quell'appellativo.

Forse perché aveva sempre un'alternativa per qualsiasi cosa. Ma dopo la sua disfatta, le mosse a sua disposizione, erano terminate. Dapprima che lo arrestassero, lui era sempre stato un semplice fattorino di un qualche anonimo pub. Aveva sempre rivestito un ruolo che non potesse mai destare sospetti. Forse, quella notte, si era esposto troppo. O forse si era lasciato prendere dalla brama. L'avevano incastrato con prove inconfutabili, che nemmeno il miglior avvocato del mondo poteva rigettare.

Il viso del suo aguzzino era ancora nitido, impresso per bene nella sua memoria.

Le sbarre di metallo non potevano sopprimerlo, neanche volendo. Ricordava bene quelle parole, quelle parole che segnarono la sua condanna e l'inizio del suo calvario. La sua esperienza non gli aveva mai portato sfortuna, anzi. Era il migliore in circolazione, e il migliore che si potesse desiderare. "Pagherai per tutto il male che hai commesso." gli aveva detto, stringendo di più le manette ai suoi polsi, inchiodandolo alla macchina.

Però, un punto di vantaggio lo possedeva eccome, e cioè conoscere i punti deboli di chiunque volesse. La polizia aveva sempre creduto di aver trovato tutti i suoi strumenti, tutte le sue cavie.

Diversamente da quello che sembrava, avevano per le mani solo un quarto del suo operato. Blackjack non era stato così stupido. Aveva messo in preventivo quella possibilità, e aveva incaricato una fedele talpa. In modo tale da sapere sempre cosa succedesse all'esterno.

Conficcò le unghie contro i palmi, contando i minuti che lo dividevano dal suo scopo. Realizzò che non mancasse molto, ormai. Le sue richieste, non erano mai state prese sul serio, troppo impegnati a pensare al resto. Il giorno dopo il processo, non aveva nemmeno più visto il suo avvocato. Avrà speso sicuramente al meglio i suoi stupidi soldi, magari con qualche puttana dei bassi fondi, mentre il proprio cliente veniva costretto a firmare la sua prossima condizione di vita. Non ci fu nessun patteggiamento, nessun testimone che potesse aiutarlo ad evitare l'inevitabile.

«Quindi, sei dentro da quasi un anno?»

Il più giovane alzò il capo, piantando lo sguardo stizzito in quello del quarantenne.«Ti sembra poco?»rispose, il tono poco gentile.

Il compagno di cella restò in silenzio, non volendo accendere una discussione. Non ne aveva la voglia. La rabbia cieca che portava dentro era indescrivibile, e quell'uomo lì presente, probabilmente ne aveva passate tante.

Il suo unico rimpianto era quello di essersi lasciato dietro dei piccoli dettagli decisivi. Il suo ego era stata la sua stessa trappola

«Amico, non ho detto nulla del genere.»

Prima che potesse pensare di trucidare quell'individuo alquanto fastidioso, il bussare della porta lo fece rinsavire.

Il volto di una guardia in alta uniforme fece capolino, guardando il giovane detenuto in malo modo.

«Hai visite.»

Il bisogno repellente di sapere chi fosse lo stava mangiando vivo, ma sapeva che non avrebbe ottenuto risposta. Seguì la guardia senza fare storie, attraversando quei mille corridoi che percorreva insieme agli altri detenuti ogni fottuto giorno. Giunti in una piccola sala accoglienza, la guardia gli concesse un cenno col capo, facendogli capire che da lì in poi, dovesse proseguire da solo. Si guardò intorno, non facendo caso alle occhiatacce di familiari venuti a trovare i propri cari. Lui non sapeva nemmeno cosa significasse avere una famiglia. Poi una figura girata di spalle attirò la sua attenzione.

Come previsto, quest'ultimo si girò e Blackjack rimase senza parole per la prima volta dopo tanto tempo.

«Ne è passato di tempo.»ridacchiò uno dei suoi più cari amici.

L'unico che gli era rimasto.

«James, che ci fai qui?»

«Sono venuto per vedere come stavi.»

«Puoi immaginare.»

«Già.»insistette l'altro, poggiando i gomiti sul tavolo.«Ad ogni modo, non ho molto tempo.»

Il prigioniero si sporse verso di lui, come un peccatore fa quando deve confessare il suo segreto più oscuro.

«Nemmeno io. Devo assolutamente uscire da qui.»rivelò d'un tratto, come se non fosse già abbastanza evidente.

«I Kalasar ci daranno una mano. Sei il nostro asso nella manica.»

Il carcerato non poté fare a meno di sorridere in modo sinistro, assottigliando lo sguardo. Preannunciando in netto anticipo cosa signficassero quelle parole.

«Sai perchè mi sono sempre piaciuti?»

«Perchè?»

Schioccò la lingua al palato, vittorioso benché il campo non fosse ancora pronto.«Perchè mantengono sempre le promesse.»

HOMICIDA ― taekookWhere stories live. Discover now